La seconda indicazione che emerge dalla rassegna è la necessità di orientare l’architettura verso una leggerezza concettuale e materica. Anche i premi assegnati dalla Giuria internazionale recepiscono quest’attenzione. Il premio alla carriera – assegnato dal curatore – è stato infatti tributato a Rem Koolhaas che, dopo essere stato il teorico del fuck the context, ha optato da tempo per il rispetto delle preesistenze e il loro riuso. Il premio della miglior partecipazione nazionale è andato al Regno del Bahrain che in realtà ha proposto la negazione stessa dell’architettura, con una serie di “zattere” di legno che la popolazione ha spontaneamente organizzato lungo la costa, come aree di ritrovo, proprio per sventare un progetto di massiccia edificazione. Il Leone d’Oro per il miglior progetto è andato ad un’architettura tracciata con fili sottili, ai limiti della percepibilità, dei giapponesi Junya Ishigami + associates con Architecture as air: Study for château la coste. Curioso il fatto che, fin dall’inaugurazione, una parte di questo lavoro fosse rovinato a terra, ma la sua invisibilità ha fatto sì che pochissimi se ne siano accorti. Ed ancora menzioni speciali per il team cinese Amateur Architecture Studio con il loro Decay of a Dome, un’architettura fatta di semplici pezzi di legno modulari, montabili e smontabili in pochissimo tempo; nonché per il giardino progettato dall’olandese Piet Oudolf, apparentemente spontaneo e dimesso, organizzato nell’area de “Il Giardino delle Vergini”: tutti interventi con un’impostazione lieve e totalmente reversibili.
Variegate le proposte dei padiglioni nazionali: dai particolari architettonici logorati dall’uso, dal collettivo belga Rotor, ai rigorosi piani per lo sviluppo di Copenaghen, formalmente e concettualmente affascinanti. Il Giappone presenta il gruppo Bow-Wow che opera recuperando gli spazi residuali tra un edificio e l’altro, facendoli diventare minuscoli giardini, piccole aree di aggregazione intorno alle quali rimodulare lo spazio domestico.
Deludente il padiglione Italia che, dopo una didascalica rassegna dei cantieri degli ultimi vent’anni, affida a quattordici architetti le riflessioni sul futuro, concretizzate in un farraginoso piano rialzato, parzialmente accessibile, sul quale sono collocate maquette incomprensibili di teoriche riflessioni. In pochi mesi la polvere che vi si è depositata ha trasformato il tutto più che in modelli di futuri complessi urbani, nella soffitta di un dismesso luna park.