VERDE CRITICANon che i critici non si riproducano. Fisiologicamente la critica d’arte non rende sterili. Intellettualmente per un po’ come se il settore si duplicasse per partenogenesi: niente padri/madri, niente pedigree. Solo tanti party o tanta noia. Tutti a fingere d’esser stati abdotti dagli alieni o di esser stati creati critici in virtù di un imprevista mutazione genetica: come avere l’allergia. Insomma: quando nascerà davvero una nuova generazione di critici, nuova nella forza delle proprie radici, nella difficile ma necessaria uccisione rituale dei propri genitori (si fa per dire, sia l’uccisione che i genitori). E se questi nuovi sguardi non trovano spazio e occasione di mettersi alla prova? E senza tronfi paternalismi: ci siete, fate. Verde critica vuole essere una finestra nella quale intravedere i lavorio di crescita di questi nuovi sguardi, in questo caso limitandoci al settore delle arti fotografiche. Non di più, ma neanche meno di questo. a.p.
Presso l’Istituto Nazionale per la Grafica sono state esposte fotografie principalmente appartenenti a Shadow Chamber oltre ad alcune da Outland e Platteland.
Curatore Marco Delogu,
Catalogo edito Phaidon,
Dal 6 Aprile al 28 Maggio 2006.
www.rogerballen.com
Ognuna delle fotografie di Roger Ballen racchiude uno spazio ambiguo persino divertente, una nicchia in cui il tempo e lo spazio non sono determinabili, un mondo proprio con leggi e codici. Tanti mondi paralleli popolati da linee quali cavi elettrici o telefonici, disegni sul muro, da animali come gatti, cani, oche, topolini e da i suoi abitanti strambi ma teneramente comici, bloccati per sempre in un tempo immobile già prima che l’otturatore si aprisse. Si ha la sensazione di osservare figure esistenti ma non viventi, sole e in attesa della fine della partita insensata e sempre uguale, in un tempo qualunque, in cui i gesti sono minimi e le parole bolle di sapone. Proprio come nel teatro di Samuel Beckett c’è l’elemento della comicità che assume connotati grotteschi innestati sulla tragicità della situazione. Se l’opera del drammaturgo irlandese è segnata dalla sofferenza e dall’assenza di un senso della vita, Roger Ballen sembra soffermarsi proprio sull’assenza di un senso nelle azioni umane. Esplora il suo mondo interiore insinuandosi in quelle zone d’ombra che si materializzano in ambientazioni da sogno, surreali anche, dove pazzia, gioco e assenza di senso convivono alimentandosi scambievolmente. La scelta del bianco e nero e del delicato posizionamento dei “segni”, intesi come soggetti/oggetti che diventano puri elementi di composizione, all’interno del formato quadrato dell’immagine, permette uno sconfinamento della fotografia nel pittorico, grazie anche al non immediato riconoscimento dei soggetti: l’immagine non indirizza l’attenzione verso un primario riconoscimento del referente, ma verso la composizione. Roger Ballen è nato a New York nel 1950, vive da circa trent’anni a Johannesburg in Sud Africa, consulente geologo per società minerarie, fotografa dalla fine degli anni ’70. Shadow Chamber è il suo quarto lavoro, dopo i tre precedenti: Dorps, small towns of South Africa 1986, Platteland 1994 e Outland 2001. Ripercorrendoli notiamo l’evoluzione del suo lavoro. In primo momento, più documentaristico, l’occhio si focalizza nelle case dei Dorps, negli interni, dove non c’è presenza fisica degli occupanti, in un secondo tempo ne analizza gli abitanti, non uomini, ma uno stadio intermedio fra l’esser tali e le creature che incontreremo in Outland, si ha questa sensazione perché Ballen sembra proprio catturare quello spazio intermedio che oscilla fra l’idea che il soggetto ha di sè e l’effetto provocato nell’osservatore. In Shadow Chamber tende a spostarsi sempre più in spazi segnati da tracce confermanti il passaggio di esseri, animali o umani o perfino mostri ibridi. Autore discusso per aver utilizzato il mezzo fotografico altrimenti dal documentarismo sociale nel Sud Africa sconvolto dall’apartheid brutale e violenta, avendo appreso i tratti formali della tradizione documentaristica, non volle, e non vuole, ridurre il suo lavoro alla semplice messa in mostra della vera realtà, anche socio-politica in questo caso, cui (in)carico maggiore sembra essere quello della fotografia. Poco importa se i suoi scatti siano stati fatti nelle periferie di Johannesburg o in qualche altro paese nella campagna del Sud Africa, che sia un asilo psichiatrico o una fattoria, Ballen vuole offrirci le sue riflessioni sull’inconscio, sull’insensatezza della condizione umana, quella di ognuno, per questo dopo un primo sorriso quello che rimane è una sensazione disturbante.