La Biennale del 2003 curata da Francesco Bonami è stata oggetto di numerose e dibattute polemiche. Per chi ha visitato l’evento nei giorni del vernissage a Venezia è rimasto il ricordo di giorni caldissimi e di percorsi affollati, in una ardimentosa staffetta scandita da sequenze interminabili di “avventurosi” e audaci clichè artistici che esaurivano la loro carica espressiva e comunicativa nella vocazione a non lasciarsi de-criptare; il padiglione spagnolo con Santiago Sierra trovava la sua geniale riuscita anche facendosi portavoce, inconsapevole, di una tale chiusura o forse di una semplice inadeguatezza al comunicare.
Tutto questo è già stato argomento di discussione, volendo passare oltre, o ad altro, quest’oggi c’è da riflettere su qualcosa che rischia di passare inosservato e che, invece, potrebbe procurare, agli organizzatori della manifestazione, un tardivo e riqualificante riconoscimento. Durante questa estate, andando in alcune città del Sud Italia, può capitare di imbattersi in una delle tante sezioni tematiche che hanno costituito la scorsa Cinquantesima Esposizione delle Arti Internazionali, una di quelle undici proposte curatoriali che ne hanno costituito la complessità e la frammentazione. Proprio così, non è fantascienza, la Biennale ha fatto armi e bagagli e si è diretta alla volta delle zone più lontane e distanti dai palcoscenici abituali del sistema dell’arte, dallo sfolgorante luccichio dei suoi luoghi abituali, nonchè dalle sue salottiere dimensioni familiari. Una risoluzione questa maturata da un coacervo di forze organizzative: la Fondazione Biennale di Venezia, il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, DARC e il Ministero dell’Economia e delle Finanze; a tutte queste autorità ha sicuramente giovato il sostegno entusiastico degli enti territoriali meridionali. La pianificazione e la realizzazione finale del progetto si è attuata con tempi rapidissimi, dal maggio 2003 al maggio 2004. Gli obiettivi e gli intenti pronosticati derivano dalla volontà di espandere e diffondere una proposta espositiva che, più di tutte le altre, si presta a rispondere alla crescente richiesta di accessibilità della cultura e dell’arte in particolare. Non è una esagerazione rivendicare, per questa iniziativa, la sua natura rivoluzionaria e la sua altissima potenzialità sociale e politica. Se è ancora vero che l’arte anticipa sempre metamorfosi e traguardi di altri generi, ben venga questa piccola rivoluzione con l’auspicio che possa portare a ben altri sviluppi, in un meridione che ancora non ha risolto problemi strutturali di primaria importanza (penso alla mancanza di acqua o di una adeguata viabilità stradale)!
Ad inaugurare le dieci mostre, dislocate in altrettanto città del Sud (Bari, Lecce, L’Aquila, Napoli, Reggio Calabria, Campobasso, Palermo, Bagheria, Matera) è stata Potenza, capoluogo della Basilicata e lodevole centro di poca ma buona promozione artistica (si segnala la bella mostra, visitabile fino al 29 giugno, Cinesi, artisti tra tradizione e presente, a cura di Laura Gavioli, ospitata dalla Pinacoteca Provinciale, che propone uno spaccato interessante dell’ultima generazione di artisti cinesi). In questa sede il 29 maggio si è aperto questo nuovo sconfinamento del contemporaneo, con la sezione, curata da Igor Zabel, Sistemi Individuali, in cui sono riuniti artisti mossi da una medesima aspirazione, rivendicare l’autonomia sistemica della propria ricerca: un obiettivo importante certo, ma risponde a pari risultati? A giudicarlo si cercano nuovi interlocutori, forse perchè quelli di sempre, l’anno scorso, non si sono dimostrati entusiasti. Sensi contemporanei, questo il nome dell’intera manifestazione voluta dalla Biennale, si prefigge infatti anche un altro obiettivo, ossia di sviluppare, per il nuovo pubblico, una serie di approfondimenti formativi, attraverso una serie di appuntamenti didattici sulle ultime evoluzioni artistiche. La promozione di simili programmi è sempre augurabile, da Nord al Sud al Centro, credo che ovunque si manifesti, da un lato, uno stesso bisogno nello spettatore e, dall’altro, si imponga uno stesso dovere da parte dell’organizzatore. A questo proposito vorrei rivelare un piacevole episodio: Igor Zabel, durante l’inaugurazione, ha indossato le vesti di guida turistica, accompagnando i presenti al cospetto di ogni singola opera per agevolare la comprensione; non potrei dire fino a che punto a Venezia gli specialisti in visita non ne avrebbero, altrettanto volentieri, usufruito. Si colga dunque l’occasione per saperne di più, visto che difficilmente oggi l’arte si presta ad una comprensione immediata!
Il Museo Archeologico Provinciale di Potenza appare uno spazio espositivo insolito, problematico: da un lato presenta una struttura razionalista, lasciata ad un’incuria estetica che la debilita, e si iscrive in un contesto urbano inospitale e scostante; dall’altro dispone di ambienti versatili e, soprattutto, di un’eccellente luminosità, dovuta ad un cortile interno sul quale le sale si affacciano con pareti vetrate. In questo contesto le opere scelte da Igor Zabel si inseriscono con eccellente sintonia; sembrerebbe che l’allestimento concepito da Josef Dabernig per le Corderie di Venezia l’anno scorso, trovi qui un corrispettivo, e non intenzionale, razionalismo espositivo, condiviso da una pari ed entusiastica carica utopica. Il curatore ha dichiarato, in conferenza stampa, di aver realizzato a Potenza una delle sue migliori mostre; e la mostra è veramente bella. Rispetto al susseguirsi incalzante ed ininterrotto delle sezioni volute da Bonami a Venezia, dove le diverse volontà curatoriali erano prive di separazioni e demarcazioni nette, qui a Potenza, come nelle altre città coinvolte, si ha modo di percepire, delle diverse mostre, l’organicità.
Si può dunque giungere alla conclusione che l’esperimento della traversata dell’Italia sia riuscito? Partecipare alla Biennale di Venezia nella sua sede naturale non è certo esperienza da poter clonare, credo che su questo non si possa dissentire. Ma a questa iniziativa sono state mosse una serie di pesanti critiche, prima fra tutte quella di essere una campagna colonizzatrice ai danni del Sud. Sebbene la amplissima dislocazione geografica con cui vengono a presentarsi le undici sezioni di Sensi Contemporanei non consente una reale panoramica della manifestazione e dei suoi contenuti (a meno di non cimentarsi in una escursionistica peregrinazione nel Sud Italia), credo che l’importanza di questa iniziativa, alla sua prima edizione, risieda altrove. Uno scopo può essere visto nella volontà di creare incentivi e stimoli alla promozione culturale, e chi meglio della Biennale può fare da richiamo iniziale per ulteriori e motivati sviluppi. Decentrare i centri culturali, dislocare su tutto il territorio italiano gli eventi e le manifestazioni artistiche è sicuramente da ritenersi obiettivo doveroso ed encomiabile; bisogna immaginare per il futuro percorsi e progetti che nascano e vivano solidalmente con le nuove ubicazioni. Se ne deduce alla fine che l’esperimento funziona e può funzionare, a patto che lo si intenda come qualcosa di altro e diverso, e non come un surrogato della grande e famosa manifestazione veneziana.

Dall’alto:

Museo Archeologico Provinciale di Potenza

Museo Archeologico Provinciale di Potenza

Simon Starling, Flaga (1972-2000), 2002

Igor Zabel, curatore della mostra Sistemi Individuali,                                                                     Museo Archeologico Provinciale di Potenza