Are you ready for TV?
A cura di Chus Martínez
MACBA – Museu d’Art Contemporani de Barcelona
5 novembre 2010 – 25 aprile 2011
www.macba.cat

TV/Arts/TV. The television shot by artists
A cura di Valentina Valentini
Arts Santa Mònica_Barcelona
15 ottobre 2010 – 5 dicembre 2010
www.artssanta
monica.cat

Pronti per la tv? A Barcellona bisogna esserlo per visitare due delle mostre più interessanti in corso in città. Il MACBA e gli spazi del centro Arts Santa Mònica ospitano due progetti espositivi che sembrano dialogare tra loro nel proporre, in modo complementare, una panoramica sull’uso del medium televisivo da parte degli artisti.
Are you ready for TV? è proprio la domanda che dà il titolo alla mostra ospitata dal terzo piano dell’edificio progettato da Richard Meier, dove la luce che entra dalle vetrate della facciata rarefa ancora di più gli interni di questo immenso white cube. Una domanda provocatoria, dato che nell’era digitale e ipermediale il medium televisivo è diventato ormai obsoleto, considerato peraltro la ‘cattiva maestra’ (Karl Popper, 1994) delle nuove generazioni.
La televisione è entrata nella vita quotidiana ormai più di mezzo secolo fa e allora sì che qualcuno avrebbe dovuto verificarne la prontezza di ricezione, quando le potenzialità del mezzo erano intuite ma non ancora dichiarate.
Ben presto oggetto privilegiato degli studi di sociologia, il medium televisivo non ha tardato ad entrare nelle ricerche artistiche sperimentali degli anni Sessanta. Pronti a vedere la TV in uno spazio espositivo lo si è già da un pezzo, da quando Nam June Paik manipolava il segnale dando vita a composizioni astratte e Wolf Vostell realizzava i suoi (TV) Décollage, denunciando attraverso questi il rischio “massificante” in tempi ancora poco sospetti.

A cosa quindi dovremmo essere pronti? Probabilmente all’uso che non ti aspetti. Alla televisione come piattaforma culturale, luogo di scambio, spazio di dibattito. Perché è questo che, negli intenti della mostra, si vuole portare all’attenzione del pubblico, affiancando all’esposizione una pubblicazione digitale con saggi di artisti e storici dell’arte, punto di partenza per ulteriori riflessioni (http://www.macba.cat/tv-pub).
Non dunque una mostra sulla televisione, ma un progetto espositivo e documentario che parte da questa come mezzo e come luogo per verificare il suo ruolo nel più vasto panorama delle scienze umane: “This exhibition interrogates the choreography and the strategies used by the medium and its occasional occupants – artists and philosophers – to formalise their projects. The artists and the medium study each other in order to understand what makes television possible; they formulate questions about the social relevance and aesthetic nature of artistic production on television, and what it means to give a face to the field of philosophy”.

Ripenso al testo di Michel De Certeau L’invention du quotidien (1990, ed. it. 2001), nel quale l’antropologo francese si sofferma sull’uso creativo della televisione non da parte degli artisti ma dell’ “uomo comune”. Secondo De Certeau, fare zapping è una delle “tattiche” di consumo – ovvero di appropriazione del quotidiano – attraverso cui è possibile creare un proprio spazio all’interno del sistema costituito dalle “strategie”, legate alle istituzioni e dunque ad un modello di vita predeterminato. Un esempio lato di ‘post-produzione’ (e non è un caso che il saggio venga citato proprio da Bourriaud nel suo Post-production).
Il meccanismo dello zapping è, nel nostro caso, l’unico modo possibile di fruizione della mostra, che segue appunto la logica della programmazione televisiva (come sottolinea anche la curatrice): dieci sezioni, ognuna comprendente una sequenza di videoproiezioni e vari monitor da cui poter accedere ad un menù à la carte, tramite il quale scegliere quali video visionare. Un tempo di fruizione impossibile che obbliga a crearsi un proprio percorso, muovendosi tra nomi noti e lavori sconosciuti. Anche perché, come viene sottolineato nella guida, non si tratta di una mostra propriamente d’arte ma di un inventario, un archivio enciclopedico dove artisti, filosofi, sociologi sono accomunati dal tentativo di riscrivere il medium televisivo stabilendo inaspettati paralleli tra testo e immagine.
Ci si trova così davanti alle lectures di Deleuze, Foucault, Heidegger, Lévi-Strauss, Hannah Arendt, Lacan, Derrida, Popper, trasmesse tra gli anni Sessanta e Settanta dalle reti televisive francesi, tedesche e (oggi ci sembra incredibile) dalla RAI. Non si tratta in questo caso di video d’arte né di uso “artistico” della televisione ma appunto di documenti che, al pari di questi due casi, esplorano la relazione tra immagine e atto critico.
Tale concept risulta chiaro anche dal non risalto dato in mostra ai pionieri della videoarte – appunto Paik e Vostell – di cui sono presentati dei lavori ma “sparpagliati” nelle varie sezioni.
Alcuni girati sperimentali realizzati da artisti tra gli anni Sessanta e Ottanta sono visibili nella sezione intitolata Site-specific television: qui troviamo Jan Dibbets (TV as a Fireplace, 1969), Valie Export (Facing a Family, 1971), David Hall (Tv Interruptions – 7 Tv pieces, 1971), Joan Jonas (Double Lunar Dogs, 1984) ma anche Quad I+II di Samuel Beckett (1980), breve e interessantissimo video destinato ad un’emittente tedesca grazie al quale è possibile tracciare ulteriori paralleli con la ricerca di Bruce Nauman, già oggetto di una mostra alla Kunsthalle di Vienna nel 2000.
Non poteva mancare la presenza di Lucio Fontana; il suo Manifesto del Movimento Spaziale per la Televisione del 1952 compare in forma di documento nella sezione On TV: the Spirit of the Mimesis, incentrata sulle pratiche di imitazione e sui paradossi messi in campo sia dalla televisione che dall’arte. Fontana pensa al medium televisivo come ad un potente mezzo di attivazione sensoriale, visiva e spaziale, motivo per cui è facile identificare l’artista come uno dei promotori dell’uso creativo di prodotti offerti dalla ricerca in ambito scientifico-tecnologico.

Ma è il potere sociale e soprattutto politico assunto dalla TV a figurare come uno dei temi più ‘scottanti’ della mostra. Come scrive Chus Martínez: “The power of television is tied to its ability to generate confusion between description and prescription, and that is why it is so influential when it comes to interpreting the world. Television does not describe realities, but rather prescribes them: it tacitly shows us what we should be”.
Il potere diviene dunque argomento di due sezioni del percorso espositivo: nella prima, Television as Kingdom, vengono presentati lavori che condividono un’attenzione alla problematica della televisione come nuova forma di sovranità, con i contributi di Guy Debord (Réfutation de tous les jugements, tant élogieux qu’hostiles, qui ont été jusqu’ici portés sur le film “La societé du spectacle”, 1975) e di Matteo Cerami/Mario Sesti (Niente di più feroce della banalissima televisione, 2006) in riferimento al pamphlet di Pasolini Sfida ai dirigenti della televisione, pubblicato su “Il Corriere della sera” il 9 dicembre 1973, nel quale si legge appunto: “Non c’è dubbio (lo si vede dai risultati) che la televisione sia autoritaria e repressiva come mai nessun mezzo di informazione al mondo”.
La seconda sezione, dal titolo Place/Presentation/Public: Television and Politic, pone invece l’accento sul rapporto tra politica e televisione e dunque sul controllo del medium da parte del potere politico. Tra i contributi di John Cage, Antoni Muntadas, Adam Curtis, salta all’occhio (italiano) la puntata del 18 aprile 2002 de Il Fatto di Enzo Biagi, durante la quale il giornalista risponde al tentativo di censura della trasmissione. Le profetiche parole pasoliniane sembrano qui trovare un triste riscontro.
È possibile quindi rintracciare due risposte degli artisti dal potere esercitato dalla televisione: da una parte l’eclatante distruzione del mezzo (David Hall, Wolf Vostell), dall’altra un processo di rielaborazione dei processi televisivi in forma critica, con il ruolo fondamentale assunto dal mode d’emploi.

Spostandosi verso il mare lungo l’arteria principale della città, un’altra mostra chiama in causa il medium televisivo, stavolta con un’attenzione maggiore ai lavori propriamente artistici. Si tratta di TV/Arts/TV presso l’Arts Santa Mònica, spazio espositivo suggestivo su La Rambla, dove il bookshop è sostituito da macchinette selfservice presso le quali è possibile acquistare i cataloghi delle mostre passate e in corso inserendo la carta di credito al posto degli usuali spiccioli.
Qui il percorso espositivo appare strutturato in tre macroaree: da una parte i lavori basati su un’iconografia della televisione; dall’altra la realizzazione di film e video attraverso i quali gli artisti manipolano immagini e dinamiche del medium; infine, l’uso della TV (nella sua componente più ‘oggettuale’) in videoinstallazioni dove il monitor fa da protagonista.
La sezione iconografica vede convivere fotografia, pittura e disegno, con lavori di Martin Parr, Mario Schifano, Fabio Mauri, Joseph Beuys, Marco Raparelli.
Seguono anche qui due serie di proiezioni che mostrano come gli artisti abbiano fatto propri, talvolta attraverso la parodia, generi e linguaggio caratteristici del mezzo televisivo. L’impronta più artistica dell’esposizione rispetto a quella del MACBA è ben evidente solo scorrendo i nomi degli autori; qui Paik e Vostell vedono riconfermato il proprio ruolo di pionieri, affiancati da protagonisti illustri quali Andy Warhol, Bill Viola, Alfredo Jaar, Chris Burden, Antoni Muntadas. Proprio uno dei lavori dell’artista catalano,Video is television? (1989), si presenta già dal titolo come riflessione sulla natura del medium, mixando immagini di diversa provenienza. Lo stesso lavoro è presente anche nella mostra del MACBA, costituendo così un significativo trait d’union tra i due eventi.
La parte centrale dell’esposizione è dedicata alla videoinstallazione, a partire proprio da due lavori di Paik (Magnet TV, 1965-95 e TV Experiment, 1969-95) e da Die Winde (1981) di Vostell, una Mercedes costellata di monitor sul cui sedile posteriore arde della finta legna. Minimal ed efficace l’intervento di James Turrell (Fran, 1998), videoproiezione che simula un monitor sul quale si alternano diverse schermate monocrome.
Il rapporto tra TV e pratiche artistiche passa anche attraverso i sistemi di videosorveglianza, utilizzati per integrare il fruitore nell’opera e per creare in lui un senso di straniamento. Così è strutturata l’installazione di Muntadas Personal Public (1981), nella quale lo spettatore è invitato a sedersi per poi specchiarsi in uno dei due monitor installati, nel quale viene trasmessa la sua immagine ripresa da telecamera in tempo reale.
Così sono realizzati alcuni dei lavori storici di Dan Graham che, come Bruce Nauman, ha cominciato a lavorare già dalla fine degli anni Sessanta sulla possibilità di alterare le percezioni simulando un sistema costituito da telecamere di videosorveglianza. Proprio a Graham – e in particolare al suo lavoro del 1976 Production/Reception – sono dunque rivolti due ‘omaggi’ in mostra, quelli di Ivan Marino e del gruppo siciliano Canecapovolto.
Avveniristica la Virtual Intelligence Mask (1993) di Vito Acconci, dove due piccoli monitor sono collocati al posto degli occhi suggerendo un modo di vedere ‘virtuale’. ‘A tempo’ quella di Gary Hill (In situ, 1986), attiva solo alle ore 12 e 18 e quindi difficilmente fruibile se non al momento giusto.
Una costellazione di monitor caratterizza invece sia l’installazione di Chris Marker (Zapping Zone – Proposal for an Imaginary Television, 1990) sia il progetto di Judith Barry e Ken Saylor (From receiver to remote control: the television set channeling Spain, 2010) dove è possibile immergersi nella trasmissione in contemporanea di una selezione di programmi televisivi spagnoli dal 1970 al 1990.

Sia la mostra al MACBA che quella ad Arts Santa Mònica si interrogano quindi sulla televisione e sul come farla in modo critico, prima che artistico. Un tema ampio e tutt’altro che maneggevole dal punto di vista espositivo, ma buon punto di partenza per tracciare alcune delle tante direzioni raccolte sotto la generica definizione di videoarte.

Dall’alto:

L’edificio del MACBA – Museu d’Art Contemporani de Barcelona. Photo Antonio Picascia.

David Hall, TV Interruptions (7 TV Pieces): Interruption piece, 1971. Courtesy of David Hall and LUX, London. [da: Are you ready for TV?, MACBA]

Un certain regard, La logique du vivant: François Jacob rencontre Claude Lévi Strauss, 1966. Réalisateur: Roger Kahane, Ina (ORTF). [da: Are you ready for TV?, MACBA]

Peter Weibel, TV News (TV Tod II), 1970-1972, Video, b/n, sound, 00:05:47, ZKM.
[da: Are you ready for TV?, MACBA]

Wolf Vostell, Die Winde, 1981. Courtesy: Mercedes Guardado Olivenza Vostell, Malpartida, Cáceres. [da: TV/Arts/TV, Arts Santa Mònica_Barcelona]

Judith Barry and Ken Saylor with Project projects, From Receiver To Remote Control: The Television Set, 1990. Courtesy: New Museum and Rosamund Felsen Gallery. [da: TV/Arts/TV, Arts Santa Mònica_Barcelona]

Vito Acconci, Virtual Intelligence Mask, 1993. Courtesy: Acconci Studio, New York. [da: TV/Arts/TV, Arts Santa Mònica_Barcelona]

Antoni Muntadas, Personal/Public, 1981. Courtesy: Artist collection. [da: TV/Arts/TV, Arts Santa Mònica_Barcelona]