Sala 1

Tra gli spazi espositivi che nella capitale sono riservati all’arte contemporanea è ormai nota la galleria Sala1, con le sue ampie arcate di mattoni a vista e il suo giardino con vista archeologica.
Sintesi perfetta di sacro e profano, la galleria si trova nel complesso pontificio in piazza di Porta S. Giovanni e occupa gli spazi che, in base al progetto degli anni trenta, costituivano la cripta del Santuario della Scala Santa, il cui ampliamento non fu mai portato a termine.
Pensato dunque come spazio sacro e inserito in uno dei luoghi religiosi della città, Sala1 sembra conservare nelle sue strutture la suggestione e il fascino dei luoghi cultuali e, nello stesso tempo, come spazio per l’arte in continua sperimentazione, reinventarsi una nuova identità: è in questa rivisitazione e prosecuzione del passato nel presente che la galleria fa suo e riflette il carattere precipuo della città, nell’incessante stratificazione e commistione di storia e di cultura che da sempre la contraddistinguono. La destinazione di queste strutture a luogo polivalente per l’arte contemporanea risale al 1970 e alla figura dello scultore Tito Amodei che, insieme ad un gruppo di collaboratori, ne bonifica gli spazi e dà vita all’associazione culturale no-profit.
Amodei segue in prima persona l’attività espositiva di Sala1 fino al 1976 quando decide di affidare la direzione artistica agli artisti stessi : Sala1 diventa così, nella seconda metà degli anni settanta, un importante luogo di effettiva sperimentazione artistica ed espositiva (tra l’altro, è di questi anni l’attività di Enrico Crispolti e Mirella Bentivoglio e l’esperienza de “La Scala” di Domenico Nardone con le prime mostre del gruppo di Piombino).
Con la direzione di Mary Angela Schroth, dal 1986, Sala1 si orienta sempre di più alla realizzazione di progetti inediti e sperimentali con una programmazione sfaccettata che abbraccia diverse e molteplici iniziative con uno sguardo attento all’arte internazionale: ricordiamo Mosca Terza Roma che nel 1989, anno di importanti rivolgimenti politici e sociali, dà spazio all’arte sovietica, o Incroci dal Sud che, in collaborazione con la Biennale di Venezia, propone artisti dal Sud Africa.
Sala1, come si vede, non è legata a precisi ambiti culturali o espressivi, quanto piuttosto ad una proposta d’arte poliedrica, aperta a seminari, laboratori e incontri per una collaborazione fattiva tra diverse istituzioni e gruppi di lavoro. La galleria in questo senso non è più solo il luogo per l’artista e per l’opera ma diventa uno spazio di interazione tra diverse realtà, luogo di incontro per l’arte e la cultura in cui realizzare progetti complessi.
È in quest’ottica attenzione alla sperimentazione artistica e di collaborazione internazionale che si inseriscono anche i prossimi progetti della galleria: per i primi di settembre infatti è in programma Fuoriluogo 8 – Arte del Molise a Roma, che per la prima volta presenterà a Roma una selezione di artisti molisani contemporanei. Frutto di un inedito scambio tra la galleria Sala1 e l’associazione “Limiti Inchiusi” di Campobasso, la mostra non è solo un’occasione per far conoscere le direzioni della ricerca artistica contemporanea al di fuori dell’ambito regionale ma anche un’iniziativa di apertura e di scambio tra avanguardie e sperimentazioni diverse: dall’1 al 20 settembre a Campobasso sarà infatti ospitata la mostra Afritalia che, a cura di Mary Angela Schroth, presenterà in Molise sette artisti africani attivi nel nostro paese. Un progetto dunque che, ancora una volta, fa dell’arte una proposta concreta in grado di abbattere e superare confini e nazionalità per divenire un incontro tra i diversi linguaggi della ricerca artistica e un momento in cui rivelare l’unità complessa della realtà nella composizione di identità e differenze che costituisce il luogo vivente del contemporaneo.

 

Sala1
Piazza di Porta S. Giovanni,10 00185 Roma
tel.06/7008691
e-mail sala_uno@tin.it
mart-sab 16,30-19,30

 

Dentro e fuori i monasteri

Alla sua seconda edizione, il Festival Internazionale di Fotografia di Roma dall’8 maggio al 22 giugno invade la città con più di quaranta esposizioni che si inseriscono e vivificano il tessuto artistico della capitale con l’evidenza e la forza dell’immagine: a partire dai Mercati di Traiano, che per l’occasione divengono teatro degli scatti di Josef Koudelka, Fotografia si dirama tra i più importanti luoghi artistici e istituzionali della capitale – da Palazzo Braschi, alla Centrale Montemartini, al Macro e all’Auditorium – fino agli spazi privati protagonisti di questa Reinassance romana del contemporaneo: dalla Fondazione Olivetti, agli Istituti di Cultura, alle Gallerie d’arte, Fotografia diventa un percorso d’arte nell’arte e costruisce un mosaico di immagini tra le vestigia della capitale in cui ogni tassello contribuisce a dare una visione globale e sfaccettata della contemporaneità multipla e sfuggente.
Il tema di quest’anno è quello delle Comunità, da intendersi senza limiti di definizioni: comunità come nuclei etnici, ma anche come identità culturali e sociali che vanno a comporre il quadro frastagliato e contraddittorio delle nostre differenze. La fotografia contemporanea risponde a quest’appello con uno sguardo impietoso e lucido nello stridore delle contraddizioni in cui si trovano a convivere il mondo della movida madrilena e la miseria della Russia, i fantasmi umani in esodo dal Kosovo e l’universo adolescenziale e futile delle ragazze di Beverly Hills.
In quest’ambito la galleria Sala1 presenta una mostra che sembra collocarsi come un’oasi di riconciliazione con la realtà: con gli occhi di tre fotografi italiani, Dentro e fuori i monasteri propone la realtà senza tempo delle comunità monastiche e diventa un momento di black out dalla frenesia del consumismo e dalla durezza della miseria che ne è contraltare, in cui la “comunità” diventa sinonimo di una dimensione condivisa e intima, silenziosa e pacifica. La mostra, curata da Diego Mormorio, presenta una selezione dei immagini di Gianni Berengo Gardin, Gianfranco Lunario, Simona Filippini e Giuseppe Leone e ci dà il ritratto di un mondo lontano dalle luci della ribalta, che pure è diventato negli ultimi anni oggetto di interesse sempre maggiore da parte della collettività.
Con il suo occhio intrusivo la fotografia ci lascia entrare da un punto all’altro dell’Italia oltre le soglie dei conventi di clausura, nei monasteri, nelle stanze di lavoro, nei cortili: dalle suore operose o in preghiera di Catania o Siracusa di Giuseppe Leone alle suore di Clausura di S.Chiara di Assisi di Gardin, al Monastero Benedettino di S.Scolastica a Subiaco delle fotografie di Lunario.
Giuseppe Leone ci dà un’immagine profondamente evocativa di una spiritualità intensa e pregnante sullo sfondo di una Sicilia barocca e, citando Gesualdo Bufalino, “alla Sicilia s’accosta come a un impervio corpo di donna ora sfiorandola appena, ora facendole teneramente violenza; ora guardandola con finta pigrizia, come dal balcone di una stella remota'”, Simona Filippini si serve invece della fotografia come mezzo per cogliere, attraverso i dettagli delle manie dei volti e con un uso quasi evanescente del colore, una realtà intima e introspettiva. Berengo Gardini pone l’accento sulle comunità monastiche come luoghi di lavoro e di produzione: la sua immagine nitida nell’essenzialità del bianco e nero ci restituisce uno sguardo pulito e analitico sul mondo monastico, con l’occhio abile di chi negli anni ha saputo scoprire il valore della fotografia come strumento di indagine sociale, documentazione, descrizione ambientale. Il fotografo ligure non si discosta nemmeno in questo caso dalla volontà che da sempre anima il suo lavoro: narrare per immagini la diversità di vita e di costume, di abitudini e di lavoro che nella vita è andato scoprendo nei manicomi così come nelle risaie del nord o tra gli zingari. La vita monastica si rivela qui non solo come vita mistica e ascetica ma come vita di lavoro attento e prezioso. Anche Gianfranco Lunario ci restituisce una visione del mondo monastico dedito alla concretezza del lavoro quotidiano: un lavoro soprattutto manuale – dalle stamperie alle falegnamerie al lavoro della terra – che rivela una dimensione di impegno non separata dalle cose del mondo ma anzi in una comunione profonda e intima con esse. Dentro e fuori i monasteri compone allora, nella diversità di ogni scatto e di sensibilità estetica, un quadro sfaccettato e non convenzionale della vita monastica, che viene ritratta nelle cose di ogni giorno, al di fuori di qualsiasi enfatizzazione romantica. Rivelata dalla fedeltà di questi scatti, l’idea di comunità che emerge da queste immagini è anche qui allora il luogo di un’appartenenza, tuttavia non d’emarginazione: la comunità diventa una dimensione di vita in cui non ci sono distinzioni etniche, sociali o culturali e in cui, lontano dalla girandola del mondo dei consumi forzati, sembra potersi riscoprire il valore e la serenità della quotidianità di un lavoro e di un impegno a misura d’uomo.