One Fifth Column

Una visita virtuale al Fuori Salone del Mobile, da vicino e da lontano 

di Laura Falconi

 

In occasione del Salone del Mobile 2019 chi scrive decideva di effettuare una visita virtuale a una sola azienda. (1:Adele C). Scegliendo, inoltre, d’illustrare nel seguito due autori (2: Daniele Statera-3:Sebastiano Gentile) che, attivi in luoghi lontani da Milano, vi sono nonostante ciò in qualche modo inevitabilmente legati, praticando il design e l’architettura (o l’allestimento) d’interni.

Il Fuori Salone milanese è meta di gran lunga preferita da chi ama il bello e il contatto con i luoghi urbani storici o vetero-industriali: niente a che fare  con gli impietosi, interminabili percorsi che da  anni trasformano nella nuova Fiera le visite ai padiglioni delle aziende in dolorose marce forzate, esposti a un sole pre-estivo reso  implacabile da un sistema di coperture a serra. Osservando (aprile 2018) le espressioni stravolte e affaticate della folla in uscita, un designer osservava che  il progettista, dall’alto del suo incarico aveva di fatto considerato gli esseri umani come formiche.

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Adele C., un’azienda giovane con un retroterra di lunga tradizione familiare Due mobili progettati ieri, fabbricati o rinnovati oggi: una sedia di Piero de Martini, Audrey, ideata nel 1993 e sinora inedita, un tavolo di Tobia Scarpa, T63 (1963), dal catalogo storico Cassina

 

A distanza, il nostro contributo al Fuori Salone 2019 é consistito in una visita virtuale a una sola azienda, “Adele C”, fondata nel 2009 da Adele figlia di Cesare Cassina, universalmente noto imprenditore del mobile; artefice, nel secondo Novecento, di un catalogo che  comprendeva maestri del design come Gio Ponti, Franco Albini, Carlo De Carli, Gianfranco Frattini, Vico Magistretti sino ai più giovani Mario Bellini, Tobia Scarpa, Piero De Martini. Una lezione di stile e d’intelligenza che ha reso inconfondibile nel mondo il marchio Cassina.

In prima fila fra il pubblico alla presentazione (show-room di Cassina in via Durini, settembre 2018) del libro di chi scrive (Laura Falconi, “Piero De Martini, un’esperienza nel design, 1970-2000”, Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo 2017-2018), Adele Cassina aveva notato fra le immagini che apparivano sugli schermi il prototipo di una sedia creata ventisei anni prima dal designer. Immediata la decisione, fabbricare e produrre l’esemplare (foto1).

 

                                       Foto 1. Piero De Martini. Studi grafici per una sedia, 1993.

 

Ribattezzata in azienda “Audrey”, come si addice a una diva (e definita nella citata monografia sull’autore “dono di attitudine alla danza elargito a un esemplare per sua natura statico”), la sedia è stata protagonista di primo piano al Salone 2019 e al Fuori Salone negli spazi riservati (foto 2,3,4,5).

 

                                                               Foto 2. Piero De Martini, sedia Audrey, produzione Adele C., Milano, Salone del Mobile 2019.

                                                             Foto 3. Piero De Martini, sedia Audrey, produzione Adele C., Milano, Salone del Mobile 2019.

                                                              Foto 4. Piero De Martini, sedia Audrey, produzione Adele C., Milano, Salone del Mobile 2019.

                                                            Foto 5- 6. Piero De Martini,  Audrey, azienda Adele C., particolare della struttura, Milano, Salone del Mobile 2019.

 

Come già posto in evidenza da “Adele C.”, si tratta piuttosto di ‘revival’ che di semplice ri-produzione. Siamo di fronte – infatti – a un episodio forse unico nella storia del Design italiano dagli anni Ottanta in poi. Progetto e prototipo erano destinati a finire nell’oblio, dal quale erano stati tratti per illustrare nella monografia citata l’opera di De Martini designer. Ma rapidità di giudizio e prontezza di decisione non erano solo prerogativa di Cesare Cassina. La figlia Adele intravedeva nel recupero dell’ingiustamente trascurato pezzo storico il primo passo di una politica aziendale per la valorizzazione di mobili che hanno segnato il volto di un’epoca, pur sembrando ideati oggi. La giovane azienda “Adele C”, nata per lavorare con tecniche artigianali legni pregiati e di recente rafforzata con l’ingresso di un socio cinese, aveva sinora dato luogo a una produzione di linee lodevolmente semplici ma non abbastanza identificativa (con l’eccezione della poltrona “Zarina” di Cesare Cassina); non ancora o non del tutto, forse, all’altezza di una vicenda e di un’ ascendenza così illustri, da protagonisti di primo piano nell’evoluzione del gusto. Il magistrale, ulteriore recupero, deciso e concluso in contemporanea, di un tavolo di Tobia Scarpa già parte dello storico catalogo Cassina, potrebbe essere l’atto iniziale e insieme il suggello di una nuova, lungimirante visione assertiva di valori d’arte che non scadono nel tempo, sino ad assumere un ruolo formativo. Inserire in catalogo la sedia “Audrey” di Piero De Martini, insieme con il bel tavolo – dal piano che si apre a libro ampliando la superficie di appoggio – T63 (dall’anno di prima produzione in Cassina di Tobia Scarpa, è stata soprattutto, in definitiva, una qualificante scelta di cultura da parte dell’azienda (foto 6 e 7).

Foto 6. Tobia Scarpa, tavolo per l’azienda Cassina, Meda, 1963, scelto e riproposto come T63 da Adele C, Milano, Salone del Mobile 2019; veduta del piano scorrevole.

                                            Foto 7. Tobia Scarpa, tavolo T63, riedizione Adele C., Milano, Salone del mobile 2019, le diverse configurazioni possibili ribaltando il piano.

La sedia di De Martini, impilabile (foto 8), ha struttura portante in frassino massello, a formare un doppio cavalletto, reso solidale da una traversa (posta sotto il piano di seduta); lo schienale curvilineo in multistrato di betulla è impiallacciato in frassino. Imbottito e rivestito in tessuto o in pelle, il sedile.

 

                                                      Foto 8. Piero De Martini, Audrey impilabile, Adele C., Milano, Salone del Mobile 2019.

 

Rinnovato da “Adele C” anche “nelle essenze, nei colori, nella finitura (…), nella gamma delle dimensioni”, il tavolo T63 di Tobia Scarpa ha base in massello di faggio laccato; impiallacciato in palissandro o noce il piano, o laccato a finitura trasparente antigraffio. I due esemplari – sedia e tavolo – confermano e mantengono nel tempo (nell’insieme come nel dettaglio) inalterata la disponibilità all’uso di forme scaturite da idee, studiate sino alla compiutezza, resistenti alle mode.

 

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Un arbitrario, del tutto personale Fuori Salone : Daniele Statera artista-designer, Roma

 

Il nostro Fuori Salone quest’anno ha previsto lo sconfinamento in altri territori, lontani dal capoluogo lombardo.  Tratta due autori che nulla hanno in comune fra loro, né con Piero De Martini o Tobia Scarpa, se non l’essere figli d’arte e l’abitudine a progettare su ispirazione, spesso appartati nei rispettivi studi o, soprattutto nei fuori stagione, in abitazioni extraurbane – di fronte al lago di Bracciano (Daniele Statera), o immerse in un centro storico della dolce campagna umbra (Sebastiano Gentile) e la tendenza – istintiva e pervicace – a minimizzare i risultati del proprio lavoro. Questo vuol essere un esplicito invito alle aziende o ai committenti privati a mettersi (e a metterli) in gioco, avvalendosi di capacità che potrebbero dare nuova linfa a una produzione spesso ripetitiva quando non addirittura ingiustificata.

Daniele Statera, (Roma, 1971), laureato in Disegno industriale alla Sapienza, ha operato nella grafica, nell’ illuminazione, nel mobile, nella fotografia, progettando anche pezzi unici o di serie limitata per installazioni d’arte; ideando e realizzando velivoli nell’ aeromodellismo ha ottenuto recenti premi nazionali.

 

                                   1a. Daniele Statera e Ines Paolucci, Egg, pentola per single a doppio manico, 1998

 

                                 Foto 2a. Daniele Staera e Ines Paolucci, Cerchietti, Post Computer Game, Magis, 2003.

                                  Foto 3a. Daniele Statera e Ines Paolucci, seduta a dondolo Tex, 2002.

 

Per qualche anno – sino al 2005 – Statera ha condiviso progetti e realizzazioni con   Ines Paolucci, già collega di studi. I due, già progettisti precoci di “Egg”, pentolino per single (Easy cooker, 1998) (foto 1a), dove introducevano manici laterali di forma morbidamente ricurva adagiata in orizzontale, poi adottati con successo da molte produzioni per l’estetica piacevole e la presa sicura, hanno realizzato insieme prototipi di giochi per bambini, dai “cerchietti” (2003, Post Computer Game, Magis) (foto 2a) a “Tex” (Factory LSD, Emu) (foto 3a), stesso anno (esposto a Milano nello spazio “Superstudio 13”, aprile 2003), piccolo sedile essenziale che richiamava il cavalluccio a dondolo; hanno impaginato e illustrato riviste e manifesti, disegnato logo, promuovendo iscrizioni a corsi universitari della Sapienza, aziende di design o prodotti editoriali. Con un proprio marchio (Daninés), hanno ideato e distribuito shopper a disegni astratti (Wip) (foto 4a) o con profili di animali (foto 5a), questi ultimi a decorare anche  servizi all’americana. Completavano il primo ciclo di proposte ludiche il segnalibri “Bidito” (foto 6a), “matite a vento” (foto 7a), “girandole da passeggio” (foto 8a) e la lampada, singola o multipla, “Goccio Vegetarian” (foto 9a e 10a), che utilizzava  con disinvolta sapienza dispensatori d’olio in plastica già in commercio.

 

                                                Foto 4a. Daniele Statera e Ines Paolucci, shopper Wip, 2004.

 

                                            Foto 5a. Daniele Statera e Ines Paolucci, shopper Wip, 2004

 

                                        Foto 6a. Daniele Statera, Bidito, segnalibri, 2003

                                    Foto 9a. Daniele Statera e Ines Paolucci, Goccio, 2004
                  Foto 10a. Daniele Statera e Ines Paolucci,  Goccio Vegetarian e lampada Goccio, 2004.

 

 

 Foto 7a e 8a. Daniele Statera e Ines Paolucci, matite a vento e girandole da passeggio, 2004

 

Più che mai provocatorio e ironico l’assemblaggio d’imbuti in plastica rossa, a formare una lampada da tavolo o da terra in forma di dodecaedro, “Minavagante” (foto 11a e 12a), fin dall’inizio prevista in conformazioni elementari fra loro diverse, prodotta da Taffetà nel 2000, quattro anni dopo dallo stesso duo  “Daninés”.

                                Foto 12a. Daniele Statera e Ines Paolucci, lampada Minavagante, 2000-2012.

 

Esperti nell’uso del colore in chiave comunicativa, Paolucci e Statera dimostravano fin dagli esordi una notevole attenzione ai maestri e alle grandi scuole che hanno formato la storia del design. In “Tex”, già citato sgabello a dondolo costituito da un’unica struttura sottile (tubolare metallico) rialzata sul davanti, a offrire ideale manubrio o impugnatura era visibile, ad esempio, il richiamo a opere di autori come Mart Stam e Marcel Breuer, negli anni compresi fra il Bauhaus di Weimar e quello di Dessau, sotto la guida di Gropius.  L’originalità dell’oggetto non ne risentiva; esso diventava, al contrario, più che un omaggio a distanza una vera e propria lezione di design, un rimando – all’apparenza spontaneo, in realtà assorbito e filtrato attraverso la propria formazione – a radici culturali profonde, dalle quali proviene come per caso ciò che ancora mancava; “Tex”, appena compiuto sembrava familiare e noto, quasi esistesse da tempo; un esito affatto comune.

Grazie a una fruttuosa incursione nella ceramica, il vaso “Berillio (“Terreblu”, 2004) (foto 13a) tornito e smaltato – tronco di cono provvisto di tasche esterne a estenderne la capienza – delicatamente ombreggiato da chiaroscuri traeva suggerimento da maestri come Enzo Mari. La fiabesca fauna inventata da quest’ultimo suggeriva ai due designer –   dichiaratamente ispirati alle terga di un elefante indiano – lo sgabello/tavolino Dehli (2004, Fasem) (foto 14a e 15a) perfettamente impilabile, come d’uso fra ii maestri italiani del dopoguerra.

 

Foto 13a. Daniele Statera e Ines Paolucci, vaso in ceramica Berillio, Terreblu, 2004

 

 

 

 

 

 

 

 

Foto 14a. Daniele Statera e Ines Paolucci, sgabello-tavolino Dehli, Fasem, 2004, plasmato come le terga di un elefante, 2004. Foto 15a. Daniele Statera e Ines Paolucci, Dehli, ibidem, 2004

 

 

 

 

Negli anni in cui furono realizzati, i manifesti di Statera e Paolucci (autori anche degli slogan, dal suadente “Coltiviamo le tue idee”, (foto 16a) rivolto nel 2001 agli aspiranti allievi del nuovo corso di Laurea in Disegno Industriale alla Sapienza, a “aria di design” (2002, utilizzato anche per la partecipazione al Salone del Mobile di Milano), (foto 17a) a “design is everywhere” 2003 (foto 18a), sino a “attiva l’occhio critico” (foto 19a), commissionato per la campagna promozionale dell’indirizzo di studi in Scienze Umanistiche, 2002) o la veste data a rivista e locandine delle manifestazioni periodiche  annuali del proprio corso di laurea  (“Roma Design  +“) (foto 20a) spiccavano da lontano, affissi alle pareti dell’edificio che ospitava strutture di servizio e docenti.  Balzava agli occhi invitante il gioioso cromatismo, la scelta sicura di segni e forme dell’arte o del design che, trasformati da accostamenti e resi inusuali sino a nuova originalità, trasmettevano con singolare efficacia il desiderio e la presenza-predominio di un linguaggio comune che non poteva essere eluso o ignorato. Così, oggetti iconici di Mario Bellini (un posacenere esemplato sul Colosseo, nell’immagine del poster la stessa posizione e grandezza dell’artefatto accentuava la similitudine con il monumento, facendone il “genius loci” dell’indirizzo di laurea e dello stesso Ateneo) o dei Gufram, o reminiscenze di tappeti-natura di Piero Gilardi formavano in perfetto afflato i protagonisti di un nuovo paesaggio comunicativo che reclamava  la massima o esclusiva attenzione, ravvivando ambienti smorti e anonimi. Quel fresco vento primaverile non rinnovava solo l’immagine, ma sosteneva le idee e il lavoro dei docenti più impegnati nella formazione, rendendo gradevole a tutti i frequentatori il soggiorno e favorendo quel tipo di scambio che è base dell’apprendimento. Spiccava in campo grafico la capacità d’interpretare la committenza sino ad attivare un processo istantaneo d’identificazione fra forma e contenuto del manifesto o del logo. Si veda, a quest’ultimo riguardo, l’impaginazione di “Luxflux – prototype arte contemporanea” (in uso dal 2003) (foto 21a, 22a e 23a), dove le iniziali delle lettere disegnavano un sistema di provette a evocare filtri, alchimie e incantesimi di stampo neo-gotico. L’intera comunicazione grafica del Museo Laboratorio di Arte Contemporanea alla Sapienza è stata per anni curata con successo da Paolucci e Statera.

 

Foto 16a. Daniele Statera e Ines Paolucci, manifesto per il corso di laurea in Disegno industriale dell’Università di Roma La Sapienza, 2001.

Foto 17a. Daniele Statera e Ines Paolucci, manifesto per il corso di laurea in disegno industriale dell’Università di Roma La Sapienza, 2002.

 

Foto 17a. Daniele Statera e Ines Paolucci, manifesto per il corso di laurea in Scienze Umanistiche dell’Università di Roma La Sapienza, 2002.

 

Foto 20a. Daniele Statera e Ines Paolucci, manifesto e locandina per la promozione del corso di laurea in Disegno Industriale, Università di Roma La Sapienza.

 

 

 

Foto 21a. Daniele Statera e Ines Paolucci, manifesto per la campagna promozionale  dell’indirizzo di studi umanistici, Università di Roma La Sapienza, 2002.

 

Foto 19a. Daniele Statera e Ines Paolucci, manifesto per il corso di laurea in disegno Industriale dell’Università di Roma La Sapienza, 2004.

Foto 21a. Daniele Statera e Ines Paolucci, logo e intestazione  della rivista “Luxflux proto-type” Arte contemporanea, 2003

 

 

Foto 22a. Daniele Statera e Ines Paolucci, inviti per manifestazioni ed eventi ptomossi dalla rivista “luxflux prototype” Arte contemporanea, 2003 e segg

 

Foto 23a. Daniele Statera e Ines Paolucci, copertine di volumi della collana edita dalla rivista “luxflux prototype” Arte contemporanea, 2003 e segg.

Fra i contributi grafici coevi destinati alle aziende spiccavano un’agenda “Bormioli” (2004) (foto 24b) e un catalogo per “Fasem” (2005) (foto 25a); per questo marchio e per “Magis” i designer hanno impaginato manifesti (Magisworld e Designlandia Magis) (foto 26a), con risultati non meno incisivi.

 

 

                

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Foto 24a. Daniele Statera e Ines Paolucci, agenda Bormioli, 2004. Foto 25b Daniele Statera e Ines Paolucci, Copertine di cataloghi per Fasem, 2005
                

Notevole, e tuttora in produzione per “Slamp”, la lampada scultura luminosa da tavolo o da terra “Diamond” (2005, Montblanc collection) (foto 26a), su sottile base in alluminio, ad assecondare con una sapiente configurazione di triangoli irregolari il gioco flessuoso di linee serpentine e di superfici in speciale tessuto plastico chiaro  luminescente.

 

Foto 26a. Daniele Statera e Ines Paolucci, lampada Diamond, Slamp, 2005, tuttora in catalogo e in commercio. Foto 26b. Daniele Statera e Ines Paolucci, lampada Montblanc, Slamp, 2005 (dettaglio e gli autori), opalflex e profili in pelle, large: cm 39x 20 x h.115; medium: 28x 15x h.57; small: cm 21x 10x h.39.

 

La partecipazione a mostre di settore, singole o collettive (cfr. riquadro, A) nel quinquennio di lavoro comune riceveva attenta considerazione da parte della stampa specializzata (cfr. riquadro, B). La separazione professionale, nel 2005, fra Statera e Paolucci ha accentuato nel primo l’aspetto già preponderante di una natura artistica incline al lavoro solitario, privandolo di una componente pratica e costante di collaborazione quotidiana che è essenziale nel design per la continuità creativa. Se Daniele vivesse a Milano o a New York questo non dissuaderebbe aziende dal notare e accogliere in catalogo creazioni autografe adatte alla vita quotidiana, a rianimare spazi destinati a uffici, per lo più squallidi e anodini. Ci riferiamo a pannelli o pareti divisorie creati fra il 2006 e il 2008 (foto 27°, 28° e 29a) in tre versioni diverse. Oggetti che richiamano, rispettivamente, forme stilizzate e longilinee di piante acquatiche o terrestri, o compongono sagome geometriche, o forme esplosive e dinamiche a vivacissimi colori che hanno anticipato il recentissimo ritrovamento di pitture murali a tempera di Giacomo Balla per il “Bal Tic Tac” (1921) su pareti di una banca romana. Ideali in ambienti open-space per ripartizioni e protezioni spesso provvisorie (e mutevoli, come si addice a esigenze in divenire), queste attrezzature mobili dai colori sgargianti o nelle tonalità del legno vivo offrirebbero a uffici spenti o afflittivi (ma anche a studi privati o stanze d’abitazione) salutari opportunità – e iniezioni – di fantasia, natura, arte, cromatismo. Tutto ciò che, abitualmente, manca. Ci pensino, i produttori di componenti per uffici. La presenza di pannelli/forme d’arte che, a differenza delle pareti mobili compatte continue, non occludono il passaggio dell’aria e le visuali, da utilizzare isolati o in composizioni multiple, sicura fonte di piacere estetico e d’ispirazione, favorirebbe processi mentali apparentemente divagatori e, invece, decisivi per una proficua concentrazione delle idee e la nascita di nuove realizzazioni. Nulla, aveva notato Oscar Wilde, è così necessario alla vita quotidiana come il superfluo.

 

                                                        Foto 27a. Daniele Statera, pareti divisorie “visione sensibile”, prototipi, 2006-2008.

                                                         Foto 27a. Daniele Statera, parete divisoria “visione sensibile”, prototipo, 2006-2008.

 

Foto 29a. Daniele Statera, parete divisoria “La bella addormentata” (2006-2008), prototipo . Collezione Simonetta Lux, Roma.

 

Sul piano internazionale, da molti anni aziende e istituzioni pubbliche nel campo scientifico hanno inventato e realizzato esempi di “parchi tecnologici” o di “science park”, per ricreare ambienti idonei alla creatività e alla ricerca. Affidati in alcuni casi a progettisti di fama che curavano come prescritto l’assetto e l’aspetto naturalistico dei terreni circostanti gli edifici e la permeabilità visiva degli ambienti di lavoro a tali scenari (quando non disponevano addirittura l’inclusione di veri e propri orti o giardini intra-moenia, a favorire il rilassamento corporeo e la concentrazione intellettiva) – quegli esempi imporrebbero di attribuire la massima attenzione alle esigenze umane di benessere negli ambienti di lavoro. Sin dagli inizi del Novecento società internazionali d’ingegneria rilevarono con studi statistici l’impressionante aumento di efficienza che i nuovi sistemi d’illuminazione elettrica avevano prodotto in grandi amministrazioni pubbliche e private (postali o bancarie) statunitensi. Studi analoghi recenti applicati a spazi di lavoro nei quali il colore, o consistenti elementi naturalistici, o la presenza di opere o installazioni d’arte rivestivano un ruolo di primo piano,  hanno dimostrato nella pratica risultati non meno lusinghieri.

Nel percorso creativo di Statera risalta uno splendente modello di lampada, “Stella” (2008) (foto 30a), da parete o da tavolo, che mutua dall’omonimo astro la forma irregolare, sottilmente spigolosa (quasi concrezione stalagmitica), prodotta in pochi esemplari numerati e firmati; suggestiva al punto da costituire l’unica fonte luminosa per una mostra d’artista (Tiziana Leopizzi) ospitata nel 2009 nello show-room romano di “Poltrona Frau” (foto 31a).

 

Foto 30a. Daniele Statera, lampada Stella, 2008.

 

                        Foto 31a. Daniele Statera, lampada Stella, 2008, esposta nello show-room romano di Poltrona Frau in occasione della mostra di un’artista (Tiziana Leopizzi).

 

Solo un artista-designer che conosce bene i materiali, in primis il legno, e il design nordico (specie Arne Jacobsen), poteva ideare un attrezzo schiaccianoci come quello di recente disegnato – e fatto realizzare in prototipo – da Statera. Di ridotto o maggiore formato, l’oggetto-scultura, liscio in superficie ma ricco di venature come un tronco secolare, sembra racchiudere in sé remote tracce di leggende e letture infantili che lo rendono attraente e complice: un drago schiaccia con perfetta efficienza noci o altri frutti analoghi, i cui gherigli riempiono il vassoio di contenimento sino a traboccarne. Una vera e propria terapia antistress per il padrone o la padrona di casa che, oltre a esporlo nel soggiorno potrà giocarvi da solo o esibire con gli ospiti di turno il costoso oggetto di desiderio.

 

Foto 32a. Daniele Statera (con la collaborazione di Luciano Fabale), seduta Balance con il piano poggiato lateralmente su molle, prototipo, 2018-2019

Non meno adatto al gioco l’ultimo (2019), per adesso, progetto di Statera (in collaborazione con Luciano Fabale), “Balance” (foto 32a), seduta lignea dal piano molleggiato oscillante, ideale per sale d’aspetto di studi medici o per astanterie cliniche pediatriche.  L’aspetto è quello, rassicurante e bonario, di panca dal pianale imbottito. Rivivono nell’esemplare stilemi tipici della  “Wiener Werkstatte” e del suo  capofila Josef Hoffmann, o del meno noto al grande pubblico co-fondatore e esponente di primo piano Richard Riemershmidt. Tracce di una Mitteleuropa scomparsa da tempo che ha lasciato di sé testimonianza cospicua nella grande letteratura, nei quadri, nei mobili e nelle decorazioni di vetri e ceramiche di un periodo. La vita, per i progettisti, si nutre soprattutto di atmosfere, ricordi, gioco, sogni, viaggi nel tempo. Che un mobile rappresenti tutto ciò, al di là della propria (naturalmente ben assolta) funzione, non è  usuale e scontato.

 

                                     Foto 33a. Daniele Statera, ritratto Lux, 2003.

Statera ha adottato (2013)  alcuni stilemi dell’artista statunitense forse più celebre del dopoguerra – Andy Wahrol – per eseguire  ritratti, abolendo l’uso del colore che ne caratterizzava le opere rendendole inconfondibili e  impiegando tecniche diverse quali fili metallici e smalto o filamenti e scolature di silicone nero e carbonio, così da ottenere entro cornici di forma quadrata effetti paragonabili all’incisione in bianco e nero; dove però la pagina bianca è costituita dalla parete sulla quale vengono affissi i ritratti,  e l’aria entra – come in opere di Lucio Fontana – nella composizione (foto 33a).

Nel campo delle macchine inutili (foto 34a e 35a) che rimandano a un ciclo di idee e invenzioni del suo autore di riferimento Bruno Munari, fra i primi (dopo Depero) a comprendere l’esigenza di svago, divertimento e  sconfinamento nell’assurdo degli adulti, Statera ha realizzato nel 2010 un “meccanismo immaginifico” n.1 costituito da una  base in legno cubica che sostiene un pendolo inverso a due assi in acciaio armonico con una sfera in fibra di vetro. Attraverso servomotori, componenti elettronici e una leva di comando a distanza il meccanismo si può muovere interagendo (per le sue dimensioni a scala umana) con la persona che di volta in volta lo aziona, a condividere le oscillazioni  della sfera.

 

Foto 33a. Daniele Statera, disegno di progetto per il meccanismo immaginifico n.1 con pendolo inverso oscillante, 2010.

 

 

Foto 34a. Daniele Statera, meccanismo immaginifico n.1 attivato, al MLAC Museo Laboratorio di Arte Contemporanea, Roma,  2012.

 

Impossibile abbandonare l’argomento Statera senza accennare all’aeromodello  “       La Pimpante“  (apertura alare 252 cm., aliante puro, 1200 grammi in ordine di volo, vincitore ex-aequo del secondo Concorso “AAVIP” nel 2017);  ideato, messo a punto e realizzato dal designer sino al collaudo. Siamo certi che la sua non comune “estensione delle capacità” (attribuita dall’allora curatore del museo di Arti Applicate di Boston a Ponti, 1954) riserverà, oltre a ciò che abbiamo visto qui, ed altro che non mostriamo (come una serie di progetti per sedute imbottite in legno o a struttura metallica, inediti del 2018),  con il concorso di committenti illuminati ulteriori non effimeri esiti creativi. A rendere più  lieve e più profonda l’esistenza quotidiana.

 

 Foto 35a. Daniele Statera, La Pimpante, aliante puro, struttura lignea e rinforzi in composito, 2017
  Specifiche tecniche del modello
Apertura alare:252 cm
Profilo alare: HQ modificato
Materiali: Struttura lignea, rinforzi in composito.
Superfici mobili 4 (elevatore, alettoni, direzionale, flap):
Aliante puro: 1200 g in ordine di volo.
Vincitore (ex-æquo) del II° Concorso AAVIP: progetta il tuo modello. 2017.AAVIP – Ass. Aeromodellistica Volo In Pendio

 

 

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Sebastiano Gentile, architetto e allestitore d’interni “Raphael Design”, Roma – San Pietroburgo

 

Sebastiano Gentile, giovane architetto laureato all’Ateneo romano La  Sapienza,  si è trasferito nel 2012 a San Pietroburgo.  Nelle sue opere prime coeve – l’allestimento di un sushi-bar e di un wine-bar a Mosca, adottava geometrie di progetto semplici e rigorose.

Nel primo locale spiccava una serie di banconi paralleli di colore bianco (in Corian, materiale plastico prodotto da Dupont) lungo una delle due pareti maggiori dell’ambiente; sul lato opposto, in corrispondenza, spazi quadrati di soggiorno a formare altrettanti separeés con divani in pelle bianca; leggeri schermi formati da sottili stecche lignee permettevano il passaggio dell’aria e un minimo di privacy per gli avventori, senza interrompere la vista continua del locale (foto1b). I colori di alcuni arredi s’intonavano a cibi e oggetti d’uso tipici della cucina giapponese: dalle sfumature arancio delle mensole (il salmone) al verde dei rivestimenti in pelle negli sgabelli (il wasabi), al color legno delle stecche (le bacchette di bambù per l’assaggio delle pietanze).

 

Foto 1b. Sebastiano Gentile, sushi bar a Mosca, modello per una analoga catena di locali in Russia, 2012.

 

Banconi, sgabelli e lampade erano visibili dall’esterno tramite finestre-vetrine poste in corrispondenza, sul marciapiede. Una trama regolare di piccoli faretti incassati nel soffitto illuminava il locale, mentre i banconi ricevevano luce diretta da lampade sospese (foto 2b).

 

Foto 2b. Sebastiano Gentile, Ibidem.

 

Il wine bar italiano a Mosca traeva ispirazione da un marchio internazionalmente noto (le automobili Ferrari);  largo impiego, dunque, di acciai e lamine metalliche (esplicito richiamo alle carrozzerie dei bolidi) nelle sedute, negli schermi a parete, nei cavi di acciaio utilizzati per sospendere a soffitto i banconi (anche qui in Corian bianco; perfino  le pareti erano trattate con una tinteggiatura a imitare le superfici metalliche).

Foto 3b. Sebastiano Gentile, wine bar realizzato a Mosca, modello per un’analoga catena di locali in Russia, 2012.

 

Pannelli fotografici di tonalità accese o scure riprendevano il logo della casa automobilistica, contrastando i toni chiari predominanti, fra i quali il rovere dei pavimenti, tipico degli autosaloni (foto 3b e 4b). L’impressione finale era di ambienti dove convivevano misura e ricercatezza. I due progetti erano, in realtà, due “concept design” per altrettante catene di locali analoghi.  La linearità delle due soluzioni non ha avuto seguito nelle successive opere, nelle quali l’autore, come qui vedremo, si affidava a linguaggi e forme espressive di un passato neoclassico o post-rinascimentale.

 

Foto 4b. Sebastiano Gentile, Wine bar a Mosca, ibidem, 2012.

 

In un grande bagno privato per una dimora preesistente a Novosibirsk (stesso anno, foto 5b e 6b) in stile neo-barocco, l’architetto si conformava, infatti, all’insieme adottando su di un lato paraste tuscaniche affiancate da  nicchie con lavabi; sull’altro, analoghi elementi e motivi, a incastonare una vasca di rilievo imperiale. Il marmo di Carrara profuso nei pavimenti a intarsio e nei ripiani dei lavabi contribuiva al tono aulico dell’ambiente. Le colorazioni delicate delle pareti in stucco (leggero rosa salmone tipico di dimore barocche) o rivestite (attorno alla vasca) in minuti mosaici ceramici di colore acquamarina chiaro e le fonti luminose, celate secondo la tradizione sei-settecentesca – dilatavano l’ambiente, illusionisticamente riflesso nello specchio della porta. Un gusto innato e il sapiente controllo di forme e proporzioni rendevano armonioso l’insieme, evitando al lusso ogni carattere di pretenziosità.

 

Foto 5b e 6b. Sebastiano Gentile, grande bagno per una dimora privata preesistente a Novosibirsk, 2012.

 

In un monolocale adibito a studio privato nel centro di San Pietroburgo (2013) l’architetto affrontava un difficile, quasi impossibile compito, il recupero e l’applicazione di uno stile neo-barocco fastoso che a fine Ottocento aveva goduto di un trionfale “revival”, riuscendo a ottenere dai sontuosi tendaggi damascati, da un soffitto di forma poligonale mossa, sottolineata da cornici a rilievo in stucco, da una scrivania ricca di fregi dorati sul fronte, da un divano memore della poltrona “Proust” di Mendini, ma privo di intendimenti ironici (in compagnia di una console, due specchiere e un lampadario a bracci, tutti disegnati e realizzati su misura,  decorandoli in foglia d’oro) un insieme di apprezzabile equilibrio (foto 7b e 8b).

 

Foto 7b. Sebastiano Gentile, monolocale nel centro di San Pietroburgo allestito in rivisitando stilemi di gusto neo-barocco diffusi nell’Ottocento, 2013
Foto 8b. Sebastiano Gentile, ibidem, la zona studio,  San Pietroburgo, 2013.

 

Un raffinato ambiente bagno nei toni prevalenti del blu (le pareti a mosaico minuto) affidava alla sola cornice lignea dello specchio il dialogo, di stampo classico e aulico, con i mobili dell’abitazione.

L’attitudine del progettista a fare propri linguaggi espressivi e stilemi architettonici separati fra loro da secoli di storia, e di fonderli in un insieme omogeneo è visibile in una piccola villa ideata e realizzata nella regione a nord di San Pietroburgo (2013). La committenza desiderava un edificio che sembrasse preesistere da tempo.

 

Foto 9b. Sebastiano Gentile, villa di campagna in stile neo classico nella regione nord di San Pietroburgo, 2013.

 

L’architetto sceglieva lo stile discreto ma lussuoso delle ville rustiche toscane, adottandone i motivi caratteristici, dai pavimenti in cotto agli archi ribassati, dalle colonne tuscaniche affiancate da pilastri alla presenza di un camino, da scale in legno a lampade a parete in bronzo. Ciò non gli impediva di adottare nel soggiorno la disposizione su due livelli, già introdotta in interni degli anni Venti da Robert Mallet Stevens, da noti architetti francesi, in Italia da Gio Ponti. Sebastiano Gentile sembra aver tratto da quest’ultimo la speciale attenzione alle esigenze dei committenti, riflessa e concretizzata qui anche nel disegno di un balconcino (“posto ideale per una prima colazione”), che dal livello (e solaio) superiore del soggiorno si affaccia sulla parte sottostante.  La cura del progetto si esplicava, inoltre, attraverso un insieme di dettagli, come la scelta del colore blu cielo nella camera dei bambini, a richiamarne i sogni e i disegni; l’apertura ellittica praticata in alto nella facciata dell’edificio; la cupola ottagonale, a irradiare nella camera da letto luce  diurna (foto 9b, 10b, 11b, 12b, 13b).

 

Foto 10b. Sebastiano Gentile, villa di campagna in stile neo classico nella regione nord di San Pietroburgo, 2013 Foto 11b. Sebastiano Gentile, ibidem, 2013 Foto 12b. Sebastiano Gentile, ibidem, 2013. Foto 13b. Sebastiano Gentile, ibidem, 2013 Foto 13b. Sebastiano Gentile, ibidem, 2013.

 

Spaziava fra epoche e riferimenti stilistici distanziati nei secoli anche un successivo appartamento di media estensione situato nell’isola Vasilievsky, al centro di San Pietroburgo (2013). Al gusto classicheggiante degli ambienti di soggiorno e di riposo (foto 14b e 15b), decorati alle pareti con carte geografiche (riferimento alla destinazione portuale e commerciale dell’area), l’architetto univa ambienti cucina e bagno schiettamente ispirati al Decò anche negli abbinamenti di colore (nero e beige o le diverse sfumature dell’oro); effetti di non ostentata, ma contenuta eleganza erano ottenuti applicando piastrelle in ceramica, prodotte da una manifattura italiana su disegno di Marcel Wanders.

 

              Foto 14b. Sebastiano Gentile, appartamento di media estensione nell’isola Vasilievsky, San Pietoburgo 2013, spazio di soggiorno. Foto 15b. Sebastiano Gentile, ibidem, camera da letto, 2013.

 

Del 2014 segnaliamo una committenza d’interni per una piccola villa nel sobborgo di Peterhof, località famosa per il complesso imperiale voluto da Pietro il Grande, patrimonio dell’Unesco.

Uniformarsi allo stile tardo barocco di quest’ultimo era quasi naturale per l’architetto, che poteva mettere in scena le soluzioni più confortevoli o fastose (soggiorno a doppia altezza con cornici rifinite a foglia d’oro) o raccolte (un angolo per il gioco o una prima colazione riservata nello spazio del bow-window; una ridotta sala da pranzo resa importante da soffitti a cassettoni e mobili riccamente decorati) (foto 16b e 17b). L’attenzione dell’artefice per i materiali, in particolare quelli della tradizione italiana, si esplicava nella scelta del marmo nero Portoro per il ripiano della cucina e di gradini in marmo di Carrara per la scala del salone.

 

Foto 16b, Sebastiano Gentile, villa a Peterhof  in stile neo-barocco, il vano di soggiorno, 2014. Foto 17b. Sebastiano Gentile, ibidem, l’ambiente pranzo, 2014.

 

Gli impianti scenografici di vasta dimensione non sempre permettono, però, di esprimere a fondo le proprie doti poetiche. Negli interni di un piccolo appartamento in Medikov, San Pietroburgo, Sebastiano Gentile puntava (2015) sul repertorio classico o barocco più congeniale e gradito ai proprietari, ma riusciva nel contempo, inserendo elementi post moderni a ottenere risultati estetici di gusto contemporaneo. La volontà (o capacità) di suscitare emozioni tipica di quel linguaggio espressivo  (il postmoderno) era chiamata in gioco fin dall’ingresso, nella giustapposizione fra le calde sfumature dell’oro e il blu dell’affresco a soffitto. Il bel tavolino bianco del soggiorno dichiarava esuberanti supporti, modellati secondo analogo gusto (foto 18b). Nella cucina  mobili in prevalente color bianco avorio mostravano affinità elettive con arredi analoghi di Mallet Stevens nel palazzo Stocklet di Bruxelles.  Un gioco di ripiani squadrati e semplici nella camera da letto padronale, affreschi a cromie vivaci nella stanza dei bimbi (foto 19b) e la ormai consueta abilità nel creare atmosfere negli ambienti bagno (una luce artificiale soffusa ampliata dai riflessi dorati delle pareti) dimostravano l’empatia dell’architetto con gli ambienti considerati.

 

Foto 18b. Sebastiano Gentile, appartamento a Medikov, San Pietroburgo, il vano di soggiorno, 2015. Foto 19b. Sebastiano Gentile, ibidem, la stanza dei bambini, 2015.

 

C’è da rammaricarsi che gli interni di una più vasta dimora (oltre 500 mq.) ideata dal progettista per una località della regione di San Pietroburgo nello stesso anno siano rimasti virtuali: una sorta di Versailles raffinata,  resa a noi vicina nel tempo e nel gusto da sobri riferimenti, in alcuni mobili, all’architetto franco-belga testè citato ne avrebbero fatto un esempio di nobile quanto forbita e colta rivisitazione (foto 20b).

 

Foto 20b. Sebastiano Gentile, progetto (non realizzato) per una vasta dimora neoclassica nella regione di San Pietroburgo, 2015.

 

Un successivo appartamento (2016) nel complesso residenziale (dal progettista definito “esclusivo”) dell’isola Krestovsky in San Pietroburgo, vicino all’isola di Yelagin, dove l’architetto italiano Carlo Rossi realizzò nei primi dell’800 il palazzo di Maria Feodorovna madre dello zar Alessandro I – ha permesso a Sebastiano Gentile di riprendere il gusto classico degli interni secondo una visione originale e contemporanea. L’ingresso, di forma ottagonale era impostato su oggetti e arredi di rilevante impatto visivo come un lampadario di Murano, una console in acciaio d’ispirazione Decò, opere d’arte contemporanea (foto 21b). Nel soggiorno dominato da tonalità scure, un tavolo in cristallo di forma inusuale e di produzione italiana (foto 22b).

 

             Foto 21b. Sebastiano Gentile, appartamento nell’isola Krestovsky a San Pietroburgo, l’atrio, 2016.  Foto 22b. Sebastiano Gentile, appartamento nell’isola Krevstovsky a San Pietroburgo, soggiorno, 2016. Foto 23b. Sebastiano Gentile, ibidem, la camera da letto, 2016.Una cucina nelle tonalità del bianco, con la sola eccezione di un piano in marmo nero Portoro era illuminata da luci nascoste a led, a dilatare lo spazio (foto 24b).Foto 24b. Sebastiano Gentile, appartamento nell’isola Krestovsky a San Pietroburgo, la cucina, 2016. Foto 25b. Sebastiano Gentile, ibidem, l’ambiente bagno, 2016.

 

Un bagno in stile minimalista (foto 25b) interamente rivestito in marmo greco Nestos ammetteva l’unica tonalità difforme del vetro color acquamarina della doccia; opera, quest’ultima, come gli altri apparecchi sanitari,  di Philippe Stark.

Fra gli altri progetti realizzati in seguito dall’architetto, un appartamento in San Pietroburgo stilizzava e semplificava rispetto ai precedenti esempi d’interni le soluzioni di arredo. Curioso, nella camera da letto, l’ingrandimento  fotografico di un celebre sorriso, fra il beffardo e il crudele, dell’ignoto dipinto su tela da Antonello da Messina (foto 26b), oggi al museo di Cefalù. Il volto, tagliato nella riproduzione proprio sopra la bocca, esalta con l’immagine ambigua la squadrata volumetria dei mobili.

 

                     Foto 26b. Sebastiano Gentile, appartamento a san Pietroburgo, 2018

 

Ancora una volta era destinata al bagno la parte del leone: in un ambiente magico, ricco di riflessi e fosforescenze auree giacevano le forme pure e corpose dei sanitari, in un ricercato gioco di opposti (foto 27b).

 

                    Foto 27b. Sebastiano Gentile, ibidem, l’ambiente bagno, 2018.

Non può essere tralasciato il progetto di un appartamento dal gusto mediterraneo a San Pietroburgo (2018), destinato a una ragazza in età da marito. L’architetto ha utilizzato deliberatamente ceramiche di Vietri, degli stessi produttori cui spetta l’accorto brevetto del colore “Blu Ponti”.

L’allestimento, che fra l’altro sembra evocare grandi spazi, era invece di dimensione limitata (solo 70 mq.); l’insieme riflette la visione che il russo ha dell’italianità, della “casa calda” e cromaticamente ricca (foto 28b, 29b e 30b). Una sfida che l’architetto ha accolto in pieno, richiamandosi alla freschezza d’ispirazione propria dei primi interni ad abitazione realizzati da Gio Ponti negli  anni Venti.

 

 

 

            Foto 28b. Sebastiano Gentile, appartamento di sapore mediterraneo a San Pietroburgo, 2018. Foto 29b. Sebastiano Gentile, Ibidem, ambiente cucina realizzato conmobili di una produzione italiana di serie. 2018. Foto 30b. Sebastiano Gentile, appartamento di gusto mediterraneo a san Pietroburgo, la camera da letto, 2018.

 

Fra le ultime realizzazioni di Sebastiano Gentile l’originale appartamento pietroburghese (2018) di grande estensione, dove è stata conferita centralità a un guardaroba, lasciandone in vista gli abiti sospesi a binari metallici, e le scarpe disposte in perfetto ordine su mensole e vani di armadi (foto 31b).

 

                Foto 31b. Sebastiano Gentile, grande appartamento a San Pietroburgo, lo spazio guardaroba, 2018.

 

Una cucina versione contemporanea e astratta di un saloon, con l’ormai classico bancone dallo spesso ripiano ligneo, ospitava sgabelli a struttura metallica sottile, con seduta e schienale leggermente imbottiti ricoperti da tessuto rosso (foto 32b). L’armadiatura grigio chiara di sfondo costituiva parete. Il progettista è lungi dall’ aver esaurito le corde del proprio repertorio espressivo.

 

                  Foto 32b. Sebastiano Gentile, appartamento di grande estensione a San Pietroburgo, lo spazio cucina, 2018.