Damien Hirst, Gordon Burn
Manuale per giovani artisti – L’arte raccontata da Damien Hirst

pubblicato a Londra nel 2001, è stato tradotto e distribuito in Italia nel marzo da 2004 da Postmedia Books. Secondo il progetto originario degli stessi Hirst e Burn, la pubblicazione doveva essere intitolata What you lose in the Sandwiches.
Il libro è concepito come un lungo dialogo (iniziato nel 1992 nel bar del Institute of Contemporary Arts – ICA di Londra in occasione della prima mostra dell’artista e concluso nella sala da biliardo di casa Hirst, sempre a Londra) tra Burn e Hirst: tredici incontri nell’arco di quasi dieci anni.
br., pp. 240, 163 ill. b/n, cm 15×21.

 

 

Il Museo Archeologico nazionale di Napoli ospiterà dal 30 ottobre 2004 al 30 gennaio 2005 una retrospettiva dedicata a Damien Hirst, The Agony and the Ecstasy
Quarantadue opere selezionate per un evento già annunciato e atteso da più di un anno: la mostra, dice Hirst, è in uno spazio perfetto, immerso nella vera “immortalità dell’arte”: terrecotte, affreschi pompeiani, papiri, mosaici e gemme incise.

 

 

LA CITAZIONE: “La mia visione dell’arte si basa sulla musica pop, sul cinema e sulla televisione. <<Hai visto quella pubblcità di Tony Kaye l’altro giorno?>>, <<Hai visto Top of the Pops ieri sera?>>. All’Accademia quelli della mia generazione non parlavano d’altro.””.p.52

Irritante, provocatorio e scontato, trasgressivo e quasi sempre (apparentemente) molto sincero e diretto: forse uno dei membri più prestigiosi dell’Accademia dei Sopravvalutati?
In questo libro interamente composto di dialoghi, Damien Hirst è nudo davanti al suo pervicace intervistatore Gordon Burn: 10 anni di pazienti registrazioni e sbobinature, nei luoghi più disparati dell’Inghilterra: dall’Institute of Contemporary Arts – ICA di Londra, dove Hirst preparava la sua prima mostra, in un pub sgangherato di Brixton tra gli schiamazzi degli avventori che guardano di una corsa di cavalli alla televisione, sull’isoletta di Lundy, 20 anime e un pub, dove Hirst tenta di sfuggire alla parte di pop-star dell’arte contemporanea che si è/gli hanno cucito addosso.
Manuale per giovani artisti – L’arte raccontata da Damien Hirst, uscito pochi mesi fa per Postmedia Books ed assolutamente indispensabile da sfogliare prima di visitare la retrospettiva dedicata all’artista britannico che il Museo Archeologico di Napoli inaugura il 30 ottobre, è un passaggio obbligato per chi vuole capire qualcosa di più sul fenomeno dei YBA – Young British Artists e per conoscere meglio un artista che il senso comune definisce ora ironico, trasgressivo, provocatorio o irriverente, ora discusso o “il più grande artista” di fine millennio, e che, forse, è più semplicemente un artista che ha incarnato le tensioni e le tendenze sociali e culturali degli Anni Novanta, caricandole con la sua storia e la sua esperienza assolutamente british.
Il racconto inizia con la Londra di fine Anni Ottanta ed inizi Novanta: l’arrivo al Goldsmiths College, la curatoria per la mostra Freeze (1988) e la prima mostra “YBA – Young British Artists 1” alla Saatchi Gallery. La storia e il successo iniziano da qui. Hirst ha il vero physique du role della working class britannica: da Leeds, profondo nord operaio e proletario, quello stesso ambiente che Ken Loach ha descritto così accuratamente nei suoi film, il giovane Damien arriva a Londra (Brixton per l’esattezza, il ghetto povero e nero della città dove abitava con alcuni amici). Come riconosce lui stesso, la sua preistoria lo sprona e lo rende determinato a fare quello che ha deciso sarà la sua strada, una vera carriera di successo costruita grazie alla paziente e determinata tessitura di relazioni ed il laborioso operato da commerciale e di marketing.
Il cinico, e determinato, rapporto con il denaro, lato oscuro e molto discusso del lavoro dell’artista, gli permettono di sorvolare con leggerezza le critiche dei suoi detrattori, ed anche di passare dall’essere artista all’essere curatore (come nell’esperienza della mostra “Freeze”, del 1988): “Agli inizi, trovavo uno spazio, facevo una mostra e poi… già allora pensavo che l’aspetto economico dell’arte facesse parte del lavoro” p.14
Vivere e lavorare a Londra significa anche ereditare una storia culturale e artistica che va dalla memoria del post-punk (e non è un caso che fosse caro amico di Joe Strummer, cantante e profeta dei Clash morto nel 2003) e dei contemporanei Uh-Uh Party dei neoisti e di Stewart Home, trapelano da ogni riga del racconto, come quando, incalzato sulle “chiacchiere di essere artista in questi tempi: promozione, pubblicità, inaugurazioni” dice senza smorfie: “Mi sta bene che ci siano anche tutte queste cose, i drink gratis, le inaugurazioni. È un’ottima maniera per fare una festa senza sfasciare una casa”. p.28
Nel racconto però c’è sempre spazio per l’opera, la cosa veramente centrale di tutto il libro, sempre in primo piano tra le battute ed i racconti apparentemente di basso profilo: “Quando stavo organizzando Freeze lavoravo per M.A.S. Research, una ditta che faceva ricerche di mercato. Lì ho capito che puoi avere tutto facendo solo una telefonata. <<Salve sono Damien Hirst, sono della M.A.S. research e sto facendo un’indagine sugli elettrodomestici. Posso farvi qualche domanda? Non vi ruberò più di due minuti>>. Facendo così ho acquisito una sicurezza incredibile al telefono…La cosa fantastica è che ho sempre avuto paura del telefono. <mi terrorizzava. Non ce la facevo.”.. p. 41-42
Da allora Hirst capisce che tutto si può ottenere con una telefonata, anche uno squalo di quattro metri e mezzo per la mostra YBA1 (1992) smuovendo musei ittologici e pescatori australiani. Sempre con il telefono, fingendosi una società di comunicazione, per anni riusciva a farsi mandare gli inviti di tutte le inaugurazioni di Londra. Il trucco? Rispondere alle chiamate anche la mattina presto, con la voce squillante e professionale, pur avendo passato una notte bevendo, drogandosi e vomitando con i tuoi amici.
Domanda: “Il fatto che questa metodologia di ricerca incasinata, anche lunga in termini di tempo, risulti poi un lavoro pulito e minimale una volta che arriva in galleria, eliminando tutte le incertezze e la fatica, mi sembra che dica molto del tuo carattere.
Risposta: “Quando dico essere teatrale intendo questo. La cosa più bella dell’arte è che hai la possibilità di sbarazzarti di tutto il bagaglio della tua vita, in modo che diventi come qualcosa di diverso dalla vita. “Mi piacciono queste cose, la ricerca, la preparazione, ma sono solo passaggi strumentali al risultato finale”. p. 44
Difficile, andando avanti nella lettura, non pensare a uno di quiei filmoni americani sull’ascesa e la caduta di un idolo pop, leggendo questi dialoghi tra Hirst e il sua amico scrittore Gordon Burn. Uno di quei film tipo “The Doors” di Oliver Stone, o “Larry Flint” di Milos Forman, la cui chiave di lettura che scandisce la narrazione sembra essere: “gloria e decadenza di un personaggio famoso”.
Andando avanti con gli anni infatti, Hirst si dimostra sempre più problematico e sconcertato di fronte al successo, al denaro di Saatchi (che dopo anni ha addirittura ricomprato le sue opere da altri collezionisti e gallerie), ai critici assillanti, a chi gli sta intorno solo per il successo. La banalità della fama sembra toccarlo, insieme alla crisi. Inizia così una serie di attività esterne: dopo l’inaugurazione di Sensation presso la National Gallery di Londra nel 1997, che è come una “mini-retrospettiva” di Hirst, ed una mostra a Zurigo che è un vero fiasco, Hirst realizza il video per la hit dei Blur “Country House”, il gruppo Brit Pop del momento, e apre Science, la società che gestiva tutte le sue attività extra-artistiche, il cui ufficio è ospitato in un elegantissimo e very british edificio di Bloomsbury, nel centro di Londra, accanto ai numerosi uffici di uomini di affari. Nel 1997 inaugura anche un ristorante nel quartiere londinese di Notting Hill. Il locale, chiamato Pharmacy, ha chiuso nel 2003 ed i suoi oggetti sono stati messi all’asta il 18 ottobre scorso.
Cos’è l’arte? Come viene percepita? Che ruolo ha? Chi viene veramente toccato da un’opera?
Ne segue digressione sull’essere famoso, sul farsi rovinare da critici e galleristi che vivono sulla tua pelle, sull’abuso delle opere d’arte, che sono oggetti meravigliosi cannibalizzati dagli interesse del mercato. Sulla Gioconda, Duchamp, Warhol e e la cultura pop.
“Andavo ancora in giro con i miei vecchi amici come avevo sempre fatto, ma all’improvviso ero sulla difensiva contro la gente che voleva approfittarsi di me. Mentre prima mi fidavo di tutti, adesso ero sempre sulla difensiva. Avevo capito che per qualcuno ero solo un bene di consumo”. p. 92
“Ti racconto una discussione che ho avuto con un’assistente che faceva per me i quadri puntinati [Spot studio, 1995, che hirst fa dipingere da alcuni assistenti che paga 6 punds l’ora, n.d.r.]… Disse: <<Beh, voglio uno dei tuoi quadri puntunati. Ne ho fatti tanti per te. Ho fatto quadri puntinati per un anno e ne voglio uno.>>. Le ho detto: <<Ti dò un assegno da settanta mila sterline se vuoi. Facciamo così, perché sai che lo venderai subito. Sai come farli. Fattene uno da sola>>. E lei: <<No, voglio uno dei tuoi>>. Ma l’unica differenza tra uno dei suoi ed uno dei miei sono i soldi…
I quadri puntinati sono favolosi, cazzo. Sono fenomenali, deliziosi, e non c’entrano niente con i soldi. Però, siccome ho preso dei soldi, hanno smesso di essere la luce che illumina la stanza per divetare la rovina della mia vita del cazzo. La gente che li possiede all’improvviso passa davanti al quadro di Damien Hirst sul muro e pensa: <<Quarantamila sterline. ingrandirò la cucina>>. Si può dire che per me l’arte a certi livelli non ha funzionato, anche se pensavo il contrario>>. pp.80-81
Essere coerenti? Non è questo il punto, e tutto il libro è costellato di posizioni difese e poi qualche anno dopo ribaltate. Ciò che interessa è il punto di vista, sempre volutamente autoreferenziale, mai troppo scontato, e spesso meno irritante e sfrontato di quanto lo dipingano, di un artista contemporaneo degli ultimi anni, del suo modo di togliersi d’impaccio tra vita privata, mercato, mostre, abuso e consumo delle immagini, cultura pop.