Bibliografia

 

   Società Trasparente, 2000,
   Gianni Vattimo

 

   Lo specchio e il Simulacro, 2007,
   Paolo Bertetto

 

  Manuali per giovani artisti, 2005,
   Damien Hirst

 

   I Miti del nostro tempo, 2009,
   Umberto Galimberti

 

   I Limiti dell’interpretazione,1990,
   Umberto Eco

57° Biennale di Venezia. DAMIEN HIRST, la narrazione come opera d’arte. La mitologia del falso.

 

Quale è l’arte? la narrazione oppure l’opera d’arte o tutte e due insieme? Dove è la finzione e dove la realtà? (Elena Geuna – curatrice della mostra)

 

Il vascello Apistos, in grecoIncredibile, per motivi misteriosi naufragò portando con sé negli abissi dei mari d’Africa la più grande collezione di cose provenienti da diverse culture. Dopo duemila anni un artista inglese, Damien Hirst, finanzia un’operazione di recupero per portare in superficie questo magnifico tesoro appartenuto a Cif Amotan II di Antiochia, uno schiavo che nacque povero per poi diventare ricchissimo, come lo stesso Hirst. L’idea di Amotan era quella di erigere un tempio al Dio Sole per mostrare la sua immensa collezione al mondo intero ma il destino ha delegato, venti secoli dopo, un artista inglese per farlo in un tempio altrettanto prestigioso, quello dell’arte.

Treasure from the Wreck of the Unbelievable (Tesori dal relitto dell’Incredibile) è la prima grande personale di Damien Hirst in Italia, dopo la retrospettiva nel 2004 al Museo Archeologico Nazionale di Napoli. Ed è la prima volta che le due sedi veneziane della Pinault Collection, Punta della Dogana e Palazzo Grassi, dedicano contemporaneamente gli spazi allo stesso artista.

La mostra, curata da Elena Geuna in quattro mesi, è frutto di un lavoro durato circa dieci anni. L’ultimo evento importante legato a Hirst risale al 2008 quando vendette le nuove opere della serie Beautiful Inside My Head Forever all’asta Sotheby’s senza passare dalla mediazione delle Gallerie, direttamente al pubblico, con un incasso di 111 milioni di sterline. Record che avvenne lo stesso giorno in cui inizio la crisi economica mondiale con il fallimento di Lehman Brothers.

L’opera è il racconto.

Il recupero del tesoro, attestato da fotografie, video e da filmati proiettati, cosi come le didascalie che accompagnano gli oggetti esposti, palesano la veridicità del racconto di Hirst. Ma una volta entrati all’interno della mostra, che idealmente comincia a Punta della Dogana dove sono stati relegati le opere non ancora restaurate ricoperte da coralli e conchiglie, scorgiamo che l’antico comincia a fondersi con il contemporaneo. Insieme ai busti in bronzo di antichità greche, egizie ed induiste, ci sono statue di Topolino e Pippo, modelli di Transformers, Mowgli che gioca con Baloo. E non ultimo il busto in bronzo di Hirst che lui spaccia per Amotan. In realtà tutti gli oggetti sono stati realizzati da Hirst. L’opera è un gioco.

“Tutto sta nel voler credere” afferma l’artista. Ricorda il Club Silencio di Mulholland Drive di Lynch “E’ tutto registrato, è tutto un’illusione”. Quale è la realtà e quale la finzione? “L’arte ci rende pericolosamente vicini a Dio, sebbene io non abbia alcuna fede in Dio ma un’indiscutibile fede nell’arte” afferma Hirst nell’intervista a D-La Repubblica. Credere nella finzione? L’operazione di Hirst è quella di riconnetterci al mito creandone uno nuovo, moderno, dove è labile il confine tra finzione e realtà, anzi non esiste nessun confine, è l’insieme dei due che crea il mito contemporaneo, la promiscuità, la commistione, è il tutto e la contraddizione di tutto, desiderio e repulsione, Eros e Thanatos. Se è vero quello che sostiene Vattimo nel suo libro La Società Trasparente(2000)che bisogna ridefinire la propria posizione rispetto al mito per avere una risposta adeguata al problema di “cosa significa pensare”, l’operazione di Hirst possiamo definirla compiuta. Ma il racconto di Hirst si fonda apertamente su una menzogna.

Come dobbiamo porci difronte ad un’immagine falsa, ad un fake? Orson Welles in F for Fake ci descrive la sua interpretazione, e a differenza di quello che ha sostenuto la scuola baziniana che lo elogiava come rappresentante del cinema della realtà, la cinematografia di Welles ruota intorno alla questione della finzione e della realtà. In Quarto Potere il personaggio di Kane è oggetto di diverse interpretazioni della sua persona, quale di queste è vera? Tutte? Inoltre anche il cittadino Kane era un collezionista di oggetti, nella carrellata finale del film vediamo l’accumulo seriale di cose trovate e cercate, antiche e moderne proprio come il mito rinnovato che ci propone oggi l’artista a Venezia.

La questione del falso nel cinema viene ampiamente discussa da Paolo Bertetto nel suo libro Lo specchio e il Simulacro, un’intensa ed esaustiva ricerca sull’iscrizione della verità nell’immagine filmica che, secondo Bertetto, trova una risoluzione nella diegesi, nella narrazione stessa. Il racconto svela la finzione, il susseguirsi delle immagini, il dispiegarci della storia, ci rivela l’inganno. L’immagine filmica è un’immagine simulacro perché è la copia di un profilmico che è esso stesso la copia del reale. Nell’opera di Hirst la questione del falso “si riconduce all’orizzonte dell’enunciazione”, per ricordare Eco nel testo I Limiti dell’interpretazione, l’oggetto artistico diventa l’immagine del falso solo se è accompagnato dalla narrazione del falso.

Gli artisti degli anni ottanta/novanta, tra cui Damien Hirst, utilizzano la merce-feticcio, il brand di moda, per oggettivare l’idea del “falso inganno”, dell’immagine del falso. Invertono il processo della decostruzione, utilizzato dagli anni sessanta fino ad allora, e riportano il readymade al suo statuto iniziale e cioè quello di oggetto, delegando all’immaginario comune, in quanto oggetto riconoscibile, di uso comune, la funzione di enunciazione, di racconto. Lo status symbol, rappresentato da quell’oggetto, dal brand, diventa il narratore implicito, extradiegetico, l’imbonitore della falsità, l’illusionista menzognero dell’immagine.  Ma la merce-feticcio perde la sua funzione identitaria nel momento in cui si definisce opera d’arte, in questo modo abbandona la dimensione dell’immaginario per entrare in quella del simbolico, del linguaggio. L’opera d’arte, matura, diventa segno, rinnova il suo inconscio, progredisce nella costituzione della sua soggettività, come teorizza Lacan nello stadio dello specchio, e dal riconoscimento della propria (falsa) immagine passa all’acquisizione della parola, quindi acquisisce una nuova capacità di raccontare la propria insita natura simulacrale. Treasure from the Wreck of the Unbelievable (Tesori dal relitto dell’Incredibile) è la testimonianza di una rinnovata struttura delle pratiche artistiche.

La mostra espone 189 oggetti recuperati dal vascello. A Palazzo Grassi, intonandosi con l’eleganza del luogo, si trovano i reperti con materiali più preziosi, oro argento, giada, malachite, smeraldi , e sono tutte ripulite. Busti di divinità egizie, greche ed induiste, lingotti con iscrizioni greche, cinesi, maya e romane, elmetti, spade e vasi dai materiali diversi: bronzo, vetro, alluminio, silicone, acciaio. La statua di Cif con un suo amico, Topolino. La statua egizia con il volto di Kate Moss. Un’altra con il tatuaggio che ricorda Rihanna. Le statue dei famosi cani di Koons. E poi la gigantesca statua decapitata di 18 metri, probabilmente come dice il Financial Times che è l’ego dell’artista. Un’enorme figura in resina che per l’allestimento ha richiesto più di un mese.

Nato a Bristol nel 1965 e cresciuto a Leeds, senza aver mai conosciuto suo padre e con una madre oppressiva, Damien Hirst è tra i più famosi, oltre che ricchi, le sue opere sono tra le più quotate, geni dell’arte. Negli anni Ottanta fonda gli Young British Artist, i suoi lavori più celebri sono le teche di animali morti, sezionati ed immersi in formaldeide per conservarli. Il suo primo lavoro, e quello forse più riconosciuto, The Physical Impossibility of Death in the Mind of Someone Livingdel 1991 (L’impossibilità fisica della morte nella mente di qualcuno che vive) uno squalo acquistato e fatto arrivare dall’Australia chiuso nella teca. A Thousand Yearsdel 1990 (Mille anni) una testa di vitello divorata da larve che si trasformano in mosche fulminate dalla corrente elettrica, la rappresentazione del ciclo della morte. For the love of God del 2007 (Per amore di Dio) un teschio umano ricoperto di platino e circa 8000 diamanti. Dipinti realizzati con le ali di vere farfalle e gli armadietti di pillole e medicinali.

Per sopravvivere al L’impossibilità fisica della morte nella mente di qualcuno che vive, non basta congelare lo sguardo apotropaico di uno squalo, che probabilmente si aggirava intorno al vascello di Amotan negli abissi del mare prima di esser messo nella formaldeide, per esorcizzare il processo della morte Hirst si affida al racconto della morte. L’opera è solo un reperto, una testimonianza, una traccia palesemente non vera e lo dimostra il fatto che davanti al busto di bronzo che rappresenta palesemente se stesso dichiara che quella è l’immagine di Amotan, ed io credo fedelmente al suo racconto.