Lucrezia Cippitelli: Innanzitutto vorrei sapere come è nato il vostro progetto. Voi vi definite gruppo di affinità e mi piacerebbe mettere a fuoco l’elemento che è il perno attorno a cui si muove ogni singola esperienza (siete quindici persone ed avete una formazione molto eterogenea: compositori, videomaker, designer, programmatori…). Io darei per scontato l’uso della tecnologia. In che modalità? Ed e’ poi quello preminente?
Otolab: Non direi che l’elemento di aggregazione sia stata la tecnologia. Certo, lavorando con l’elettronica è inevitabile che una certa fascinazione per le “macchine” ci sia, ma nel nostro caso viene decisamente in secondo piano. Quello che ci ha messi insieme è una visione estetica comune, il desiderio di ricerca.

L.C.: Ho assistito ad alcune vostre performance e la prima cosa che mi ha colpito anche scorrendo il vostro curriculum e’ il fatto che riusciate disinvoltamente a muovervi in contesti underground e spazi più istituzionalizzati mantenendo una ricerca ben riconoscibile e peculiare. Da dove viene quest’equilibrio secondo voi?
O.: La commistione tra “alto” e “basso” è una pratica abbastanza comune nell’ambito della cultura elettronica. Pensa a situazioni come il Sonar di Barcellona, dove si ritrovano performer da galleria d’arte, accademici dell’ MIT, dj da club o da rave. Come hai osservato prima veniamo da backgrounds molto diversi. Il passare da un ambiente colto ad uno extracolto avviene in modo abbastanza naturale, è una cosa che non abbiamo mai nemmeno problematizzato più di tanto.

L.C.: Il vostro lavoro si presta alla versatilità forse. (??) Ma ogni volta noto che c’è’ un limite che viene superato e che lo spettatore sicuramente recepisce come una specie di “stonatura”. Chi viene a sentirvi per ballare la techno è spaesato perché non si aspetta una simile costruzione sonora: complessa e solo apparentemente contestualizzabile con l’uso ludico della musica (quella fruita come svago, sottofondo base su cui ballare). Chi va a vedere una vostra performance si ritrova al contrario in una situazione inaspettata, in cui sembra richiesto di lasciar perdere l’aspetto contemplativo e di lasciarsi coinvolgere suo malgrado in maniera emotiva e fisica…
O.: L’aspetto legato all’emotività é molto complesso, non so se si può definire in questo modo… Però é vero che ci piace forzare i limiti (anche acustici) di chi viene a vederci. Quello che ci interessa è proporre al pubblico delle visioni che stimolino degli aspetti inediti dell’immaginazione.
Ovvio che pubblici diversi trovano stimoli diversi nello stesso segnale.

L.C.: Tra le vostre attività vedo che parlate di vjing, performance, live set, workshop, seminari. Mi potete chiarire un po’ le idee?
O.: Spesso presentiamo dei set in cui vengono suonati solo brani di Otolab (costruiti appositamente per l’esecuzione dal vivo), magari con l’ausilio di campionatori, sintetizzatori, effetti, radio a onde corte, ecc..
Tra i musicisti alcuni lavorano come Dj in senso più “classico”: assemblaggio dal vivo di musica prodotta da altri con l’uso di vinili o cd.
Altri lavori audio vengono suonati dal vivo con i laptop o con hardware come sequencer, drum machines, etc…
I Vj set sono realizzati, per lo più, con tracce video registrate su vari supporti che vengono poi mixate dal vivo; oppure con dei file che permettono al performer di generare in tempo reale le immagini.
Nei live media, come il Quartetto, il Duetto o P.U.L.P., i performer generano contemporaneamente dal vivo la parte audio e la parte video in stretta sincronia.
Abbiamo organizzato e coordinato alcuni eventi di Vjing e videoarte:
V_, rassegna di videoarte (insieme al Bulk, al collettivo video Box di Milano e alla critica di videoarte Lavinia Garulli), nella quale abbiamo invitato al Bulk alcuni tra le realtà audiovisive più interessanti; la sezione italiana di Contacteurope, festival di vjing internazionale al Leoncavallo;
la sala techno sperimentale al No Vapour04 sempre al Leoncavallo.
Seminari e workshops hanno luogo spesso in situazioni informali.

L.C.: Nella nostra cultura (occidentale, eurocentrica), la musica colta si è sviluppata portando alle estreme conseguenze l’intellettualizzazione della melodia, uno dei due elementi fondamentali del fare musica. L’altro elemento, quello ritmico, non è stato sviluppato e resta irrimediabilmente legato a modelli musicali ritenuti popolari, non colti, “inferiori”. In altre culture musicali, del sud est asiatico o africana per esempio, è al contrario l’elemento attorno a cui si sono concentrate le ricerche che hanno portato alla costruzione anche di sistemi musicali molto complessi, molto “intellettuali”…
O1: Probabilmente sì, ma la questione più rilevante è l’approccio.
Spesso non parliamo neanche di musica ma di audio. Questo riflette un certo distacco non solo dalla musica cosiddetta colta ma anche dai paradigmi compositivi dell’avanguardia musicale ufficiale.
Ritmo, Melodia e Armonia partecipano anche alla musica non colta. Cambia la sintassi.
La musica elettronica genera un’espressività propria con regole metriche, compositive e orientamenti di gusto che forse la musica colta non può abbracciare senza essere condizionata dal difficile processo di mediazione delle nuove potenzialità musicali elettroniche con i confini di ricerca già tracciati della tradizione musicale contemporanea.
Per gli “incolti” tutto è più spontaneo avendo il terreno sgombro.
Naturalmente i mondi talvolta si toccano.
O2: Direi che noi non ci poniamo il problema del riferimento programmatico ad uno stile o ad un solco tradizionale: intanto per la diversità dei singoli progetti che vengono sviluppati all’interno di Otolab e poi perché lasciamo che ogni direzione sviluppi i parametri sia sonori, come il flusso ritmico, la melodia/armonia e soprattutto il timbro, sia visivi coerentemente con il contesto e l’intenzione performativa a cui fa riferimento e di cui in corso di sviluppo si possono scoprire le potenzialità.
Sicuramente si può dire che il suono elettronico, con tutte le sue sfumature linguistiche e’ un elemento unificatore delle produzioni di Otolab. Può capitare inoltre che un progetto singolo possa essere facilmente riferito ad un genere o ad un tradizione, ma questo succede in quanto compatibile con un contesto, come la danza ad esempio, ma non come riferimento programmatico ad un esercizio di stile.
E soprattutto, non ci poniamo musicalmente in una distinzione tra colto e non colto, per due motivi: il primo e’ che la musica e’ di per se’ trasversale a caratterizzazioni stilistiche o di giudizio culturale; il secondo e’ che ogni autore vive e crea la propria musica a partire dalla propria individuale esperienza, quanto dalla interazione con gli altri membri di Otolab e naturalmente con il mondo in cui si muove.

L.C.: Mi piacerebbe sapere come lavorate, come costruite una performance, come la realizzate sul momento, in che modo chi processa le immagini interagisce e condivide il lavoro con chi compone e mixa musica e viceversa.
O.: Siamo in quindici ed ognuno ha più progetti anche molto diversi tra loro. Non esiste una regola fissa.
Solitamente chi ha del materiale lo propone in laboratorio. Lo si valuta, e se interessa si cerca una combinazione audio o video, ricalibrando il tutto.
Associare un video ad una musica è un processo spesso più viscerale che razionale; spesso avviene sperimentando durante le prove.
I progetti costruiti a “tavolino” sono meno frequenti, e solitamente sono realizzati per eventi specifici.

L.C.: Più nello specifico, come si svolge la produzione e la ricerca iconografica?
O.: La maggior parte delle immagini vengono generate al computer o riprese direttamente.
Lavoriamo pochissimo con i collage.
Mud utilizza il 3D, creando assurdi architettonici e rielaborandoli con vari software e con il mixer video.
Xo00 lavora dal vivo con forme vettoriali.
FD ha un’impostazione di base pittorica, e procede “sporcando” super8 con varie tecniche. Orgone lavora decostruendo filmati mpegs a bassa risoluzione fino a renderli puri segni grafici, oppure navigando grandi collages caleidoscopici.
Dies_Ordre lavora con programmi “domestici” di visualizzazione sonora usandoli “al contrario”.Le tecniche, i supporti ed i modi di lavorare sono i più diversi; lo strumento che comunque viene utilizzato da tutti durante i live è il mixer analogico, che permette un controllo preciso ed allo stesso tempo istintivo del materiale.

L.C.: Agli inizi di ottobre sarete a Roma per un seminario e per la presentazione della performance con cui avete vinto il Netmage festival del 2003. Che altri progetti state seguendo? Cosa vi succederà nei prossimi tempi?
O.: A Roma porteremo “duetto.swf” e non “quartetto.swf” di Netmage 2003, una versione a due performer del progetto originario comunque diverso.
Al momento ci sono almeno tre filoni di ricerca A/V:
1) sviluppo di sintetizzatori audio-video mediante dell’hardware autocostruito – se tutto va bene verranno presentati al prossimo Netmage di Bologna con un’installazione;
2) utilizzo e sperimentazione di sistemi software per l’interazione in tempo reale dei suoni con le immagini;
3)tecniche miste: editing digitale, effetti, animazioni vettoriali, mixaggio analogico.
Per quello che riguarda gli impegni futuri:
Urban a Cinisello Balsamo; alcune date in Austria e Art Zoyd a Bruxelles per Novembre.

Otolab nasce nel 2001 a Milano come gruppo di affinità di musicisti, dj, vj, videomaker, web designer, grafici e architetti accomunati dalla necessità di dare uno sviluppo collettivo, ed autoprodotto, ai proprio lavoro. La ricerca e la sperimentazione collettiva sono alla base di ogni singolo progetto sviluppato.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Dall’alto:

Otolab durante una performance

Otolab, Quartetto.swf

Otolab al Link di Bologna, NetMage Festival, 2002

Otolab, Quartetto.swf, still

Otolab, Quartetto.swf, still

Otolab, Quartetto.swf, still

Otolab, Quartetto.swf, still