***Pubblichiamo questo breve saggio di Laura Falconi, nota studiosa di Design e autrice di numerosi studi dedicati all’opera di Gio Ponti.

Nota dell’autrice
Il saggio era stato commissionato a chi scrive dal Museo des Arts Décoratifs del Louvre per il catalogo della mostra parigina su Gio Ponti (inaugurata nell’ottobre 2018), ma non venne mai pubblicato a causa di un vero e proprio “veto” posto dall’Università di Padova, che non avrebbe altrimenti concesso in prestito alla mostra opere di Gio Ponti in suo possesso.  L’autrice di questo saggio sarebbe infatti “colpevole” di aver segnalato a scopo di tutela la scarsa attenzione nei confronti degli arredi progettati per quell’Ateneo dal maestro milanese a fine anni Trenta – inizio Quaranta – arredi che non sarebbero stati neppure classificati e notificati prima delle sollecitazioni effettuate in tal senso, e di avere anche indicato la comparsa, sul mercato antiquario, di alcuni mobili di Gio Ponti provenienti dalla stessa sede. Nella certezza che il Magnifico Rettore non fosse al corrente di quelle sottovalutazioni e sottrazioni, è auspicio di chi scrive che la vicenda sia chiarita, come la salvaguardia della storica istituzione e dei suoi scopi suggerisce e richiede. Quanto sopra ha costituito oggetto di un esposto di recente presentato alla Procura della Repubblica di Roma, con il quale l’autrice del saggio chiede alla Magistratura di indagare sulla mancata tutela di quel rilevante patrimonio pubblico di notevole interesse storico artistico, costituente un complesso unitario e indivisibile.

Note al “capitolato d’appalto” stipulato dall’Università di Padova, che pubblichiamo nella parte delle prescrizioni date da Gio Ponti per l’interesse dei dati e delle indiczioni tecniche. di  Laura Falconi

 Ponti, in accordo con il Magnifico Rettore Anti, stabilì, per l’esecuzione dei mobili eseguiti su proprio disegno e destinati all’Ateneo una serie di prescrizioni curate sino al più minuto dettaglio, ben sapendo che artigiani provetti – nel caso specifico qui pubblicato in estratto, la ditta “Fratelli Scremin” di Udine – vi si sarebbero attenuti con il massimo scrupolo. Ciò, nonostante lo stesso Ponti, allo scopo di destinare più fondi e più spazio all’intervento degli artisti negli interni di due edifici (Liviano e Rettorato) dei quali era progettista integrale o del solo allestimento, avesse chiesto e ottenuto (come sempre sapeva) dal Rettore, in corso di stipula degli accordi, una riduzione dei fondi destinati agli arredi. Il maestro era consapevole della necessità di un mecenatismo pubblico nei confronti degli artisti, e della rarità di occasioni in tal senso; era anche certo che la perizia e l’orgoglio degli artigiani coinvolti nella fabbricazione dei mobili non avrebbe permesso loro di risentire più di tanto per le limitazioni finanziarie. Nel caso in esame – una panca a due posti per il Liviano – gli esecutori lasciarono l’unico nodo del legno che sia stato rintracciato in un esemplare sulla parte posteriore, nella zona adiacente al muro e non visibile. L’osservanza delle condizioni di capitolato fu per il resto impeccabile. Una visione lungimirante, quella di Ponti, e una lezione di qualità mantenuta in situazioni restrittive, che ha caratterizzato per decenni il Design italiano conferendogli un primato indiscutibile di bellezza e di fascino – e che da qualche tempo a questa parte sembrano essere smarrite o rarefatte.(Chi scrive ringrazia Fiammetta Nazzarri per aver messo a disposizione su richiesta nel 2017 il testo del capitolato inviatole dall’Atene in precedenti occasioni) (L.F.)

 

 

***GIO PONTI: LE RADICI DEL DESIGN ITALIANO saggio breve di LAURA FALCONI

Introduzione al saggio breve

 

Ponti iniziò l’attività professionale a breve distanza dal primo conflitto bellico, in un paese segnato da grave crisi economica e da instabilità sociale. Chiamato di lì a poco alla direzione artistica di un’importante manifattura industriale, la Richard-Ginori, ne rinnovò l’intera produzione tralasciando un catalogo ormai desueto di matrice e impronta floreale, in favore di un’ispirazione alla tradizione classica e aulica. Forme e decorazioni ispirati (come una raccolta di studi grafici autografi dal segno guizzante custodita negli Archivi e posta tempo fa a disposizione di chi scrive da Lisa Ponti ha permesso di documentare) a vasi greci ed etruschi, ad affreschi e tarsie tardo-medioevali, a dettagli di sfondi a paesaggio in dipinti del Rinascimento italiano –  scelti da Ponti visitando Musei, Gallerie, Chiese e Palazzi storici.

Interpretati e trasformati secondo un gusto personale tendente alla stilizzazione, quei motivi diedero luogo – e corpo – a un repertorio inesauribile di opere. La curiosità di Ponti ben presto si estese alla produzione artistica contemporanea e all’arte applicata di altri paesi, come dimostra tuttora la sua opera multiforme di autore, e di poligrafo. L’abitudine alla stilizzazione gli dischiuse dapprima l’interesse, più tardi la convinta definitiva adesione al linguaggio e agli stilemi dell’astrattismo nello campo stesso del mobile.

L’esempio del “Liviano” all’Università di Padova illustrato nel breve saggio che segue – caso unico o d’eccezione, in Italia, nel settore (e non solo all’epoca) per unitarietà di concezione e realizzazione fra architettura dell’edificio, decorazione, allestimento – rappresentò il frutto maturo dell’originale rivisitazione classica eseguita agli esordi da Ponti. Il Liviano consentiva al maestro milanese – già fra le due guerre promotore e principale protagonista della rinnovata architettura, delle arti decorative e poi del primo Design –  di trasmettere a contemporanei e posteri testimonianza evidente e duratura delle migliori capacità italiane nel campo. Un patrimonio creativo, artistico e artigianale e un metodo realizzativo la cui ripresa permise nel secondo dopoguerra la rinascita del Design italiano e la sua affermazione nel mondo.

 

Gio Ponti, divano a due posti per docenti del Liviano, struttura in legno massello i di noce (imbiondita nelle parti in vista), schienale ripartito in tre fasce sfalsate; sedile imbottito con molleggiatura e rivestito in vacchetta, sostegni verticali del piano di seduta rastremati a terra, produzione (in pochissimi esemplari) della ditta “Fratelli Scremin, Mobilificio d’arte, Belluno”. Università di Padova, 1939-1940, Edificio della Facoltà di Lettere detto “Il Liviano”.

 

Le radici del Design italiano

Laura Falconi

 

 

“Il Liviano è una delle opere che mi è più cara” (1), scriveva Gio Ponti al Rettore dell’Ateneo di Padova, riferendosi al palazzo della Facoltà di Lettere e Filosofia iniziato quell’anno e concluso nel ‘39. Ponti aveva vinto nel 1934 il concorso, seguito da un incarico per l’arredamento, spazi museali compresi. Era contemplata una “opera pittorica stupenda” (2), esempio di “unità della decorazione con l’architettura” (3).

A Padova, sosteneva Ponti, “si sta attuando un fatto (…) significativo nel quadro delle arti italiane, (…) inserendo la testimonianza dell’opera di grandi artisti …” (4).  Di Campigli “la più vasta e bella pittura moderna…” (5). Anche Severini e Ferrazzi ebbero incarichi di rilievo. Altri, fra i quali il futuro esponente dell’informale Santomaso decorarono zone minori, riquadri e nicchie. Arturo Martini plasmò la grande statua dell’atrio, Paolo De Poli eseguì pitture su smalto. L’architetto affrescò le pareti ricurve della scalinata, aiuti Lisa Ponti e Flavio Pendini. I materiali disponibili – tradizionali o innovativi – erano applicati nel Liviano con effetti   di ricchezza   cromatica, ripresa   dalle pitture murali. L’industria artistica nazionale, da Fontana Arte (per il vetro e l’illuminazione) alle ditte ceramiche, del marmo, del legno, del linoleum ebbe parte. L’esecuzione di mobili su disegno di Ponti fu suddivisa fra più soggetti, per esiti rapidi. La “Fratelli Scremin” di Belluno, la “Arch. Luigi Polo” di Padova, dalle ricercate lavorazioni artigianali realizzarono (insieme con altre due laboratori) i divani in noce schiarito destinati ai docenti; la lombarda “Meroni e Fossati” e la bolognese “Arch. M. Bega”, adatte a ciò, gli arredi di serie, dai banchi alle cattedre. Non ebbero vita facile. Ponti, per destinare più fondi al lavoro degli artisti aveva ridotto i costi, non le minuziose prescrizioni d’appalto e l’incessante controllo dei risultati. Lettere corredate da schizzi documentano il quotidiano lavoro dell’architetto, capace d’introdurre modifiche anche a progetto esecutivo finito (rastremando i supporti dei divani per i docenti), ad accentuare leggerezza e slancio. Il Liviano esprimeva un’idea rinascimentale dell’architettura, che doveva “costituire anche (…) spettacolo” (6). Frutto di formazione culturale (“non è… la classicità … una ricchezza della nostra natura d’italiani?”) (7), tale aspetto non esauriva la personalità dell’autore.

Gio Ponti, sala riunioni per i docenti (scrivania e sedie su disegno dello stesso Ponti, lampada di Fontana Arte, smalti di Paolo de Poli alle pareti), Università di Padova, 1937- 1940.

Dotato di rara” estensione delle capacità” (8), egli era “artista completo” (9). Fin dagli esordi nella professione si era distinto per un senso di “responsabilità culturale” (10) nei confronti delle arti. Ne aveva dato prova alla testa dell’industria ceramica Richard-Ginori, rinnovando il gusto e lo stile; di Fontana Arte (con Pietro Chiesa), instaurando una produzione di oggetti e mobili entrati nella storia del Design. Nella prima manifattura coinvolse artisti, creando personalmente centinaia di modelli. Oltre a ciò, la guida di mostre Triennali e di riviste di stampo europeo (“Domus”) procurò a Ponti la fiducia, quasi un’investitura, da parte d’influenti capitani d’industria. Essi gli assicurarono nel 1933 prodotti e materiali necessari alla Triennale milanese più vasta mai realizzata prima e dopo. La supremazia nell’architettura e nelle arti applicate rese il “sorridente demiurgo” (11) autorevole interlocutore del potere politico. Il palazzo per uffici Montecatini (1936) ideato secondo criteri di flessibilità degli ambienti di lavoro e disegnato in ogni dettaglio da Ponti convinse Carlo Anti a conferirgli incarico per l’arredamento di un intero piano nel Bo (edificio centrale del Rettorato a Padova) e per l’inserimento di opere d’arte delle collezioni storiche

Gio Ponti, scorcio di uffici del Rettorato, con porta a fasce orizzontali su di un lato, riquadri dipinti a nature morte sull’altro, Università di Padova, 1937.

universitarie. Da li in poi, con l’aiuto di funzionari non meno operosi e vigili, il Rettore favorì in ogni modo l’opera del progettista. Piero Fornasetti eseguì sulle pareti del Bo l’iconografia dei Santi, altri i ritratti di filosofi, in un tripudio creativo che vedeva l’Ateneo farsi mecenate; compensando, su pressione di Ponti, anche chi, come Sironi, aveva partecipato al concorso per l’affresco del Liviano senza vincerlo. Ponti reputava l’artista al vertice nel campo; appoggiando nel 1936 la vittoria di Campigli mise questi al riparo dalle imminenti persecuzioni razziali. I dubbi espressi più tardi a Ponti dal Rettorato riguardo presunte origini ebraiche di Campigli avrebbero ricevuto dall’architetto risposta di così ferma elusività da restare senza seguito. Impresa unica ed eccezionale (nella città universitaria romana di

Gio Ponti, scrivania del Rettore, Università di Padova, 1939-1942.

Piacentini cui lo stesso Ponti aveva partecipato la presenza di opere d’arte era minore), l’esempio di Padova doveva anticipare la legge Bottai (1941) che dispose (un’idea della Sarfatti dei lontani anni Venti) l’obbligo d’inserire negli edifici pubblici creazioni di artisti; norme durante la guerra e dopo quasi inapplicate. Ai commenti favorevoli della critica coeva su Liviano e Bo si unì Savinio.   Già nella Triennale del 1940 questi aveva – nonostante la nutrita presenza di opere di Fontana, Melotti. Campigli, Sironi e altri – ritenuto la sezione del mobile ordinata dall’architetto la migliore, le sue poltrone le più belle del mondo.  In seguito Ponti spiegò, in consueto anticipo sui tempi, il rapporto fra passato regime e artisti (con argomentazioni condivise dalla storiografia più recente).

   
(a sin) Gio Ponti, scorcio di uffici del Rettorato, sul fondo affresco con I Dottori dell’Ateneo di Gino Severini, Università di Padova, 1939-1940. ( a dx) Gio Ponti, cartone con figure ammantate, soggetto per gli affreschi dell’Università di Padova, 1939.

Citò i numerosi concorsi istituiti in ogni campo, gli incarichi conferiti: il fascismo curava la propria immagine e la comunicazione, gli artisti gli erano essenziali. Le arti nel complesso restarono indipendenti. Su Liviano e Bo seguì, nel dopoguerra, un silenzio di oltre quarant’anni. Fu poi dato alle stampe un saggio (12) che scorgeva nel grande laboratorio padovano orchestrato da Ponti l’atto di nascita del Design italiano. Secondo il direttore di “Domus” risaliva al 1931-’32 la vera svolta per l’architettura e le arti, illustrata nella successiva Triennale. Dopo Padova non fu però più possibile agli architetti milanesi dalla fine degli anni ’40 sin oltre i ‘60 escludere l’apporto degli artisti dai nuovi edifici privati, abitazioni, uffici o centri commerciali. La simbiosi fra le due figure professionali e gli artigiani attuata da Ponti su così vasta scala divenne metodo di lavoro, base dell’affermazione internazionale di aziende italiane del mobile e di un intero sistema produttivo. Nonostante ciò, ancor oggi resistono interpretazioni disinformate della figura di Ponti, visto come uomo di potere. Le ambizioni “alte e severe” (13) del maggior interprete, inventore e promotore del Design italiano sono state comprese e condivise dagli artisti.  “Ponti inseguiva sempre l’idea (…) di una possibilità di perfezione (…) al di là dell’incertezza quotidiana …” (14), riconobbe Sottsass sul finire del Novecento.  L’aspirazione a una “verità cristallina” (15) aveva sempre guidato almeno due generazioni di designer.  La presenza di Ponti “aiuterà sempre a recuperare ogni giorno qualche nuova speranza (…), un po’ di certezze” (16).

Gio Ponti, scorcio di uffici del Rettorato, Università di Padova, 1937.

Note

1) Milano, 20/10/1937, Aa.Vv. “il miraggio della concordia”,  Padova 1933-1943”, Treviso, 2008.

2)  Ib. 7/1/1938, ib.

3) Ib.

4) Gio Ponti, “Fotocronaca di Padova”, “Stile” n.3, 1941. Campigli, inviato a Parigi nel 1919 dal “Corriere della sera” divenne pittore frequentando il Louvre e le esposizioni cubiste.

5) Ib.

6) Gio Ponti, “Stile di Asnago e Wender”, “Stile” n.35, 1943.

7) Gio Ponti, “Considerazioni su alcuni mobili”, “Domus” n.243, 1950.

8) J. Plant, “Espressione di Gio Ponti”, “Aria d’Italia” fasc. VIII, Milano, 1954.

9) Ib.

10) Cesare Casati, colloquio con l’autrice durante la preparazione del volume “Gio Ponti, oggetti, interni, disegni 1920-1976”, Milano 2004 (ed. ing. 2010).

11) Franco Purini, in Aa.Vv. “Gio Ponti, Torre del Parco e altri esagoni”,   Milano, 1999.

12) Mario Universo, “Gio Ponti designer”, “Padova1936-1941”, Bari, 1989.

13) Gio Ponti, “Morte e vita della tradizione”, “Domus” n.49, 1932.

14) Ettore Sottsass, cfr. nota 11.

15) Ib.

16) Ib.