Comunicato stampa

 César Meneghetti + Laboratori d’Arte della Comunità di Sant’Egidio
3 dicembre 2019 ore 11.00
Aula Magna Facoltà di Lettere – Sapienza Università di Roma
 PRESENTAZIONE DEL VOLUME
 INCLUSION / EXCLUSION x inclusione vs esclusione
(dalla mostra omonima al Vittoriano – Roma, 8 dicembre 2018 – 14 febbraio 2019) alla mostra è stata conferita la
TARGA DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
 In occasione del 3 dicembre, giornata internazionale delle persone con disabilità, verrà presentato il volume INCLUSION / EXCLUSION che invita il pubblico a riflettere su una delle questioni emergenti nel mondo contemporaneo, quella dei processi contrapposti di esclusione e inclusione: isolamento/integrazione, indifferenza/solidarietà, respingimento/accoglienza, paure/dialogo.
Attraverso testi e immagini, il volume documenta il lungo processo di formazione e approfondimento che ha coinvolto l’artista César Meneghetti e i Laboratori d’Arte della Comunità di Sant’Egidio, su temi che ci toccano tutti e ci interrogano: segregazione, migrazioni, guerra, periferie urbane ed esistenziali, impegno umanitario e per la pace, difesa dei diritti, best practice. Le opere, di forte impatto anche emotivo, come quella che rappresenta il dramma delle migliaia di migranti morti negli ultimi anni nel Mediterraneo, hanno conosciuto un successo di pubblico e di critica durante la mostra esposta al Vittoriano dall’8 dicembre 2018 al 14 febbraio 2019.
 L’incontro dialogico e formativo tra l’artista e le persone con disabilità dei Laboratori ha messo in moto un processo di corresponsabilità e partecipazione a doppio senso. Si sono potenziati così il lavoro di rappresentazione e trasformazione sociale e culturale del mondo circostante e l’azione dei Laboratori verso una liberata creatività.
 Intervengono: il Rettore Eugenio Gaudio, Filippo Ceccarelli, Laura Faranda, Simonetta Lux, Antonella Sbrilli, Alessandro Zuccari e l’artista César Meneghetti, curatore del libro e della mostra. Sarà esposta una selezione delle opere.

 

 

 

NON POSSIAMO CONSENTIRE…..Parole al vento?

Ho deciso di pubblicare questo mio intervento con l’unico scopo: di premettere quanto segue: Sono entrata in una grande crisi, quando –pochi giorni dopo il mio intervento del 3 dicembre alla Sapienza- un ragazzo adolescente, Gabriel, figlio di un amico carissimo, è stato ricoverato d’urgenza avendo dato in escandescenze, al centro Psicoterapeutico Diagnostico di Frascati. La sua violenta crisi di comportamento segue una grave crisi interiore, che non è stata seguita adeguatamente, esplosa due anni fa, quando è stato soggetto a bullismo da parte di coetanei. Ha appena compiuto diciotto anni,  ha firmato.

Ho scoperto che in Italia ancora vengono usate le pratiche di contenzione – che tanto avevano fatto inorridire Franco Basaglia. Forse, non si sono mai in terrotte. Certo, sono mitigate: ma la verità è che la psicoterapia, fin dagli anni ottanta, ha abbandonato la umanistica proposta relazionale inaugurata da Franco Basaglia, per scegliere invece la via farmacologica: una scorciatoia, una scelta per così dire securitaria, una via che potrebbe riportare il malato mentale (se è malato mentale) allo stato di “cosa”, cancellandone lo status di “persona”.

Gli psicoterapeuti di scuola basagliana sono ridotti a una minoranza, ma tengono duro, nell’idea di quella pratica “relazionale” che può sottrarre le persone all’isolamento, alle esclusioni dalla società, alla solitudine nelle crisi che sono o della mente, o delle condizioni di disabilità o di minori abilità;  o nelle attuali più generali e diffuse e ben note crisi dei bambini e degli adolescenti (nel comportamento e nei processi di apprendimento) . Questa situazione era stata denunciata da uno degli ultimi grandi psicologi che da giovane aveva scelto di lavorare con Franco Basaglia, Peppe Dell’Acqua, in occasione di un altro Convegno tenuto al Museo MAXXI di Roma poco tempo fa. Ma in verità già lo sapevo: da quando, su Internazionale, il 10 agosto 2015, avevo letto di Peppe Dell’Acqua l’intervento “I malati psichiatrici non sono criminali da arrestare” (https://www.internazionale.it/opinione/peppe-dell-acqua/2015/08/10/malati-psichiatrici-tso).

Mi chiedo: ma perché scrivere, e ricordare quanto fatto in Italia da grandi personaggi dell’arte, della medicina e della scienza, e dell’arte, e dell’educazione in generale, se poi si torna indietro? Una grave crisi culturale e morale, una crisi di inadeguatezza, tocca in Italia coloro che lavorano  nel campo della malattia mentale. E una altrettanto grave  inadeguatezza è nella classe politica, perché non fa della scuola, dell’Università, della ricerca e della formazione in generale, la priorità assoluta: tanto che proprio mentre scrivo, il ministro Fioramonti si è dimesso -dice-per non aver ricevuto nelle decisioni del governo di cui fa parte , quei fondi che reputava  il minimo necessario proprio per scuola e ricerca. Strano che non ci si renda conto dell’abisso in cui si rischia di precipitare. Proprio per questo , allora, vincerò il mio scoraggiamento.  Dedico il mio testo ai meravigliosi giovani, studenti, e non, al loro ascolto attento, fino il fondo. Di questo li ringrazio, passando a loro la staffetta. Ma anche io, non mollerò.

NON POSSIAMO CONSENTIRE…

Intervento di Simonetta Lux nell’Aula Magna della Facoltà di Lettere e Filosofia della Sapienza Università di Roma, 3 dicembre 2019, per la presentazione del libro INCLUSION/EXCLUSION, pubblicato in occasione della omonima mostra al Vittoriano, nella quale sono stati presentati i lavori artistici, quadri e sculture, di persone disabili, formate e guidate da artisti contemporanei, in questo e molti altri eventi dall’artista italo brasiliano César Meneghetti. Oltre al Rettore Eugenio Gaudio, sono intervenuti il giornalista Luigi Ceccarelli, i professori Laura Faranda, chi scrive, Antonella Sbrilli, Alessandro Zuccari e l’artista César Meneghetti, curatore del libro e della mostra.

 

 

César Meneghetti, Me/ We Io/Noi, specchio vinile sagomatori di luce, dimensioni variabili.

 

Non possiamo consentire che si perda o si interrompa quel filo rosso di azioni che per oltre cento anni, nel nome dell’arte e della libertà poetica, in una unione inedita tra arte e scienza, artisti e scienziati hanno fatto raggiungere all’Italia quelle mete da cui gran parte del mondo – e in parte anche l’Europa – è priva: insomma volevo- quando ho ricostruito la linea rossa- contrapporre al Bel Paese (spesso ironicamente usato dai giornalisti per parlare dei mali e bruttezze dell’Italia) un Bel Paese Bello.

Per farvi sorridere, vi preciso che Il lemma Bel Paese, anche nome di un famoso marchio di formaggi e oggi in uso nel giornalismo italiano come connotazione ironica delle derive dissolutive del nostro paese, nasce come titolo del libro dell’abate Antonio Stoppani, naturalista e pedagogo, zio materno di Maria Montessori (della quale sto per parlarvi), Il Bel Paese. Conversazioni sulle bellezze naturali la geologia e la geografia fisica d’Italia. Il titolo del libro riecheggia il famoso verso il bel paese ch’Appennin parte, e ‘l mar circonda et l’Alpe del Canzoniere di Francesco Petrarca (canto 146) con cui il poeta richiama l’immagine dell’Italia. Il libro di Antonio Stoppani fu un vero bestseller per la sua epoca, tanto che sul marchio del formaggio fu posto proprio il ritratto dell’abate.  Qui ho contrapposto il Bel Paese, nel suo senso attuale ironico, al Bel Paese Bello che vorremmo.

Ecco vi elenco alcuni dei più importanti i raggiungimenti, ecco il filo rosso di azioni libere e responsabili, tutte collegate all’idea della libertà di creazione e dell’arte, azioni che donne e uomini, in un lavoro congiunto tra intellettuali, poeti, scrittori, artisti, psicologi e scienziati: per l’emancipazione dell’uomo dall’esclusione e dalla segregazione.

Ħ Educazione per tutti (alfabetizzazione universale) (siamo arrivati da zero a –oggi-16 anni: dobbiamo raggiungere la copertura totale della formazione per tutti, da asilo alla università): parlerò di Maria Montessori, prima laureata donna, alla Sapienza, che nel 1909 dedicò al bambino, la cui educazione considerava “la vera questione sociale del nostro tempo”, la sua tesi di Specializzazione.

 

Ħ Servizi sanitari essenziali o endemici gratuiti per tutti, unitamente- ancora una volta- alla educazione per tutti. Sodalizio tra arte, scienza e medicina e illuminati dirigenti scolastici: vi parlerò del Comitato per le scuole contadine nell’Agro Romano, di Giorgio Celli, che riesce a far approvare in parlamento la legge per la distribuzione gratuita del chinino (cura della malaria, di cui aveva scoperto l’origine), ma unisce la sua azione a quella di artisti e poeti, per la alfabetizzazione dei contadini, per sottrarli all’atteggiamento fatalista verso la malattia, dovuta alla loro analfabetizzazione. Alla loro ignoranza.

 

Ħ Obiezione di coscienza contro il servizio militare obbligatorio, rifiuto della guerra come strumento di rapporto con altri paesi, raggiungimento della Educazione /scuola per tutti: parlerò di Don Lorenzo Milani.

Il quale il quale chiamò, obbligò, convinse, i figli dei contadini (del piccolo paese dove era stato confinato per le sue posizioni presunte eretiche) alla scuola, vista come processo di “restituzione della parola” a chi soggiaceva, pur stando nei margini, all’incombente e nascente consumismo – nella miseria della propria incomunicabilità. Non è curioso che, nell’archivio dei Laboratori d’Arte della Comunità di Sant’Egidio in una delle interviste agli amici disabili, Micaela Vinci parli di sé come di un “POPOLODEISENZAPAROLA”? Micaela Vinci è una dei 200 persone con disabilità coinvolte nel progetto: Micaela non parla e non sente, ma trascrive il suo pensiero col metodo della comunicazione aumentativa. Don Milani muore nel 1967 l’anno dopo esce di Basaglia L’istituzione negata.

 

Ħ Apertura delle porte degli ospedali psichiatrici, che erano dei veri e propri lager, ad opera di Franco Basaglia (Legge 180 detta legge Basaglia, approvata il 14 maggio 1978, cioè 4 giorni dopo il ritrovamento del corpo di Aldo Moro ucciso dai brigatisti). Parlerò di Franco Basaglia, colui che, come Don Milani che si era spogliato della sua superiorità professionale per farsi uomo tra gli uomini, sospende, mette tra parentesi ogni pregiudizio terapeutico, per poter “liberare” il malato e “raggiungerlo” su un piano di libertà: i malati mentali che entrano nel manicomio, capì subito, non sono “cose”, sono “persone”.

 

Ħ Azione contro i pregiudizi verso l’altro e il diverso: è il tema del libro di cui vi parliamo oggi, INCLUSION/ EXCLUSION. Vi parlerò della creazione della Comunità di Sant’Egidio (1969), nel nodo storico intorno al 1968, quando “i giovani che lavoravano con Basaglia e i giovani che fondarono la Comunità ecclesiale laica di Sant’Egidio, in modo analogo trovano il modo di esercitare concretamente il proprio impegno sociale, “capaci di fare senza rinunciare ai propri ideali, senza farsi ‘reclutare’ o ‘comperare’ da quella società che essi volevano cambiare”, come scrive quello che era stato uno dei giovani accostatosi a Basaglia, Peppe dell’Acqua: proclamano la necessità di attenzione agli ultimi, gli abbandonati, i rifiutati, gli ex carcerati, i poveri, i disabili./quel Natale del 1968.

 

Entrerò di più nella descrizione di questo straordinario processo di questo filo rosso, dove l’arte e la creazione e l’unità di arte e scienze conducono all’idea di uguaglianza di tutti i cittadini e ai processi di inclusione e di uguale opportunità: cercherò nella lettura di sintetizzarlo.

Dobbiamo tuttavia osservare, a priori, che c’è una frizione continua come tra strati o tra strutture o tra mondi diversi, che c’è una dialettica continuamente bloccata tra iniziativa individuale e iniziativa sociale e politica, tra il Bel Paese[i] e il Bel Paese Bello, di cui all’inizio vi parlavo.

E il filo rosso italiano di azioni per l’emancipazione dell’uomo dall’esclusione e dalla segregazione è bene sempre ripercorrerlo, anche perché mi sembra che l’azione degli amici della Comunità di Sant’Egidio (con il libro più recente, INCLUSION/ EXCLUSION, che stiamo qui a presentarvi) ne sia il tratto più recente.

Il filo doppio che unisce il tracciato storico di azioni di specialisti in campi diversi è l’intreccio tra l’arte e le scienze, in nome del rispetto dell’altro in quanto persona.

 

 

Roberto Mizzon, Corridoi umanitari, acrilici e oro su tela, 150 x 700

Seguivo questi pensieri, mentre partecipavo alla inaugurazione della nuova Casa famiglia nel quartiere romano di Monte Verde creata dalla Comunità per una dozzina di amici disabili (molti dei quali partecipanti ai Laboratori d’Arte): mi chiedevo come sia possibile, ancora, la persistenza di un incredibile numero di  strutture costrittive e la permanenza di una scuola non ancora integralmente “inclusiva”, qui in Italia dove possiamo tracciare quel lungo ininterrotto filo di azioni, metodologie educative, iniziative liberatorie di riconosciute facoltà, potenzialità e intelligenze, che attraversa la storia dell’Italia Unita, spezzato solo dalla Dittatura del ventennio Fascista.

Dall’artista Nino Costa (1826-1903) con la sua Associazione In Arte Libertas, al gruppo di artisti I XXV della Campagna Romana, da Maria Montessori (1870-1952) che muore due anni prima della creazione della scuola di Barbiana, a don Milani che l’aveva creata, fino a Franco Basaglia (1924-1980) che liberò dalla reclusione manicomiale malati mentali, degradati allo stato di non-persone.

 

Ħ Con la creazione del Comitato per le scuole contadine nell’Agro Romano, medici, artisti, docenti, pedagoghi si coalizzano con lo scopo di alfabetizzare la popolazione contadina dell’Agro Romano e delle Paludi Pontine. Ne ho scritto in occasione della mostra, e nel volume, curati da Giovanna Alatri A come Alfabeto, Z come Zanzara (Palombi, Roma, 1998). A come G. Alatri, Alfabetizzazione e campagna antimalarica nell’Agro Romano nei primi
decenni del secolo
, nel volume (pubblicato in occasione della mostra omonima)

L’immunologo Angelo Celli (1857-1914) scopritore della cura e prevenzione della malaria, in quanto deputato – eletto al Parlamento tra le file dei radicali – fa approvare le leggi cosiddette “del chinino di Stato” e un testo unico nel 1907. Celli è organizzatore di un piano di assistenza educativo- sanitaria per la popolazione contadina della campagna Romana: comprese infatti anche che occorreva scuotere le popolazioni analfabete portate ad un’accettazione fatalista della malaria. A vincere è un’azione congiunta insieme alla moglie Anna Fraentzel (presidente della sezione romana dell’Unione Femminile Nazionale), al pedagogo Alessandro Marcucci (1876-1968), alla poetessa Sibilla Aleramo (1876-1960), al giornalista e scrittore Giovanni Cena (1870-1917), allo scultore Duilio Cambellotti (1876-1960), a Giacomo Balla (1871-1958) ed Elisa Marcucci Balla, e molti altri.

Viene messo a punto un sistema didattico insieme alla costruzione di scuole rurali: Duilio Cambellotti realizza la decorazione di diversi edifici scolastici e illustra le pagine di sillabari e libri di lettura.

Il sodalizio organizza la Mostra dell’Agro Romano all’Esposizione Universale di Roma del 1911. È lì, in occasione della grande Mostra ai Prati di Castello per il Cinquantenario dell’Unità, dove i regnanti visitarono con meraviglia le attività delle scuole, ricreate in un apposito padiglione provvisto di capanna-scuola, che l’Italia sembrava “africa”, come ha scritto un poeta, con le sue vere capanne circolari coperte di tetti di paglia là nella palude pontina. E chi abitava quelle capanne era detto reietto, ignorante, senza terra. “Ecco – scrive Alessandro Marcucci – la scuola doveva dare a questi ignoranti e reietti, senza terra, senza anagrafe, una cittadinanza umana e civile. Era questo ben altro assunto che fargli compitare ed eseguire un addizione! La scuola con tutti i suoi sviluppi diveniva lo strumento non soltanto di assistenza materiale, ma di un affermazione dei diritti sociali, di una denunzia al mondo civile d’una superstite feudalità tanto più iniqua quanto più si esercitava sotto forma di commercio, all’ombra di qualche articolo del codice”.

L’opera di Angelo Celli contro la malaria fu d’esempio ad altre nazioni dalle quali ebbe numerosi riconoscimenti: Laurea Honoris Causa dell’Università degli Studi di Atene e di Aberdeen e del Royal Institute of Public Health di Londra, medaglia d’oro Mary Kingsley dell’Istituto di Medicina Tropicale di Liverpool.

 

Ħ I libri di Maria Montessori furono bruciati dai nazisti, prima a Berlino e poi a Vienna durante l’occupazione nazista dell’Austria. Perché faceva tanto paura? Montessori fonda nel 1907 nel quartiere di San Lorenzo a Roma la sua prima Casa dei Bambini e fin dall’inizio sconvolge i pregiudizi, per il suo impegno sociale e scientifico a favore dei bambini handicappati e – occorre aggiungere – dei bambini poveri, per questo discriminati ed esclusi dall’educazione.
Il metodo della pedagogia scientifica, elaborato durante il primo Corso di specializzazione (1909) nel volume Il metodo della pedagogia scientifica applicato all’educazione infantile nelle Case dei bambini, pubblicato dall’editore Lapi a Città di Castello (Perugia) fu tradotto e accolto in tutto il mondo con grande entusiasmo: per la prima volta veniva presentata una immagine diversa e positiva del bambino, indicato il metodo più adatto al suo sviluppo spontaneo e dimostrata la sua ricca disponibilità all’apprendimento culturale, i cui possibili risultati non erano stati mai prima immaginati e verificati.

I baroni Franchetti, in particolare la baronessa sua amica Alice Hallgarten con cui aveva svolto attività a tutela della donna, convinsero Maria Montessori a scrivere, nel 1909, nella quiete della loro dimora romana, la sua opera fondamentale e ne finanziarono la pubblicazione, presso l’editore Lapi. Questa alleanza, collocava la Montessori in area modernista, come si diceva allora, condannata da Pio X. In un’intervista a New York, apparsa sul Globe, Montessori dichiara di aver dovuto chiedere l’aiuto a papa Leone XIII per il suo ingresso alla facoltà in quanto ostacolata dal ministro Baccelli. Si iscrive alla Facoltà di Medicina dell’Università “La Sapienza” di Roma, dove sarà la prima donna a laurearsi in medicina (nel 1896) dopo l’unità d’Italia.  Il giovane barone Giorgio Franchetti, va ricordato, sarà nel secondo dopoguerra un grande collezionista e sostenitore dell’arte contemporanea e degli artisti contemporanei italiani degli anni ’60 e oltre. Sulla sterminata bibliografia su Maria Montessori si parta dalla voce, nel Dizionario Biografico degli Italiani di F. De Giorgi. (http://www.treccani.it/enciclopedia/maria-montessori_%28Dizionario-Biografico%29/).

Montessori fonda inoltre nel 1924 (lo stesso anno del manifesto del movimento Surrealista di André Breton, incentrato nel progetto di ricostituire in unità la personalità divisa dell’uomo moderno), l’Opera Nazionale Montessori (Ente Morale): Maria è costretta a dimettersi nel 1934 perché i fascisti volevano orientarla e fugge in Olanda ed in India, da dove rientra in Italia nel 1947 alla fine della guerra. Allora l’Opera Nazionale Montessori viene rifondata, con la diffusione in tutto il mondo del Metodo Montessori che articola il processo educativo al processo creativo libero, secondo le fasi dello sviluppo e delle potenzialità percettive del bambino e dell’adolescente, studiate scientificamente dalla Montessori nelle diverse fasi.

Per oltre 40 anni Maria Montessori è presente non solo nella diffusione del metodo, ma anche nella ricerca scientifica in vista della liberazione dell’infanzia (“la vera questione sociale del nostro tempo”) e della difesa del bambino, l’essere fino ad oggi dimenticato e sostituito dall’adulto. Dopo Il metodo, ora conosciuto come La scoperta del bambino, altre opere vedono la luce: Antropologia pedagogica, L’autoeducazione nelle scuole elementari, Il bambino in famiglia, Psicoaritmetica e Psicogeometria, tutte tradotte all’estero dove il metodo va intanto diffondendosi in modo sempre più vasto. Non solo, ha scoperto e valorizzato i “nuovi caratteri” del bambino e la sua insostituibile funzione nella conservazione e nel perfezionamento dell’umanità (“il bambino padre dell’uomo”). Della sua incessante esplorazione su Come educare il potenziale umano, scaturiscono le sue idee finali. L’idea della educazione alla pace e l’idea della educazione cosmica.

Sonia Sospirato, Luigi Basso, Marco Bartoccetti,Donatella Fabri,  L’Africa spremuta, acrilici, gommapiuma, acqua colorata, pompa, 190 x 90. “Spremuta l’Africa, dice Sonia, chi la potrà colorare di nuovo?”

Ħ Don Lorenzo Milani (1923-1967), già Signorino Dio e Pittore (N. Fallaci, Dalla parte dell’ultimo. Vita del prete Lorenzo Milani, Libri edizioni, Milano, 1977, p. 57.), come si definì una volta mentre a 20 anni studiava da artista all’Accademia di Brera a Milano sotto i bombardamenti degli alleati, nel 1943 entra in seminario e si dà all’attesa, alla predisposizione all’ascolto. Ci fa pensare al gesto che poi farà Franco Basaglia, quando racconterà il suo incipit nel manicomio di Gorizia nel 1961: toltosi il camice si siede tra gli internati ad ascoltarli.

Don Milani nel 1954 dà per così dire il cambio (senza saperlo?) all’opera della grande Maria Montessori, morta due anni prima, quando – dopo una sua prima destinazione alla parrocchia di San Donato – viene inviato per punizione, dalle autorità ecclesiastiche, a Barbiana, Priore della chiesa di S. Andrea nella piccola parrocchia sul monte Giovi, nel territorio di Vicchio del Mugello. Lui già aveva maturato la distanza tra cultura accademica e sua interpretazione dell’architettura contemporanea (l’esperienza collettiva del gruppo di giovani intorno a Michelucci creatore dell’edifico modello del razionalismo italiano degli anni 30: la Stazione di Firenze) e aveva compreso la forza non formalistica della pittura e dell’arte (la lettera è pubblicata on line in http://www.barbiana.it/opere_univ_e_pecore.html.).

Nell’impatto con la cultura contadina e con l’analfabetismo dei montanari (scrive in proposito da Barbiana, il 30 marzo 1956, la lettera, peraltro incompiuta, Università e pecore, al suo amico magistrato Giampaolo Meucci) radicalizza la necessità di dare più centralità alla scuola.

Dalla osservazione che “la povertà dei poveri non si misura a pane, a casa, a caldo, ma si misura sul grado di cultura e sulla funzione sociale”, nasce il metodo di Don Milani ed un suo libro famoso: Lettera a una professoressa (1967), su un anno di attività nella scuola di Barbiana.

“Per lui prete la scuola era il mezzo per colmare quel fossato culturale che gli impediva di essere capito dal suo popolo quando predicava il Vangelo; lo strumento per dare la parola ai poveri perché diventassero più liberi e più eguali, per difendersi meglio e gestire da sovrani l’uso del voto e dello sciopero. Con quella tenacia di cui era capace quando era convinto di avere intuito una verità andò a cercare uno ad uno tutti i giovani operai e contadini del suo popolo. Entrò nelle loro case, sedette al loro tavolo per convincerli a partecipare alla sua scuola perché l’interesse dei lavoratori, dei poveri non era quello di perdere tempo intorno al pallone e alle carte come voleva il padrone, ma di istruirsi per tentare di invertire l’ordine della scala sociale […] Nella sua scuola raccolse giovani operai e contadini di ogni tendenza politica, presenza che mantenne e ampliò perché dimostrò di servire la verità prima di ogni altra cosa […] [La]scuola di San Donato a Calenzano [fu]una scuola dove l’impegno sindacale e quindi l’impegno sociale era considerato come un preciso dovere a cui un lavoratore cristiano non poteva sottrarsi. Attraverso la scuola ed i suoi giovani conobbe i veri problemi del popolo. Entrò nelle famiglie come uno di loro pronto a dare un aiuto su qualunque questione”. (M. Gesualdi, Una vita breve ma intensa, in http://www.donlorenzomilani.it/don_milani/ sito della Fondazione Don Lorenzo Milani. Vedi inoltre la esaustiva bibliografia della voce di M. Di Sivo del Dizionario Biografico degli Italiani, citata nella nota 18.)

Compie una grande rivoluzione culturale, didattica e pedagogica che rifiuta l’indifferenza, la passività negativa e motiva fortemente l’allievo. La centralità che attribuisce anche alla educazione e alla sollecitazione alla scrittura, sono di una enorme attualità, considerando l’analfabetismo di ritorno così diffuso oggi in Italia, secondo quanto rilevato – tra le altre cose – da Tullio De Mauro nel suo Seminario nell’Università Federico II di Napoli “Nuovi analfabetismi dall’indagine Piaac” del 20 maggio 2014.

Anche l’utopia formativa diffusa di Don Milani ebbe un esito propulsore – dopo la sua morte – nella riforma della Scuola dell’obbligo. La pubblicazione nel 1967 di Lettera a una professoressa sull’esperienza di Barbiana e scritta con i suoi allievi durante la malattia che nello stesso anno lo avrebbe portato alla morte, prendeva spunto dalle carenze della legge del 1962 per l’estensione della scuola dell’obbligo a quattordici anni, in quanto malamente applicava l’articolo 3 della Costituzione, sull’ eguaglianza di opportunità e sul metodo selettivo.

Don Milani si batté inoltre in difesa dell’obiezione di coscienza al servizio militare, come principio di libertà del cittadino: in seguito a un suo scritto in difesa dell’obiezione di coscienza (pubblicato dal settimanale Rinascita il 6 marzo 1965), dove ancora una volta si distaccava dall’insegnamento e dalla tradizione cattolica, venne processato per apologia di reato e assolto in primo grado il 15 febbraio 1966, ma morì prima che fosse emessa la sentenza di appello del 28 ottobre 1967 che dichiarò il reato “estinto per morte del reo”. (Il direttore di Rinascita, Luca Pavolini, assolto in primo grado, sarà condannato in appello a cinque mesi e dieci giorni di reclusione. Si veda Il dovere di non obbedire. Documenti del processo contro don Lorenzo Milani, Cultura, Firenze, 1965. “All’udienza, il 30 ottobre 1965, il M. non poté essere presente per l’aggravarsi della leucemia, che s’era manifestata almeno dal 1960, ma in quei giorni aveva lavorato alla sua autodifesa, la Lettera ai giudici portata in tribunale dall’avvocato d’ufficio A. Gatti. È il testo noto come L’obbedienza non è più una virtù”: così scrive Michele Di Sivo autore della voce del Dizionario Biografico degli Italiani, Milani Comparetti, Lorenzo. Si veda on line http://www.treccani.it/enciclopedia/lorenzo-milani-comparetti_%28Dizionario_Biografico%29/ Bisognerà aspettare la fine del 1972 perché anche in Italia il Parlamento vari una legge sul servizio civile, la 772. )

Don Milani ebbe come avvocato d’ufficio Alfonso Gatti (riporto alla fine alcuni momenti del processo, che Don Milani malato ascoltava per radio): Gatti è divenuto poi famoso per la sua battaglia sul Diritto del cittadino, oltre che in generale sui diritti umani universali: dobbiamo a lui se oggi abbiamo una tutela sin dall’inizio del procedimento giudiziario. (G. Corrias Lucente (a cura di), Scritti dell’avvocato Adolfo Gatti. Raccolta, Aracne editrice, Roma, 2015. Si veda: Adolfo Gatti, Quella Lettera ai giudici, pubblicato su “La Repubblica”, 26-27 giugno 1977, in ivi, pp.147-151.)

Ħ Nel 1968 esce libro cult di Franco Basaglia, L’istituzione negata, il fondatore di Psichiatria democratica, colui al quale dobbiamo lo smantellamento dell’istituzione totale manicomiale culminato nella Legge 180/1978, 14 maggio, (cui diedero un appoggio fondamentale Marco Pannella ed i Radicali con la proposta di un referendum abrogativo dei manicomi, che  avrebbe certamente vinto se la legge non fosse stata prontamente approvata) e — cosa più importante ancora — a Franco Basaglia dobbiamo l’avvio ad una riconsiderazione della diversità, spogliata della minacciosità che impropriamente la riveste, strappata alla tirannia della normalità e al pregiudizio che condanna i diversi ad una prigionia fisica e psicologica con o senza sbarre.

“Un malato di mente entra nel manicomio come ‘persona’ per diventare una ‘cosa’. Il malato, prima di tutto, è una ‘persona’ e come tale deve essere considerata e curata (…) Noi siamo qui per dimenticare di essere psichiatri e per ricordare di essere persone”: così scrive Franco Basaglia, nel 1961 (quell’anno viene tradotto in Italia The Human Condition di Hannah Arendt), quando diventa direttore del manicomio di Gorizia, dove sono 650 internati. Il lavoro compiuto in un rinnovato sistema relazionale basato sull’ascolto e sulla sollecitazione individuale di pazienti ritornate persone, porta Basaglia nel 1971, quando diviene direttore del Manicomio di Trieste, il San Giovanni, che aveva allora 1200 pazienti, a ribadire che la Psichiatria “che non aveva compreso i sintomi della malattia mentale, doveva cessare di giocare un ruolo nel processo di esclusione del “malato mentale”. Un processo di esclusione, egli dice, chiaramente voluto da un sistema politico “convinto di poter annullare le proprie contraddizioni allontanandole da sé, rifiutandone la dialettica, per potersi riconoscere ideologicamente come una società senza contraddizioni”.

Molto è noto dell’opera di Basaglia. Rileggere oggi il “racconto”, ne L’istituzione negata, del lungo processo collettivo di scardinamento del pregiudizio e di ripensamento del rapporto tra personale medico e di custodia degli ospedali psichiatrici e degli uomini che vi erano stati fino allora “sigillati” per sempre, è di grande dirompenza ed attualità. Occorre rileggere ogni momento i fondamentali testi basagliani: Che cos’è la psichiatria (1967) (A cura di Franco Basaglia, con presentazione sua e Nota introduttiva di Franca Ongaro Basaglia e saggi di F. Basaglia, L. Schittar, A. Slavich, A. Pirella, L. Jervis Comba, D. Casagrande, G. Jervis. Prima edizione con Einaudi, Torino, 1968.); la Introduzione alla traduzione italiana di Asylums di Erving Goffman; L’istituzione negata (1968) e le Conferenze Brasiliane tenute a San Paolo e a Rio de Janeiro nel giugno del 1979 e a Belo Horizonte nel novembre dello stesso anno, nei quali fa rivivere – narrandolo – il movimento personale che ha fatto scattare la sua azione a favore della dignità di ogni uomo. E insieme anche lo straordinario lavoro dello storico John Foot La Repubblica dei matti.

A conclusione di questo sommario ripercorrere il filo rosso che fa da trama alle divergenze tra Bel Paese e Bel Paese Bello, il filo rosso dell’Italia tollerante e inclusiva dell’alterità e della diversità, voglio ricordare anche che in tutte le esperienze rivoluzionarie ricordate è presente – e risolutiva – la pratica dell’arte e la dedizione degli artisti. Anche Basaglia, a Trieste, istituì subito dei laboratori di pittura e di teatro, li trasformò in cooperative di lavoro ed economicamente autosufficienti. Proprio lì a Trieste decide lui e la sua equipe, insieme ai “malati di mente, di uscire nel mondo, insomma di lanciare in modo eclatante la deliberazione di apertura delle porte dei manicomi, e lo fa facendo sfilare per le vie di Trieste in corteo una “macchina scenica”, un cavallo costruito in legno e cartapesta, seguito da medici, infermieri, malati ed artisti.

Ħ Nel saggio La misconosciuta sapienza di sé, nel libro NOI DIAMO [ +] SENSO, notavo come nel nodo storico intorno al 1968 “i giovani che lavoravano con Basaglia e i giovani che fondarono la Comunità ecclesiale laica di Sant’Egidio, in modo analogo trovano il modo di esercitare concretamente il proprio impegno sociale”, “capaci di fare senza rinunciare ai propri ideali, senza farsi ‘reclutare’ o ‘comperare’ da quella società che essi volevano cambiare”, come scrive quello che era stato uno dei giovani accostatosi a Basaglia, Peppe dell’Acqua, poco più che coetaneo dei fondatori di Sant’Egidio.

Il libro, le idee, che presentiamo oggi, INCLUSION/EXCLUSION, si colloca in questa storia.

Mi sembra che la presenza di arte, artisti, poeti in tutte le iniziative che quel filo rosso attraversa – filo che chiaramente raggiunge oggi anche la storia della Comunità di Sant’Egidio tra i disabili, tra gli ultimi, tra gli esclusi e tra i reclusi – vada a muoversi parallelamente ed in sintonia alla storia delle azioni degli artisti e di una certa linea dell’arte contemporanea: linea di un’arte che non si afferma come oggetto, ma come traccia e come evento di relazione con l’altro, dove la creazione e messa in scena  (messa in opera) di scarti, rifiuti, frammenti, tracce dell’attuale concomitante frammentazione dei soggetti e dei linguaggi. È l’opera d’arte infinita, che negli ambiti più avanzati delle tecnologie e della rete digitale si produce in un procedimento continuo di consegna e rielaborazione dell’altro come persona.

In questo senso sono giunta a parlare di una specie di grande Opera d’ Arte Relazionale, per il complessivo rapporto formativo e creativo in corso con i partecipanti ai Laboratori sperimentali d’Arte, con l’emergenza di opere individualmente realizzate e compiute.

Molte cose inammissibili

Dicevo all’inizio: non possiamo consentire che si interrompa questo straordinario processo: sembra che invece si sia su questa strada, di perdita della memoria collettiva e sottovalutazione di questo tesoro cioè di questo lascito prezioso.

Per non dirla proprio così, sono ricorsa a uno dei nostri più grandi maestri di democrazia, Norberto Bobbio (nato nel 1909, 110 anni fa), perché mi sembrava che un suo testo su Etica e politica (ma anche su Etica ed economia) che ho studiato negli anni del mio inizio di insegnamento, suonasse nello stesso tempo come fuori sentimento eppure proprio per questo estremamente attuale. Così ho intitolato il mio testo in un modo incomprensibile (recita: Di tutto ciò che è concettualmente inammissibile e dei limiti dell’ammissibile: Lo potete leggere nel libro che qui presentiamo INCLUSION EXCLUSION) per dire una cosa chiaritami da Bobbio: in questo mondo globale dominato dalle leggi di mercato (e  indifferente alle esigenze dell’uomo) e dominato da un concetto degradato della politica, asservita a interessi personali, sembra che tutti siano d’accordo che  né l’economia né la politica debbano rispondere agli ideali morali – del buon agire- condivisi dalla collettività. Ma il non detto dietro a questa menzogna è che viene spacciato per buon agire, nella economia il processo di sottomissione dell’uomo agli algoritmi della finanza / nella politica lo spacciare per interesse collettivo quelli che sono invece interessi personali di pura conquista del potere.

In questo scenario di cui tutti voi/noi siamo abbastanza consapevoli e che è lo scenario in cui viviamo, appare fondamentale fare leva su quel senso di responsabilità personale e di deliberazione di scelte che possono apparire fuori delle possibilità di contesto: ma sono scelte possibili, poiché appartengono al nostro DNA culturale, fanno parte di noi e della nostra storia. Ogni atto di responsabilità avrà successo.

Che cosa fa l’arte

Anche perché ancora una volta, è quell’arte non cosmetica, ma relazionale, che oggi, di nuovo, diventa il CONTESTO DI POSSIBILITA’ per contrastare i processi di esclusione, marginalizzazione e segregazione (i nuovi campi di concentramento)

Mi sembra che la presenza di arte, artisti, poeti in tutte le iniziative che quel filo rosso attraversa – filo che chiaramente raggiunge oggi anche la storia della Comunità di Sant’Egidio tra i disabili, tra gli ultimi, tra gli esclusi e tra i reclusi – vada a muoversi parallelamente ed in sintonia alla storia delle azioni degli artisti e di una certa linea dell’arte contemporanea:

Linea di un’arte che non si afferma come OGGETTO, ma come traccia e come EVENTO DI RELAZIONE CON L’ALTRO.

Tanti elementi e tracce seppur orride della vita che viviamo sono stati assunti dagli artisti – fin dagli inizi del 1900 – nelle loro opere a indicare un legame con il mondo e con ciò che del mondo andava “esposto”, sottoposto alla attenzione, richiamato all’anima. In questo senso dobbiamo considerare come un SEGNO tra gli altri dell’arte la scelta di collocare nella mostra (e che riesponiamo qui, insieme ad alcune opere degli artisti dei Laboratori) il pannello che riproduce l’articolo 3 della Costituzione Italiana, atto politico/etico che recita:

Articolo 3

“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. 

Linea di un ‘arte dove la creazione è anche messa in scena (messa in opera) di scarti, rifiuti, frammenti, tracce dell’attuale concomitante frammentazione dei soggetti e dei linguaggi. È l’opera d’arte infinita, che negli ambiti più avanzati delle tecnologie e della rete digitali si produce in un procedimento continuo di consegna e rielaborazione dell’altro come persona.

L’Articolo 3 della Costituzione Italiana, esposto in mostra come “segno” di un progetto creativo.

In questo senso sono giunta a parlare di una specie di grande Opera d’ Arte Relazionale, per il complessivo rapporto formativo e creativo in corso con i partecipanti ai Laboratori sperimentali d’Arte aperti a Roma dalla Comunità di Sant’Egidio, con l’emergenza di opere individualmente realizzate e compiute.

Non si può dire dunque che l’arte contemporanea non fosse adatta, né si può dire che César Meneghetti non fosse un artista necessario all’incontro con l’esperienza complessa dei Laboratori d’Arte della Comunità di Sant’Egidio e con le persone raccolte lì, in processi di creazione e di ri [-] costruzione della propria identità negata: grazie all’artista si compie un risolutivo salto di qualità.

Al ruolo di César Meneghetti ho dedicato pagine diverse: CÉSAR MENEGHETTI E IL DOPPIO REGISTRO ARTE/REALTÀ: AVANGUARDIA, e NEOAVANGUARDIA, ALTER-MODERN ART; CÉSAR MENEGHETTI DAL DOPPIO REGISTRO A I\O_IO È UN ALTRO

Direi in particolare: la dissoluzione dei confini tra linguaggi e media – antichi, moderni, contemporanei, reali e virtuali – per César Meneghetti (come in tanti artisti dell’epoca, nomadi tra mondi) è un’opportunità straordinaria che si combina con le libere scelte tematiche. Nell’artista brasiliano si può seguire un processo di conoscenza e rappresentazione dei lontani mondi che egli ha conosciuto e va conoscendo. Lo fa attraverso racconti, storie, opere pittoriche ma soprattutto filmiche e digitali, nelle quali le dissoluzioni spazio temporali delle pre-istorie e dei vissuti attuali/quotidiani degli uomini, delle persone ben si sintonizzano con la dissoluzione dei linguaggi abilmente ripensati in dispositivi che tengono insieme tracce e memorie psicofisiche vissute. Una padronanza dei media tutti disponibili alta, vivace, inventiva, in grado di creare nuovi protocolli, nuovi dispositivi dell’arte.

Ciò che sta avvenendo in quel tempo parallelamente, nel mondo relazionale dell’arte, in César Meneghetti sta avvenendo come un’arte di fondazione di sé.” Lavora in questo senso insieme alle persone disabili o emarginate che frequentano i Laboratori Sperimentali d’Arte della Comunità di Sant’Egidio.

Frequentando i Laboratori, operano all’inizio con le tecniche artistiche antiche e storiche, ma presto – come vedremo – si sente l’urgenza di lavorare con l’arte e con gli artisti contemporanei, di far capire e far praticare i processi dell’arte in corso. Nella Scuola di Pittura prima e poi nei Laboratori Sperimentali d’Arte, l’incontro con l’arte e la sua pratica è per alcuni una intrapresa che porta a un risultato compiuto, coerente con un’intenzione o con un assoluto. Ma per tutti l’incontro e la pratica di processi creativi ed espressivi è qualcosa che non si ferma al discorso dell’arte: appare cruciale per la dimostrazione a se stessi di una libertà raggiunta, di una abilità prima inimmaginabile dentro di sé, la dimostrazione di una collocazione su un piano di parità e di uguaglianza in primo luogo con se stessi che attendeva di essere concepita come intima convinzione. E solo a questo punto si profila la possibilità di sfondare la rete sociale e istituzionale dei pregiudizi e della esclusione. Il ruolo educativo dell’artista, di César Meneghetti, poetico, amichevole, appassionato, è cruciale.

Questa dissoluzione dei confini – se guardiamo bene_ è naturalmente cosa ben diversa da quella Evaporazione del sistema Italia, di cui ha giustamente parlato Emanuele Macaluso.  Questa cui invece ci riferiamo è opera di ricostituzione della trama.

Come in numerosi scritti sostiene Bernard Stiegler, lucido analista della società “automatica” e dei processi di sottomissione digitale in corso (che ho potuto conoscere in occasione di una sua Lectio Magistrale al MACRO ASILO di Roma) per ricostituire questa trama spezzata occorre appunto ricostituire i saperi perduti, appropriandosi naturalmente – combattendone i lati negativi- anche dei più recenti, come fa l’arte contemporanea da tempo.

Da tempo mi interrogo (e certo non sono sola) sulle tante intrinseche, quasi organiche, storiche, anomalie, che il sistema-Italia incorpora e vive: avere una tardiva e familistica industrializzazione e divenire leader nell’industrial design; essere leader mondiale nel possesso dei beni culturali e essere priva di una politica di promozione e tutela della creatività e dell’innovazione; essere erede di sistemi formativi e di ricerca riconosciuti internazionalmente e essere incapace di una progettazione dei processi formativi adeguati a tali eredità; vantare una schiera di Premi Nobel, ma quasi tutti conseguiti con ricerche svolte fuori d’Italia e malgrado ciò essere incapaci di una seria politica della Ricerca; avere una Costituzione democratica tra le più avanzate nei principi di civiltà, di uguaglianza, di giustizia e di rispetto dell’individuo e provvedersi con una lentezza disperante della sua regolamentazione applicativa e così via.

Insomma c’è una frizione continua come tra strati o tra strutture o tra mondi diversi, c’è una dialettica continuamente bloccata tra iniziativa individuale azioni per l’emancipazione dell’uomo dall’esclusione e dalla segregazione – e iniziativa sociale e politica.

Voi, studenti che ascoltate così attenti, dovrete battervi per quelle che sono le nostre vere priorità, contro l’inerzia – e contro la talvolta evidente violenza comunicativa distorta- di questa classe politica:

Scuola dell’obbligo fino a 18 anni gratuita

Università per tutti gratuita

Sanità (mantenere e migliorare i pattern raggiunti)

Giustizia (il vero fondamento per l’attuazione dei nostri principi costituzionali di parità di opportunità di noi cittadini).

Come qui all’università ci hanno insegnato la differenza tra Classicismo e Classico, così possiamo smontare la proclamazione distorta e populisticamente recitata di Sovranismo e affermare in una futura Europa Federalista il principio di Sovranità e Identità Nazionale, in una Europa come è stata pensata dai nostri padri costituenti.

Simonetta Lux, 3 dicembre 2019- 20 dicembre 2019 (versione integrale)

Post scriptum:

Il 12 febbraio 2016, sul Corriere della Sera/ Corriere fiorentino, per i cinquanta anni del processo a Don Milani, Mario Lancisi pubblica  “L’obiezione del priore”

“Cinquant’anni fa iniziava il processo a Don Milani per la lettera ai cappellani militari. L’assoluzione, poi la condanna in appello e un dibattito che portò all’approvazione della legge nel 1972.

«Signori, entra la corte». Tribunale di Roma, 15 febbraio 1966, un martedì. Alla sbarra un prete e un giornalista. Il primo, don Lorenzo Milani, per aver scritto una lettera ai cappellani militari in difesa dell’obiezione di coscienza al servizio militare, a quel tempo vietata dalla legge (non pochi gli obiettori finiti in galera). Il secondo, Luca Pavolini, direttore di Rinascita, settimanale del Partito Comunista Italiano, per aver pubblicata la lettera dello scandalo. Accusa? Apologia di reato, di incitamento alla diserzione e alla disubbidienza civile.

Pavolini partecipa all’udienza, don Milani no, troppo malato, il tumore lo stava divorando. Per questo il priore aveva deciso di scrivere una lettera ai giudici: «La malattia è l’unico motivo per cui non vengo. Ci tengo a precisarlo perché dai tempi di Porta Pia i preti italiani sono sospettati di avere poco rispetto per lo Stato. E questa è proprio l’accusa che mi si fa in questo processo. Ma essa non è fondata per moltissimi miei confratelli e in nessun modo per me. Vi spiegherò anzi quanto mi stia a cuore imprimere nei miei ragazzi il senso della legge e il rispetto per i tribunali degli uomini». È questo l’incipit di uno scritto talora erroneamente scambiato per un elogio della disobbedienza alle leggi. L’aula del processo è affollata di giovani, di giornalisti e anche di qualche prete. Don Lorenzo segue il dibattimento da Barbiana. Attorniato dai suoi ragazzi attacca un piccolo registratore al telefono. Dall’altro capo del filo l’amico Mario Cartoni, cronista giudiziario della Nazione, che alterna gli appunti del dibattimento alla cronaca telefonica del processo.

Il primo a prendere la parola è il pubblico ministero Pasquale Pedote. Che si scaglia contro il priore di Barbiana, lo accusa di aver insegnato ai suoi ragazzi la disobbedienza alle leggi, e conclude l’arringa con la richiesta di una condanna a otto mesi di reclusione.

A Barbiana il priore e i ragazzi fremono, Cartoni cerca di rassicurarli. «Ora tocca al Gatti», avvisa il giornalista. Adolfo Gatti è il difensore di ufficio di don Milani. Al priore non piace: «È un avvocato borghese che difende giornali intellettuali come L’Espresso e il Mondo…”. La sua difesa è nella lettera ai giudici, avvocati non li vuole, alla fine però accetta quello di ufficio.

L’arringa del giovane Gatti scuote i giudici, che richiama al dovere di senso politico delle leggi: «Don Milani ha posto un problema al quale non si può dare una risposta formale. Qui signori giudici occorre un colpo d’ala», conclude Gatti.

E il colpo d’ala arriva con la sentenza di assoluzione. «Don Lorenzo, assoltoooo…», grida a squarciagola Cartoni. «Assolto come?», domanda di rimando il priore. Cartoni: «Formula piena: perché il fatto non costituisce reato. Contento?». L’assoluzione di don Milani trasforma l’aula del processo in un tripudio: giovani che applaudono e persino il compassato avvocato Gatti si mette a saltare come un ragazzino. È la gioia che segna un progresso sociale. L’obiezione al servizio militare, entrata nella coscienza civile della società italiana, per la prima volta veniva compresa e fatta propria dai giudici di un tribunale”. https://corrierefiorentino.corriere.it/firenze/notizie/arte_e_cultura/16_febbraio_12/obiezione-priore-8b7a9748-d19d-11e5-ac58-cce880070ff3.shtml  ).