Dall’alto:

1 Pedro Reyes, DISARM, 2012, (dettaglio dell’allestimento al MAXXI, Transformers, 2016). Foto di Simonetta Lux.

2 Stefania Vannini con uno dei ragazzi migranti, partecipanti al Workshop Trasformazioni Migranti, MAXXI 6 marzo 2016. Foto di Simonetta Lux.

3 I musicisti di musicisti di Civico Zero al Workshop: Trasformazioni Migranti, MAXXI 6 Marzo, 2016, Sala 3. Foto di Simonetta Lux.

4 Narrazioni al Workshop: Trasformazioni Migranti, MAXXI 6 Marzo, 2016, Sala 3. Foto di Simonetta Lux.

5 Pino Pascali (1935-1968), L’artista fotografato come bambino al gioco della guerra da Claudio Abate. Il titolo segnala la ibridazione ingenua di militarismo e mito della Resistenza (la canzone Bella ciao). L’opera è Cannone Bella Ciao, 1965, oggetti di recupero dipinti, cm.150x450x130. Pascali anticipa le ibridazioni fluide di cultura bassa e alta, popolare e ambiguamente politica, poi caratteristica delle narrative alter-modern.

6. Didier Fiuza Faustino, Exploring Dead Buildings 2.0, 2015, dettaglio della installazione (pseudo strumenti di esplorazione di ambienti in rovina, maschere quasi sado-maso). Nello specifico, la “dead Architecture” è l’architettura organica-brutalista dell’architetto italiano Vittorio Garatti realizzata a l’Avana per Fidel Castro che subito dopo la rivoluzione destinò il country e golf club americano a sito per la creazione dell’ISA (Istituto Superior de Artes) e a Vittorio Garatti commissionò il progetto per le Scuole di Ballo e di Musica. Vittorio Garatti che approdò a Cuba subito dopo la rivoluzione nel 1961, insieme all’architetto cubano Ricardo Porro e all’altro architetto italiano Roberto Gottardi, costituivano un gruppo di opposizione al razionalismo modernista.

Dieci anni fa, quando ho visitato le architetture molto degradate, era in corso un progetto importante di recupero e restauro di quelle architetture storiche, tanto più che sono elencate come Patrimonio dell’Umanità.

L’opera di Didier Fiuza Faustino, come di altri alter modernisti della sua generazione, è un invito a una rilettura e ripensamento critico della storia politica e culturale dette “moderniste”.

https://it.wikipedia.org/wiki/Vittorio_Garatti

7. Installazione di “Cinque bachi da setola e un bozzolo”, di Pino Pascali, in occasione della mostra itinerante realizzata alla Fondazione Museo Pino Pascali di Polignano a Mare nel 2012. Da “Pino Pascali il seduttore dell’Arte Povera di Cecilia Pavone, “Art Tribune”, 22 novembre 2012.  

8. Jean-Louis André Théodore Géricault (1791-1824), Le Radeau de la Méduse (La zattera della Méduse), 1818-1819, olio su tela, cm 491 x 716, Museo del Louvre, Parigi. Il dipinto è scelto dall’artista Didier Fiuza Faustino per la sua installazione della sua complessa opera Lampedusa(2015). Il quadro di Géricault è riprodotto in bianco e nero su tela grossa trama da arredo, con la tecnica pseudo-pointilliste dei fumetti americani degli anni cinquanta detta a Ben-Day-dots, dal nome dell’illustratore e stampatore Benjamin Day, che la usava per ottenere l’effetto ottico cromatico desiderato, attraverso la sovraimpressione a puntinatura grande dei 4 colori fondamentali ciano, magenta, giallo e nero. Roy Lichtenstein, uno dei più noti artisti pop americani, usò dipingere i suoi quadri con la tecnica puntinata alla Ben-Day, usando come fondo l’acrilico bianco Magna, invece del gesso e colla.

La citazione colta dei due artisti lontani nel tempo ci trasporta nella tipica dissoluzione temporale lineare che attualmente viviamo. Un naufragio allora (200 anni fa) come oggi drammatico e pieno di responsabilità immutate. Nel contempo Didier Fiuza Faustino, ancora una volta di più, ci cattura nella possibilità e necessità di una rilettura schiarita della storia, che ci si precipita addosso, in tutta la sua/nostra drammatica attualità.

 

 

 

NOTE

  1. TRANSFORMERS a cura di Hou Hanru e Anne Palopoli (11 novembre 2015-28 marzo 2016), MAXXI, Roma
  2. NARRAZIONI DA Museo a Museo-TRASFORMAZIONI MIGRANTI tra MAXXI e Museo Pigorini, Workshop 6 marzo 2016, catalogo Sezione editoria e Grafica del Museo Nazionale Preistorico Etnografico “Luigi Pigorini” di Roma, 2016
  3. Stefania Vannini ha realizzato in precedenza al MAXXI B.A.S.E. Inchiostro depARTure, Festival gratuito d’arte contemporanea di Zoe Impresa Sociale (www.zoeweb.eu) in collaborazione con Centostazioni SpA – Gruppo FS Italiane e Gruppo SAVE presso sei stazioni ferroviarie italiane (www.centostazioni.it). Ha coinvolto nel suo innesto programmatico le stazioni di Milano Rogoredo, Trieste Centrale, Siena, Roma Ostiense, Napoli Mergellina e Pescara Centrale.
    Scopo di questa azione del Dipartimento Educazione del MAXXI: ampliare la base di accesso a contenuti culturali; mediare un incontro tra pubblico / nuovi pubblici e Museo.
  4. Pino Pascali (1935-1968).
  5. Altermodern è termine usato da Nicolas Bourriaud, nel suo testo di una conferenza tenuta nel 2005 all’Art Association of Australia & New Zealand Conference, per indicare nell’arte e da parte degli artisti la ricerca di una nuova modernità, attuabile nel mondo globalizzato. Per altermodernism egli intende un movimento connesso alla creolizzazione delle culture ed anche alla ricerca di autonomie.  Altermodern è stato nel 2009 il tema della quarta Tate Triennial alla Tate Britain, curata da Nicolas Bourriaud, con una grande esposizione internazionale ed un dibattito on line, tuttora accessibile nel sito.

http://www.tate.org.uk/whats-on/tate-britain/exhibition/altermodern

  1. Zygmunt Bauman, Vite di scarto, Roma-Bari, Laterza, 2005 [Wasted lives. Modernity and its outcasts, Polity Press, Cambridge 2003]
  2. David Harvey, La crisi della modernità, Milano, Il Saggiatore, 1993. Il titolo originale del libro, fondativo della possibilità di resistenza alla dissoluzione postmodernista, è The condition of postmodernity (1990, Basil Blakwell)

TRANSFORMERS VAMPIRI RECIPROCI? Narrazioni da Museo (Pigorini) a Museo (MAXXI) nell’Educational Day

Vampiri reciproci? A proposito della mostra Transformers al Museo MAXXI di Roma e del workshop ospite Trasformazioni Migranti dal Museo Pigorini, di Simonetta Lux

  1. Il workshop Trasformazioni migranti dentro la mostra TRANSFORMERS

Non avrei mai recensito la mostra TRANSFORMERS 1 dell’artista e designer di interni e di arredi il coreano Choi Jeong-Hwa, dell’artista messicano Pedro Reyes, del designer  di interni ed exhibition designer italiano- emigrato e con studio a Londra Martino Gamper e dell’architetto francese Didier Fiuza Faustino, curata dal direttore artistico del MAXXI di Roma Hou Han Ru e da Anne Palopoli ,se una domenica di marzo- il 6 – dedicata alla Educazione Museale- non fossi stata ri-invitata per così dire al suo interno, e insomma a rivederla, da Stefania Vannini (responsabile del Public Engagement del Museo MAXXI), col suo progetto Narrazioni da Museo a Museo . 2

Della Vannini l’idea di mettere in exhibition e in condivisione dentro il MAXXI (luogo deputato della ricerca artistica contemporanea) le esperienze dentro la collezione etnografica fatte da un gruppo di giovani migranti nel Museo Pigorini, cioè il Museo Nazionale Preistorico Etnografico, esperienze poi allargate al rapporto con gli artisti/transformers del MAXXI.3

Perché no? Ho fatto una lettura ed un apprezzamento al rovescio, per così dire, partendo da dubbi sulla persistenza di un ruolo dell’arte nella drammatica situazione che viviamo nel mondo globalizzato e nel processo dell’attualizzarsi di quello che nella narrativa geo-politica viene chiamato nuovo ordine mondiale.

Ciò che appare è lo spostarsi dall’IMMAGINARIO nella REALTA’, un avanti – e – indietro che solo può TRASFORMARE.

Perché non l’avrei mai recensita? Perché farlo proprio in occasione di questo evento?

Domenica 6 marzo, dalle 12 alle 13,30, alla Galleria 3 del Museo MAXXI, venivano annunciate Narrazioni da Museo (Pigorini) a Museo (MAXXI): lì, nella sala allestita da Martin Gamper con sedie di pseudo-design o pseudo-arte, si sarebbero seduti a raccontarci la loro esperienza sia di inclusione sia creativa un gruppo di giovani minori giunti in Italia da varie parti del mondo in viaggi (che ormai ben conosciamo), quasi sempre drammatici e al rischio della vita, soli in una terra sconosciuta: Ahmed Mohamed (Egitto), Mohamed Keita, Sardi (Albania), Mala Ka (Senegal), Kemo Ceesay (Gambia), Morthesa Khalegi e Andrea Alessandrini (Civico Zero), Toni Wiiliams .

Non sono artisti, ma attraverso una relazione creativa, guidata, con opere di artisti contemporanei al MAXXI e con manufatti preistorici – anche armi- al Pigorini possono arrivare a un narrare insieme con parole, con creazioni loro. La memoria del loro passato infantile nei paesi d’origine e il loro stato attuale,

 Veniamo così, in questa occasione, a conoscenza di una realtà di cattura e di sostegno di giovanissimi che potrebbero essersi persi (non leggiamo forse continuamente sui giornali di quante migliaia di giovani non accompagnati sbarcati e poi scomparsi non si sa dove? L’ultima notizia è quella della Giungla nei sotterranei della stazione Termini di Roma, nell’ultimo numero de “L’Espresso”): e non si sono persi, sono stati accolti, sono stati avviati ad una nuova vita di dignità e speranze.

Importante non solo l’incontro con loro, non solo l’incontro di loro con artisti di oggi e con artisti/uomini di epoche lontanissime, ma l’incontro con gli altri attori/promotori della loro azione creativa/narrativa e dell’evento:

  1. Il progetto Aver Drom del Centro Astalli (Andrea Anzaldi e Lucio Fabbrini, con la collaborazione di Jennifer Allsopp -Social Policy, dell’Università di Oxford) che ospita al suo interno tanti giovani minori non accompagnati
  2. Progetto SWICH (Sharing a World of Inclusion, Creativity and Heritage), sostenuto dal programma “Creative Europe” dell’Unione Europea 2014-2018: dieci musei di etnografia europei si interrogano allo scopo di costruire una riflessione allargata sui temi della cittadinanza e dell’appartenenza nell’Europa contemporanea e sul ruolo che il linguaggio dell’arte contemporanea può rivestire nello sviluppo di nuovi strumenti e pratiche per avvicinare la cittadinanza al patrimonio. Il MAXXI ne è entrato a far parte, con la guida di Stafania Vannini
  3. Il Museo Pigorini (il Museo Nazionale Preistorico Etnografico” Lugi Pigorini”), museo che colleziona tracce e opere dell’uomo e di organizzazioni di popoli dalla preistoria. I ragazzi ospiti dell’Aver Drom hanno operato la trasformazione di alcuni oggetti delle collezioni africane del Museo Pigorini, per lo più armi e abbigliamenti da guerra tradizionali, attraverso diverse tecniche: pittura, disegno, manipolazione, collage. Hanno quindi realizzato una vera e propria destrutturazione dell’oggetto adatto alla guerra riconfigurandolo a partire dalle proprie storie e idiosincrasie ed esplicitando questo ri-percorso di senso con la narrazione che accompagna l’opera e la sua realizzazione.
  4. Il MAXXI, museo delle arti del XXI secolo, dunque di opere di opere di artisti a loro contemporanei: in particolare si voleva che questi giovani extracomunitari e migranti vedessero nella mostra Transformers e in particolare nell’installazione Disarm dell’artista messicano Pedro Reyes le armi che ‘si trasformano’ in strumenti musicali
  5. Civico Zero, centro creativo ed espositivo, animato dal poeta e scrittore Yves Legal, i cui musicisti animano l’evento del 6 marzo.
  6. Progetto Becoming Adult, University of Oxford, Jennifer Allsopp.

Perché elencare tutti questi luoghi e personaggi del backstage del workshop Trasformazioni Migranti? Perché anche dietro i nuovi modi dell’arte contemporanea e dietro i nuovi ruoli in sconfinamento degli artisti ( come nel caso degli artisti della mostra Transformers), c’è un esteso backstage della mostra Transformers e degli espositori, un backstage di luoghi e personaggi non deputati dell’arte,  di azioni ed istituzioni indipendenti  e non istituzionali, di cui si viene a conoscenza e comunicazione anche attraverso i vecchi luoghi istituzionali dell’arte: insomma una funzione seconda, immaginifica e comunicativa della azione reale sociale e democratica, rispetto alla funzione prima: educativa ed inclusiva, ed in parte creativa (come nel caso del workshop di Narrazioni da Museo a Museo).

 

Didier Fiuza Faustino, Lampedusa, 2015 (dettaglio della installazione, MAXXI, Transformers, 2016). Foto di Simonetta Lux

 

Certo la musica a percussioni del gruppo di Civico Zero erano belle, le avremmo ascoltate all’infinito. I disegni e gli elaborati non così straordinari, ma i racconti molto emozionanti, che questi giovani ci facevano, ricordando, mostrando, emozionandosi alle congiunzioni tra l’oggetto morto trovato nel Museo Pigorini ed esperienze e memorie di percezioni dell’infanzia nel loro paese: la loro entrata nel mondo del collezionismo occidentale un evento esplodente.

Per noi stessi storici dell’arte e viziati da storie scientifiche prive di umanità (come d’altronde Picasso voleva, quando diceva che a lui non interessava nulla del rituale d’origine delle maschere africane del cui essenzialità formale poi poteva nutrirsi), per noi doganieri dell’arte, questo progetto evento di Trasformazioni Migranti” ci restituisce una percezione allucinogena di una storia che vivevamo o ci costringevano a vivere come/pur essendo “morta”.

 

Didier Fiuza Faustino, Corpo in transito, 2000, (scultura nell’installazione Lampedusa, 2015, MAXXI, Transformers, 2016). Foto di Simonetta Lux. © The artist and Galeria Filomena Soares, Lisbona

 

In effetti le cose eclatanti di questo incontro/workshop inter-museale realizzato nell’Educational Day sono state, in primo luogo, l’evidenza del doppio registro arte/realtà, cioè la separazione e incontro tra arte e realtà, tra artificio degli artisti e artefatti reali d’uso antichi e moderni. Per il contemporaneo, c’è la relazione con l’artista di Transformers Pedro Reyes, che ha trasformato armi di guerra in strumenti musicali, con un assemblaggio che ci ricorda il grande precedente italiano pop/etnico di Pino Pascali 4, ma anche un percorso dell’arte italiana del ventennio sessanta/ ottanta del Novecento.

 In secondo luogo, è stato centrato – nel workshop Trasformazioni migranti – l’atto così vitalistico di aver tirato fuori dalla tomba le opere delle prestigiose collezioni del Pigorini, facendone rivivere la presunta essenza nella realtà della condizione attuale dell’uomo. E averlo fatto fare a dei giovani migrati, cioè violentemente- seppur volontariamente- strappati al loro luogo /radice d’origine, è un modo di allinearli alla condizione di quegli “oggetti collezionati” dall’Occidente e strappato al luogo e contesto d’origine.

Ciò lo ha fatto anche – nella mostra Transformers, come vedremo – Didier Fiuza Faustino, estraendo opere d’arte dalla storia di duecento anni fa, attualizzandola.

La mostra del MAXXI ed il workshop al suo interno, si sono così collegate al livello dell’intervento sulla società e di un atto critico SUL MONDO ATTUALE, che nella mostra è evento di attori della scena dell’immaginario (la scena museale), mentre nel workshop è evento di attori reali della scena reale, chiamati a misurarsi col proprio immaginario.

L’azione e l’influenza reale e critica avvengono per entrambi solo nel mondo reale: il brand museale è deputato solo a narrare tale azione e tale influenza dell’esterno/sull’esterno.

 

(Foto di sinistra:  Jaques-Louis David, Madame Récamier, olio su tela, cm 174 x 224, Museo Del Louvre, Parigi. Foto di destra: René Magritte, Perspective I: David’s Madame Récamier, 1950, olio su tela, cm 60×80  Private collection).

 

  1. Possibilità di sfuggire all’ordine precostituito.

Quando nell’occidente si studia la storia dell’arte, si viene in genere inviati nel museo a studiare sequenzialmente le collezioni, in un modo estraniante e distruttivo di ogni impulso vitale ad esistere.

Sfuggire a questo ordine precostituito è in genere raggiungimento culturale, decisione presa contro tutte le regole dei compartimenti in cui è organizzata la cultura occidentale.

Didier Fiuza Faustino, Lampedusa, 2015, compensato, polistirolo, telo, cime (dettaglio della installazione, MAXXI, Transformers, 2016). Foto di Simonetta Lux

Ma gli artisti contemporanei, del novecento, almeno a partire da Dada (dal 1916) e dal Situazionismo di Guy Debord (dal 1956) ci hanno avviato a questa decodifica arbitraria dell’arte e all’apertura degli occhi sulla realtà della nostra condizione umana, sociale e politica. È su questa onda lunga che si è giocata tutta la libertà dell’arte contemporanea, malgrado tortuosità, impedimenti dittatoriali, fughe cosmetiche sulla tangente.

E’ dentro quest’onda lunga che surfiamo   tra gli orrori del neo liberismo spinto ad un plus-que-dickensiano cinismo anti-umano e le aspirazioni neo-imperiali di grandi potenze, mentre la sindrome di soffocamento e del fiato corto domina la ricerca artistica, sia a oriente sia a occidente.

Ora, è verso la fine del workshop, in cui mi frullavano in testa le cose e l’elenco di attori nella scena reale di questi giovani migranti, attori volontari che hanno deciso di agire così, che sono risalita su, nella mostra TRANSFORMERS, ed ho potuto/voluto rileggere il testo introduttivo di Hou Hanru   che la ha progettata e proposta.

Allora ho potuto smaltire la diffidenza verso quello che si presenta come uno pseudo-processo di trasformazione di oggetti comuni in arte, cioè –dechirichianamente- in altro-da-sé.

 Ma la vita? Gli Uomini? La condizione umana? Le vere cose di cui artisti della generazione che aveva vent’anni ai tempi di Debord diceva di volersi unicamente occupare?

(Foto di sinistra: Didier Fiuza Faustino, Lampedusa, 2015, dettaglio della riproduzione del quadro di Géricault, c on la tecnica Ben-Day dots, (installazione al MAXXI, Transformers, 2016). Foto di Simonetta Lux. Foto di destra: Dettaglio di Ben-Day Dots process in un particolare di quadro di Roy Lichtenstein).

L’accostamento agli oggetti comuni (pratica lanciata come sappiamo dal grande Marcel), amati dalla gente perché li capisce anche se sono kitsch o volgari come le scolapasta verdi brillanti o crudeli come le armi, è stata una scelta precisa anche della generazione di artisti che emergevano in Oriente post maoista e nel sud africano oltre che nel secondo-occidente, il sud America, negli anni 80 del ‘900, ivi incluso anche il romantic-conceptualism dei russi post-sovietici. I 4 artisti rappresentano dunque 4 parti del mondo oggi in ballo: Sudamerica, Asia, Europa e ad essi ha fatto riassumere l’istanza di trasformazione – che nella mostra nel museo non può non apparire a funzione “simbolica”, di un diverso modo o possibilità d’uso delle cose già fatte e già usate automaticamente. Ma essere “simbolico” e basta, non basta.

Concediamo loro a merito quell’ in più populistico – cioè riusare in bella forma o in bella strutturazione installativa ciò che nella coscienza comune è stato oggetto comune, pratico, e aggiungervi quella bellezza titillante e attraente- vedi Choi Jeong-Hwa- con il quale alcuni teorici dell’arte presumono si possa attirare ed includere un pubblico una massa-media da sempre esclusa dal mondo dell’arte contemporanea ed esclusa dalle istanze “critiche” che del mondo modernista dell’arte contemporanea erano proprie (l’illusione del movimento moderno di cambiare il mondo)

Il riuso è riadattamento vampiristico del senso di strutturalità formale e di progettualità del linguaggio moderno dell’arte, al senso e desiderio comune del bello inclusivo del basso, del kitsch e del volgare.

 In questo sono maestri i quattro transformers che sono esponenti – è bene sottolinearlo- di una categoria di transizione dal ruolo di architetto e designer a quello dell’artista (infatti tutti loro sono   individuati on line come “architetti/designer, “creativi”); col loro muoversi con meno remore verso il centro del sistema dell’arte, che ha giocato finora a fingere di legittimarli, senza veramente farlo.

Ma loro hanno un passo in più, rispetto ai maestri modernisti di cui vorrebbero essere un’altra variante (essere alter-modernisti)5

Voglio dire che quell’in-più sarebbe la rottura del confine dei ruoli nell’arte, e anche la estensione o facilitazione di accesso all’invenzione artistica a chi non lo ha mai avuto, purché dal simboleggiare si passi all’ agire, a una condivisione con quella massa-media, che difficilmente può avvenire nel museo, meglio in luoghi non deputati dell’arte.

Non si direbbe mai abbastanza di quanto di positivo e di negativo, nello stesso tempo, sia stato nella cultura moderna la separazione o circoscrizione di campi di azione e di ruoli dell’uomo: positiva in quanto ciò ha portato negli ultimi duecento anni della modernità balzi nella scienza, nella, politica, nell’economia; negativa in quanto in tutti i diversi campi in cui si è organizzato il moderno si è espunto l’uomo, il soggetto/persona: Vite di scarto recita il titolo di uno degli ultimi libri di Zygmunt Bauman.6

“Crepe nei trucchi, fusioni ai margini” titolava David Harvey il capitolo nel suo libro cult sul post- modernismo o fine della modernità. 7

Transformers relazionali globali

Il loro passo in più è raccontato dallo stesso Hou Hanru 8: loro operano tutti non solo nel Museo ma anche in un altrove rispetto al sistema globale e finanziario dell’arte, sono i relazionali e i radicanti che in giro per il mondo fanno fiorire esperienze extra-artistiche condivise “mettendo a disposizione” la loro capacità di forma.

Si può notare en passant che vi è tutta una storia da scrivere- per l’arte italiana del novecento- avanguardista, modernista e neoavanguardista: nella quale le pratiche di sconfinamento, la rottura surrealistica dei ruoli delle arti e dei codici inter artistici ha anticipato quanto esploso a partire dagli anni ottanta del ‘900 negli Orienti e nei Sud del mondo. 9

Pedro Reyes, il messicano che ha innescato- forse senza saperlo- la possibilità di azione/narrazione intermuseale del workshop di Trasformazioni Migranti, ci dice molto di più, oltre lo spazio dove le armi sono riassemblate in strumenti musicali, con la sua storia extramuseale che Hou Hanru delinea. Non è tanto l’oggetto trasformato a significare (ma nel Museo si possono esporre oggetti), ma la sua storia di matrice nei margini (il lavoro nelle favelas e con le comunità indigene).

Ed è il fatto che dopo la “fine del moderno” e dopo “la fine della utopia modernista”, Reyes faccia oggetto della sua opera “la sopravvivenza- come scrive Hou Hanru nel suo saggio- dell’impegno sociale e politico”: avendo come modelli nel suo Sudamerica, alcuni movimenti ed azioni sperimentali come il Barefoot Architect di Johan van Lengen o il Teatro dell’Oppresso di Augusto Boal. Tutti sappiamo quanto affossate e fuori moda (non cool) siano le idee di impegno: ma al di fuori- ed eppure “dentro” – il disfunzionamento delle istituzioni politiche e sociali egli organizza le pUN (People’s United Nations, nel 2013) per” incoraggiare i rappresentanti non-governativi di diverse nazioni a esprimere le loro opinioni e soluzioni ai conflitti geo-politici del nostro tempo” (p.20). Diciamo anche che oltre agli Oggetti Reinventati presentati nel Museo MAXXI, possa essere presentata nel catalogo della mostra la foto di quest’altra opera, dell’opera/incontro o Incontro/opera, Realizzata nel 2013 al Queens Museum di New York.

 Il suo titolo è una narrativa, una dichiarazione di esistenza e di essenza di quest’altra “opera” ovvero “opera d’arte” fatta di processo/relazione/progetto/incontro/ proposta, ed è nello stesso tempo stile/fotogramma di un processo qui fissato nel tempo: pUN, Peoples United Nations 2013 –oggi/present. Esempio di rottura di confini e di campi, possibilità di libera azione dell’uomo (dove ciò sia possibile sena incorrere nella censura dell’espressione delle idee, o nella repressione, o nella carcerazione, o nella uccisione (così diffusa in molti paesi del mondo globalizzato). Cioè esempio di opera d’arte che si è realizzata come Incontro: dei 162 rappresentanti di altrettante ONG e paesi che Esprimono, dicono, narrano le loro opinioni (e le azioni che loro compiono) per la soluzione di conflitti geopolitici contemporanei. La cosa interessante è che quando la mostra chiude, la azione continua altrove.

In modi diversi ciò è fatto anche da Martin Gamper, da Choi Jeong-Hwa, da Didier Fiuza Faustino (che si è ispirato a iniziative anarchiche come Hakim Bey con le Zone Temporaneamente Autonome:TAZ o al Fight Club di Chuck Palahniuk.

Didier Fiuza Faustino, Explorers, 2015, dettaglio della installazione di 7 elementi, stampa su carta fine art (MAXXI, Transformers, 2016). Foto di Simonetta Lux. 

Proprio l’architetto/artista francese Didier Fiuza Faustino con il suo angosciante ma riviviscente viaggio nella memoria culturale (Théodore Géricault, Le Radeau de la Meduse, 1818-1819) ci filtra continuamente nella attualità con la scultura Corpi in Transito, dell’opera Lampedusa (2015) installata al MAXXI: incarna tutte le incertezze di diagnosi e di speranza che Hou Hanru espone nel suo scritto.

1° punto: L’emergenza è globale e mette in luce le profonde contraddizioni del mondo in permanente trasformazione, create dal conflitto tra ideali utopici di progresso e la realtà delle lotte di potere nei campi della politica, dell’economia, della tecnologia, della cultura, e persino della vita quotidiana, insomma dell’intera società umana

2° punto: qualsiasi rivoluzione non può che essere contraddittoria (occorre ripensarle tutte)

3°punto: quale è le relazioni tra il corpo e la produzione spaziale, tra la singolarità di un individuo e la moltitudine di azioni collettive, tra le menti creative e i poteri politico-economici?

4°punto: come” evadere dalle limitazioni della realtà? “La creatività – scrive Hou Hanru- è il carburante della macchina della trasformazione”

Hou Hanru non fa che farci prendere atto dell’’ avvenuto grosso spostamento “di energia e forza creativa verso il mondo “emergente” non occidentale (Asia, Sudamerica, Africa); dell’esistenza di tante nuove “modernità” a base vernacolare accanto a sistemi consolidati di design/arte derivati dalla tradizione ufficiale di modernità. Dell’esistenza infine di una resistenza alla concezione ufficiale di autenticità e bellezza, attraverso un’arte pubblica che conferisce il piacere di modelli falsificati, oppure crea progetti collettivi “per innescare momenti insoliti di interazione e di dialogo”.

“La nuova sfida di questo momento storico di trasformazione è mobilitare la creatività di tutti in modo democratico per risolvere i problemi”, scrive Hou Hanru.

Dall’alto:

1.Pedro Reyes, DISARM, 2012, (dettaglio dell’allestimento al MAXXI, Transformers, 2016). Foto di Simonetta Lux.

2.Pedro Reyes, DISARM, 2012, pezzi di armi ricombinate e trasformate in strumenti musicali e in dispositivi per suonare (dettaglio dell’allestimento al MAXXI, Transformers, 2016). Foto di Simonetta Lux.

3.Pedro Reyes, DISARM, 2012, pezzi di armi ricombinate e trasformate in strumenti musicali e in dispositivi per suonare (dettaglio dell’allestimento al MAXXI, Transformers, 2016). Foto di Simonetta Lux.

4.Pedro Reyes, DISARM, 2012, strumenti musicali (nell’allestimento al MAXXI, Transformers, 2016). Foto di Simonetta Lux.

5.Cha Jeong-Hwa, Hubble Bubble, 2010 (nell’allestimento al MAXXI, Transformers, 2016). Foto di Simonetta Lux.

6.Didier Fiuza Faustino, Explorers, 2015, dettaglio della installazione (persona con pseudo strumenti di esplorazione di ambienti in rovina). Foto di Simonetta Lux. © The artist and Galeria Filomena Soares, Lisbona

7.Didier Fiuza Faustino, Explorers, 2015, dettaglio della installazione (nell’allestimento al MAXXI, Transformers, 2016). Foto di Simonetta Lux. © The artist

8.Didier Fiuza Faustino, Lampedusa, 2015, dettaglio dell’allestimento (MAXXI, Transformers, 2016), parete di fondo con la riproduzione de Le Radeau de la Méduse di Géricault in bianco e nero su tela, con la tecnica del Ben-Day dot, usata nel pop Roy Lichtenstein.

Foto di Simonetta Lux