Una mostra collettiva ha celebrato in ottobre i trent’anni di attività della storica Galleria Tucci Russo, ponendosi come ideale ponte di continuità tra il passato e il futuro, della galleria e non solo. Un manipolo internazionale di giovani si trova alle prese con uno spazio immenso e articolato, da fare invidia ai migliori spazi istituzionali.
La scelta sembra quanto mai coerente con l’ipotesi di ricerca da sempre sostenuta da Antonio Tucci Russo: serietà intellettuale, indipendenza, alto grado qualitativo delle proposte. E soprattutto fiducia nelle sorti della giovane arte, nella ricostituzione di una linea di ricerca che recupera gli insegnamenti delle neoavanguardie senza farne accademia, proiettandoli in una situazione attuale.
Inevitabile un confronto con la Biennale da poco conclusa: un’occasione mancata per far luce sullo stato di salute dei giovani artisti. Assenti o assenteisti, per lo più incapaci di produrre qualcosa che non sia lo scimmiottamento del passato o l’ammiccamento sterile alle ultime tendenze. Al contrario, ciò che sembra emergere dalla proposta della scuderia Tucci Russo è un’idea di ricerca originale, sorretta da una concezione del lavoro artistico che predilige l’elaborazione di un linguaggio specifico, in grado di coniugare l’intervento processuale a una ideazione fortemente concettuale: una logica consequenzialità operativa guida il passaggio dalla formulazione del pensiero alla sua visualizzazione. Ne deriva una attitudine ad analizzare e rimettere in discussione i luoghi (fisici e mentali) e le condizioni dell’esperienza umana, spingendo l’osservatore a considerare nuove dimensioni e nuove possibilità sensoriali. La relazione tra corpo e spazio, tra dimensione mentale e contesto ambientale è indagata con l’impiego di diversi media, dal video all’installazione sonora.
Il curatore Andrea Bellini ha trovato per tutto questo un filo conduttore: S.N.O.W., ovvero Sculpture in Non-Objective Way. La nuova scultura è leggera (ma concettualmente densa), luminosa e veloce come il pensiero, colta. Fonti di ispirazione sono la scienza, le leggi fisiche, le nuove teorie sul funzionamento dell’Universo, l’esperienza concreta della realtà: un approccio prevalentemente fenomenologico, che non esclude tuttavia l’aspetto più misterico e immaginifico ma mostra invece come sia diretto il passaggio da una modalità all’altra.
Nei lavori del tedesco Björn Dahlem l’interesse per la scienza e lo studio dell’universo è declinato in un registro ironico e sarcastico, allusivo al modo in cui l’immaginario comune si confronta con le teorie scientifiche. Bermuda è una installazione ambientale quasi fuori scala rispetto alla sala che la ospita. Il modulo del triangolo si ripete in una complessa struttura lignea che attira e respinge lo spettatore. Una fitta e densa nebbia esalta la fluorescenza del grande triangolo di neon che racchiude il tutto. L’interazione tra materiali di diversa qualità si ripete in Higgs Boson/Antimatter, che mette in relazione entità organiche e commestibili con la corrente elettrica: le lampadine prendono energia da barattoli di cipolline sott’aceto e olive nere.
Accanto al già noto Mu (2002-2003), Aria è un ulteriore sviluppo del ciclo di lavori che Paolo Piscitelli ha dedicato al tema della schiuma. Come nei precedenti Gong e Volume bianco, la schiuma prodotta da un motorino elettrico si espande, costretta stavolta in un cubo di plexiglass, tra due basi bianche e percettivamente ‘leggere’. Se il suono dello scoppiettio è più immaginato che realmente udibile, l’attenzione si concentra sul contenuto delle piccole bolle sospese e sul significato metaforico cui allude la schiuma, come sottolinea Bellini: una struttura che, secondo la recente Teoria del cappuccino di Sidney Perkowitz, prende parte ai processi di formazione di micro e macro-cosmi, dalle membrane cellulari all’espansione dell’Universo.
Il percorso prosegue nella sala al piano terra, dove Piscitelli ha collocato una serie di opere che nel legame con l’energia sotterranea trovano un’affinità poetica. Il suono basso e continuo che crea un riverbero avvolgente è quello dell’acqua nel sottosuolo. Con Doors to a sky (2004-2005) l’installazione audioplastica precedentemente concepita per il dinamitificio Nobel di Avigliana vive una seconda fase. Il modello in scala dell’edificio si comporta come un organo le cui canne incanalano e convogliano il suono. Avvicinando l’orecchio si può percepire di nuovo il tremolio dell’acqua che scorre: la vera scultura è l’onda sonora che si espande dall’interno, la forma positiva la forma positiva contenuta nelle pareti concave dell’edificio. Il processo definisce un’espansione organica di spazio, che è energia e suono allo stesso tempo. La relazione dinamica tra forma positiva e negativa è sottesa anche al lavoro fotografico entrata/uscita: l’ingresso di una grotta diventa simbolico del concetto di soglia, come passaggio tra interno ed esterno. L’azione scultorea si realizza in levare, rendendo percepibile la forma attraverso uno scarto, un processo di percezione inversa.
La necessità di creare uno spazio di contemplazione è alla base del lavoro realizzato a New York, Ma(tri)x Neuhaus, documentato da fotografie. Intervenendo sull’installazione sonora dell’artista Max Neuhaus, Piscitelli ne segue la traccia con una sottile striscia verde, collocata lungo una grata al centro di Times Square. Isolando sensorialmente e concettualmente una porzione di spazio urbano, l’artista torinese riesce a creare una soluzione di continuità con l’esterno, un punto da cui la città e la sua confusione svaniscono.
La dinamica di processi aperti e le trasformzioni spazio-temporali della materia sono fattori che accomunano molte opere di Gianni Caravaggio. Nella nuova, spaziosa sala della galleria espone alcuni lavori inediti: nell’imponente Catturatore di volumi una grande e bianca forma di polistirolo è catturata da un filo rosso teso a un sottile tubo dello stesso colore. La metafora è quella del buco nero, che ‘acchiappa’ volumi e li trasforma in energia.
Effervescente, realizzato con dischi di carta, evoca il processo di scioglimento di una pasticca immersa nell’acqua, generando un movimento in espansione che dal centro della sala lambisce i lavori degli altri artisti. La metafora si allarga, suggerisce Bellini, alla forma dinamica di entità cosmiche come stelle e galassie. Poco lontano il già noto Sugar no sugar molecule introduce una simile dinamica (s)compositiva e modulare: seguendo il famoso il paradosso di Zenone, un parallelepipedo di zucchero e marmo diventa divisibile all’infinito in unità sempre più piccole.
Tra i sei artisti di S.N.O.W., Francesco Gennari è il più incline a una lettura metafisica e misterica della creazione artistica. Ne La degenerazione di Parsifal una striscia di ceramica allude a un immaginario triangolo iperbolico avente come vertice il Polo Nord: l’evocazione di una struttura definita dal pensiero costituisce il complemento immateriale dell’opera, “paradigma numerico dell’infinito e del mistero”. Il passaggio dall’approccio scientifico e fenomenologico a quello alchimistico ed esoterico è dunque consequenziale e strettamente adiacente, come lo è da sempre nei rapporti tra arte e scienza. Ancora nelle parole di Bellini, la ricerca di Gennari ha a che fare con un “pensiero simbolico e criptico”.
Conrad Shawcross espone al piano terra complesse sculture in legno nelle quali il fascino per una evidente abilità manuale si lega a quello per l’aspetto enigmatico e sfuggente. Queste macchine sono state definite rinascimentali, o viceversa reperti di archeologia industriale: scheletri che definiscono strutture tridimensionali e geometriche, apparentemente prive di qualsiasi funzionalità. L’interesse di Shawcross per la scienza è rivolto soprattutto al tentativo di interpretare le teorie che negli ultimi decenni hanno ribaltato le tradizionali concezioni: dall’evoluzione del pensiero teoretico al modo in cui essa cambia la nostra vita. Nel caso di Light Perpetual l’artista si ispira a una idea di universo multidimensionale: la teoria delle corde, o delle stringhe, che nasce per conciliare la teoria della relatività con la meccanica quantistica. Di concezione simile è Five harmonic loop rotations (horizontal study), second, major third, fourth, fifth, + major sixth, dove cinque monitor documentano una applicazione ‘luminosa’ e immateriale di questa idea di scultura. Una lampadina collocata all’estremità di un braccio meccanico descrive tracce sinusoidali nell’aria grazie alla scia luminosa emessa, mentre una videocamera gira intorno alla scultura, che diventa così il perno di un ulteriore movimento rotatorio.
Due parole infine per Robin Rhode, artista sudamericano residente a Berlino, presente anche a Venezia per L’esperienza dell’arte al Padiglione Italia. Nella duplice forma del video e della fotografia, Rhode presenta alcune serie di micro-racconti che lo vedono alle prese con oggetti disegnati al muro o sulla strada: supporti con i quali l’artista interagisce in prima persona, ricostruendo delle ‘animazioni’. Sono lavori che nascono dunque letteralmente a contatto con la strada, e che rivendicano un vena popolare autentica e priva di retorica: Rhode si ispira direttamente al mondo immaginario e disegnato dell’infanzia, e più in particolare a quello degli studenti di Johannesburg. La corrispondenza in successione delle foto va a formare uno story-board, i cui singoli frammenti sono sequenze di un episodio: una dinamica filmica che restituisce il senso dell’azione, della performance. Così, l’artista si difende invano da un lampione di colpo animatosi come un serpente, o si improvvisa ginnasta in una verticale agli anelli. In un video proiettato sul muro della galleria, Rhode ripete le movenze del frontman rock-pop con un microfono disegnato in diverse pose. Manca il sonoro, come a sottolineare la parte rilevante che ha l’immaginazione nel completare la metamorfosi della scena. L’effetto è quello del cinema muto, con le immagini in bianco e nero, un po’ traballanti e sporche.
Entusiasta del lavoro collettivo e del risultato finale, Rhode cia ha confidato: “Tutti i lavori interagiscono fra loro e sono ben bilanciati. Questa galleria è fantastica perché permette che ognuno abbia lo spazio necessario e sufficiente affinché il lavoro funzioni”.