Martedì 18 aprile 1978
Ho finalmente dipinto una BMW, in nero con fiori rosa. Forse ci troveranno un significato recondito. Me lo auguro.
Da I diari di Andy Warhol.
Era annunciata già dal titolo come una grande mostra, quella che alla Triennale di Milano celebra Andy Warhol, The Andy Warhol Show, la più vasta mai realizzata in Italia; una turbina di immagini, oggetti, fotografie, filmati, reperti e testimonianze che rimettono in moto tutta la fantasmagorica macchina pop, luccicante sotto le luci della ribalta.
Un Andy Warhol onnivoro ed eclettico, illustratore, pubblicitario, grafico, vetrinista, fotografo, film maker, promoter e sociologo, quello che si vede in queste sale, ma soprattutto un’icona della contemporaneità che seppe fare di sé stesso e della sua vita il suo primo business e la sua prima opera d’arte, artefice e nel contempo schiavo del meccanismo mediatico che riuscì ad intuire.
La più grande novità in mostra è forse in effetti questo taglio critico che più che mettere in luce la dissacrazione dell’arte pop come attacco al consumismo attraverso l’assunzione dei suoi stessi procedimenti produttivi, fa emergere come l’intuizione di Warhol fu anche e soprattutto nell’anticipazione del sistema della realtà mass-mediatica attuale, in cui la vita reale diviene fiction e viceversa, intuizione la sua, che per noi si fa certezza alla luce della società odierna dominata dai reality e dal mito dell’apparizione-tv, e che l’artista seppe rivelare mezzo secolo prima, fino a mostrare e dimostrare la possibilità della costruzione di un nuovo sistema di potere basato sulla visibilità.
Scomodando collezioni pubbliche e private, The Warhol Museum di Pittsburgh e la New Yorkese Andy Warhol Foundation, la vastità dell’esposizione alla Triennale rivela infatti prima di tutto la complessità del fenomeno Warhol, immergendo lo spettatore nel circolo continuo e pulsante di un tripudio visivo senza soluzione di continuità.
Quasi come in una delle sue “capsule del tempo” – le scatole dove maniacalmente conservava, datati e sigillati, articoli, ritagli, appunti e quasi tutto ciò che gli passava per le mani – questa mostra è un compendio dell’impressionante e ipetrofico mondo dell’artista, e quindi anche del nostro mondo, una scatola del nostro tempo, che contiene tutte le immagini simboliche del XX secolo e della cultura moderna, patinate e coloratissime: dalle immancabili, notissime, serigrafie delle divinità pagane della Modernità – da Marilyn a Jaqueline Kennedy, Litz Taylor e Mao – agli oggetti del nuovo culto popolare – la Campbell’s soup o il Brillo Box – con più di duecento dipinti, ritratti, fotografie e volti celebri di quella New York mondana che fu il generatore dell’arte pop, con tutto il suo jet set fatto di moda, feste, frequentazioni, apparizioni – in una parola, di immagine.
Nella sezione Fashion and Style, anche un Andy Warhol meno noto, agli esordi, con i disegni e le sculture degli anni 50, quando sbarcava il lunario allestendo vetrine e creando annunci pubblicitari per i più lussuosi negozi di New York, per non dimenticare che l’artista-icona dell’america moderna edonista e consumista, nacque Andrew Warhola, figlio di un minatore e di una contadina cecoslovacca e fu su di sé in prima persona che giocò con il potere dei media per divenire il centro propulsore di un’industria intera – La Factory – che lavorò con lui e intorno a lui alla creazione della mitologia americana.
Come l’America di cui fu espressione infatti Warhol, timidissimo, pieno di nevrosi e fobico, si fa da sé, attratto dal talento, dal successo, dalle idee brillanti, dal denaro e da chi è in grado di farne. Arriva da solo al mondo della New York bene, alla società che conta, e da allora non perde una serata mondana, sempre proteso ad incontrare gente nuova e ad interessarsi di tutto, a “patinarsi” per una nuova festa e con la stessa immancabile puntualità a tornare il giorno dopo alla sua passeggiata quotidiana lungo la Madison Avenue e nel quartiere ricco dei gioiellieri intorno alla 47» per distribuire Interview, la rivista da lui fondata nel ’69 che, ritraendo gli stessi volti e le stesse serate, ben presto divenne il più fascinoso magazine del bel mondo, alimentando così sempre lo stesso congegno mediatico che è alla base di tutte le sue operazioni: dai film, alle serigrafie ai ritratti.
Per Warhol, proprio come in questa mostra, tutto fa parte della vita e dello stesso show, tutto può essere standardizzato, inglobato nello stesso meccanismo e mediatizzato: senza fare distinzione tra cultura bassa e alta, popolare o intellettuale, si può passare allora dalla Campbell’s soup a Mao o rivisitare L’Ultima Cena di Leonardo, restituendo un’immagine della realtà apparentemente in modo acritico eppure eloquente in tutta la sua effimera superficialità.
Se la società è priva di qualsiasi centro ideologico e concettuale infatti, l’arte non può che nutrirsi esclusivamente della vita circostante e in essa di nuovo risolversi: ciò che si rivela, quindi, è come ogni operazione di Warhol si alimenti e si consumi in questo volano di incontri, collaborazioni, produzioni, idee e creatività, in un meccanismo in grado di amplificare la realtà, tradurla in immagine simbolica e quindi contemporaneamente, di crearla.
In questo carosello visivo è a ben guardare allora l’essenza stessa dell’estetica moderna: una crisi ideologica e contenutistica su cui si erge come unico valore fondante quello del profitto economico, un edonismo istrionico e speculativo condotto all’interno della logica commerciale, l’affermazione accattivante della brillante società dei media e dello spettacolo dove l’apparire è già il successo: tanto che, amava dire Warhol, ironico e disincantato “Ognuno dovrebbe aver diritto a quindici minuti di fama”.
In mostra, a suggello di questo Nuovo Mondo di splendida finzione, simulacro provocatorio della nostra contemporaneità, resta emblematica, la Silver Wig, la celebre parrucca argentata, segno di riconoscimento e insieme marchio indimenticabile del prodotto Warhol. A noi i significati reconditi.
The Andy Warhol Show”. Triennale. Via Alemagna, 6, Milano. 21 settembre – 9 gennaio 2005. A cura di Gianni Mercurio e Daniela Morera. In collaborazione con Chrysler.
Orari: martedì-domenica, 10.30 – 20.30, chiuso il lunedì.
Ingresso: intero €7,00, ridotto €5,50.
Informazioni: tel. 02-72724341.
Catalogo: Skira.