Viene pubblicata sui 4 numeri della rivista del 2020 la Lectio Magistralis tenuta da Simonetta Lux al MacroAsilo il 23 novembre 2019.

 È nel frattempo uscito nel Diario per le edizioni del Macro Asilo “Bordeau” il fascicolo, con il testo, ma con soltanto una decina delle cento immagini che accompagnavano la conferenza. Viene così ripubblicato nella rivista, d’accordo con Giorgio De Finis, il testo integrale con molte  delle immagini proiettate nella Lectio.

La Redazione

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MACRO ASILO – LECTIO MAGISTRALIS  di Simonetta Lux, INTERROGAMI!

23 novembre 2019

Per fare piena luce sull’intreccio -1968-2018- della sua vita con le vite degli amici artisti, poeti, scrittori, filosofi, dei suoi maestri e allievi, Simonetta Lux si fa interrogare da loro.

Ore 18,00.

Per rompere il ghiaccio, mi farò io stessa quelle domande che in tutti questi anni nessuno di voi mi ha rivolto, né altri.

Domanda 1.

  Nessuno mi ha chiesto: “Perché nel tuo saggio (maggio 1976) su Johann Joachim Winckelmann non hai parlato del suo assassinio a Trieste l’8 giugno 1768, un mercoledì, alle ore 16?

Che anno! Johann Joachim Winckelmann aveva solo 51 anni

Che anno! Johann Joachim Winckelmann aveva solo 51 anni (nato a Stendal il 5 dicembre 1717-) muore assassinato da un suo forse amante e certo rapinatore, a Trieste l’8 giugno 1768, nella stanza n.10. , là da dove, con lo studio dell’antico e della origine della bellezza, si era emancipato dall’esclusione e sottomissione sociale.

Vi leggo stralci del resoconto dei testimoni, dal libro (Longanesi, 1971) “L’assassinio di Winckelmann. Gli atti originali del processo criminale. [1768] “.

“Un cameriere avverte un“ tumulto che si faceva coi piedi ”, poi un“ cadere a terra con gran strepito ”. infine il ferito non si stava rialzando da sé? In effetti scende al primo piano cercando il padrone, che è a messa. Le cameriere tra cui Eva, lavora li, lui deve risalire. Eva sente dietro di sé gemere. “… Quel Signore che stava al N.10 tutto imbrattato di sangue… in faci tutto turchino… e palido…”. Fugge, salgono gli “altri” Le cameriere, insieme a quella del Consigliere de Raab, dicono non azzardiamoci ad avvicinarci, forse è impazzito e si è ferito da sé. Fugge, salgono gli “altri” Le cameriere, insieme a quella del Consigliere de Raab, dicono non azzardiamoci ad avvicinarci, forse è impazzito e si è ferito da sé.suo amico.Harthaber tornando lo porta lui su, mentre sviene lo distendono su un canapè, poi lo portano dentro la stanza! Vedono il 10 tutto imbrattato di sangue… in faci tutto turchino… e palido… ”. (“E non che quello della pazzia, allora, fosse uno spettro da niente”). Quello del n.9, visto l’intruso, lo spintona e fugge via, il cameriere cerca di sollevarlo, ma esso se corigens: si solleva da se stesso, vede che perde molto sangue, gli dice di stare quieto, che corre dal chirurgo . Ricerca di un chirurgo, è a messa, non cerca lui stesso (Harthaber), (“E non che quello della pazzia, allora, fosse uno spettro da niente”). Harthaber tornando lo porta lui su, mentre sviene lo distendono su un canapè, poi lo portano dentro la stanza!Vedono ilNon gli resta che spalancare la porta (sembrandogli “di cogliere un rantolo greve, affannoso, al limite della soffocazione):“… et aprendola, vidi, che quel Signore, che fu amazato era disteso a terra, et l’altro, che allogiava al N.9 con un piede ginocchiato stava con le mani sopra del suo petto ”. 10 tutto imbrattato di sangue… in faci tutto turchino… e palido… ”. Fugge, salgono gli “altri” Le cameriere, insieme a quella del Consigliere de Raab, dicono non azzardiamoci ad avvicinarci, forse è impazzito e si è ferito da sé. “). Harthaber Tornando lo porta lui su, MENTRE sviene lo distendono su un canapè, poi lo portano dentro la stanza! Vedono ilinsieme a quella del Consigliere de Raab, dice non azzardiamoci ad avvicinarci, forse è impazzito e si è ferito da sé. (“E non Che Quello della Pazzia, Allora, Fosse Uno Spettro da niente”). Harthaber Tornando lo porta lui su, MENTRE sviene lo distendono su un canapè, poi lo portano dentro la stanza! Vedono il insieme a quella del Consigliere de Raab, dicono non azzardiamoci ad avvicinarci, forse è impazzito e si è ferito da sé. (“E non che quello della pazzia, allora, fosse uno spettro da niente”). Harthaber tornando lo porta lui su, mentre sviene lo distendono su un canapè, poi lo portano dentro la stanza! Vedono il  Passaporto Joanni Winckelmann Praefecto Antiquitatum Romae  : muore alle 16 di quel giorno.Incuria, paura, etc. Ma il processo, di fronte all’interessamento della Corte di Vienna, e da Roma il Cardinal Albani, viene istituito puntigliosamente, ricercato l’assassino, poi condannato alla “rota”: la sentenza verrà eseguita a Trieste alle 19 del 23 luglio 1768. Goethe annota: “Questo mostruoso caso fece un’enorme impressione…”

Che ipocrisia, nel libro sul suo assassinio!

Un libro inficiato di ipocrisia e di insinuazioni, uscito nel 1971, mi sottraeva dal mio orientamento critico, fin dal 1968 orientato alla conoscenza dei rapporti tra arte e società, in particolare dai rapporti tra arte e / o tra cultura e potere. Quel libro mi allontanava dalla mia considerazione di Winckelmann come di un uomo sgusciato via da una condizione sociale bassa (era figlio di una calzolaio), – attraverso gli studi e le occasioni colte con intelligenza e prontezza (l’incontro nel 1751 a Dresda con il Nunzio Apostolico Alberigo Archinto di cui è bibliotecario senza stipendio avendo una pensione del principe elettore di Sassonia, l’arrivo a Roma nel 1755 dopo aver fatto professione di religione cattolica e alla morte di Archinto nel 1758 l’accettazione dell’invito del cardinale Alessandro Albani del ruolo di bibliotecario e poi

1 Cardinale  Alessandro Albani  (1692-1779), Museo delle Belle Arti di San Francisco.
2 Anton von Maron, ritratto di Johann Joachim Winckelmann, Weimar, Schlossmuseum

sovrintendente del suo museo) – e fuggito dalla dipendenza e sottomissione – nel suo paese- da committenti, “datori di lavoro”, indifferenti al soggetto “umano”: sganciamento da un contesto quale quello del nord Europa della metà del ‘700. Andare verso una Europa piena di contraddizioni oltre che di fermenti. Solo cinque anni prima della sua morte nell’8 giugno del 1768, era stato nominato alla più alta carica di Prefetto delle Antichità di Roma: stava ritornando dal suo primo viaggio in patria dopo 23 anni ea Trieste era in attesa di una barca che lo trasportasse ad Ancona e di lì a Roma. Viene come intellettuale autonomo,  reddere rationem .Una ragione scientifica e storica: grazie ad essa, offrire un modello e metodo di conoscenza.Winckelmann riafferma il principio dell’identità di bellezza e bontà morale, l’antico principio greco della kalokagatìa, alla ricerca di quella essenza ideale dell’arte per lui raggiunta dai greci nel V secolo, che lo distacca dalle superfluità del Rococò e lo allinea – attraverso il discorso storico intrapreso nella “Storia dell’arte presso gli antichi” (1753; pubblicata a Dresda in tedesco) – alle più avanzate concezioni di Filosofia della storia e dello Stato e cioè a Montesquieu e ad Antoine-Yves Goguet (  Della origine delle Leggi, delle Arti e delle Scienze e dei loro progressi presso gli antichi popoli , uscito in Italia nel 1762, Napoli, Antonio Cervone) .La idea di Goguet era che Arti e Scienze non potessero nascere e perfezionarsi se non in società già formate e incivilite, ragione per cui –egli scrive- “parlo da principio dell’origine delle Leggi e del Governo politico ”, ed il fatto che Winckelmann avrebbe voluto sviluppare proprio – in tal senso- la parte dedicata all’arte, determinarono poi le critiche e le censure dei suoi successori, primo di tutti Carlo Fea, che vi intravidero diabolici elementi democratici e costituzionali.Aveva infatti scritto Winckelmann:

“[…] Altrettanto sensibile e comprensibile dell’influenza che il clima esercita sulla struttura fisica è quella che esso ha sul modo di pensare, al quale anche le circostanze esteriori e in particolare l’educazione, la costituzione e il governo di un popolo. Il modo di pensare sia dei popoli orientali e meridionali che dei Greci, si manifesta nelle opere d’arte […] Questi greci, nell’impossibilità di difendere la loro libertà dalla potenza limitrofa dei Persiani, non erano in grado di dare vita a potenti Stati liberi, come quello ateniese, e le arti e le scienze non poterono quindi trovare nell’Asia jonica la sede più favorevole. Ma ad Atene, dove, all’indomani della cacciata dei tiranni, si instaurò una forza di governo democratica, alla quale partecipava tutto il popolo,lo spirito di ogni cittadino e la città stessa si elevarono al di sopra di tutta la Grecia. Il buon gusto allora si diffonde tra tutti. E cittadini benestanti si conquistarono il rispetto e l’amore dei loro concittadini con sontuosi edifici pubblici e opere d’arte, preparando la propria gloria futura: tutto si riversava in questa città ricca di potenza e di grandezza, come i fiumi si riversano nel mare .E cittadini benestanti si conquistarono il rispetto e l’amore dei loro concittadini con sontuosi edifici pubblici e opere d’arte, preparando la propria gloria futura: tutto si riversava in questa città ricca di potenza e di grandezza, come i fiumi si riversano nel mare .Qui presero dimora le arti insieme alle scienze, trovandovi la sede più eletta, e da qui esse si divulgarono verso gli altri paesi. “(Cit. In Simonetta Lux, “ SPIEGAZIONE STORICA E GIUDIZIO ESTETICO NELLA GESCHICHTE DER KUNST DES ALTERTUMS ”,“ Quaderni sul Neoclassico ”, n.4, maggio 1968) .Qui presero dimora le arti insieme alle scienze, trovandovi la sede più eletta , e da qui esse si divulgarono verso gli altri paesi.“(Cit. In Simonetta Lux,“ SPIEGAZIONE STORICA E GIUDIZIO ESTETICO NELLA GESCHICHTE DER KUNST DES ALTERTUMS ”,“ Quaderni sul Neoclassico ”, n.4, maggio 1968). (Cit. In Simonetta Lux, “SPIEGAZIONE STORICA E GIUDIZIO ESTETICO NELLA GESCHICHTE DER KUNST DES ALTERTUMS”, “Quaderni sul Neoclassico”, n.4, maggio 1968). edifici pubblici e opere d’arte, preparando la propria gloria futura: tutto si riversava in questa città ricca di potenza e di grandezza, come i fiumi si riversano nel mare. Qui presero dimora le arti insieme alle scienze, trovandovi la sede più eletta, e da qui esse si divulgarono verso gli altri paesi. “E da qui esse si divulgarono verso gli altri paesi.”(Cit. In Simonetta Lux, “SPIEGAZIONE STORICA E GIUDIZIO ESTETICO NELLA GESCHICHTE DER KUNST DES ALTERTUMS”, “Quaderni sul Neoclassico”, n.4, maggio 1968). e da qui esse si divulgarono verso gli altri paesi. “(Cit. In Simonetta Lux,“ SPIEGAZIONE STORICA E GIUDIZIO ESTETICO NELLA GESCHICHTE DER KUNST DES ALTERTUMS ”,“ Quaderni sul Neoclassico ”, n.4, maggio 1968). 4, maggio 1968). e da qui esse si divulgarono verso gli altri paesi. “(Cit. In Simonetta Lux,“ SPIEGAZIONE STORICA E GIUDIZIO ESTETICO NELLA GESCHICHTE DER KUNST DES ALTERTUMS ”,“ Quaderni sul Neoclassico ”, n.4, maggio 1968). 4, maggio 1968). e da qui esse si divulgarono verso gli altri paesi.“(Cit. In Simonetta Lux,“ SPIEGAZIONE STORICA E GIUDIZIO ESTETICO NELLA GESCHICHTE DER KUNST DES ALTERTUMS ”,“ Quaderni sul Neoclassico ”, n.4, maggio 1968).

 Laocoonte, 40-30 ac, Musei Vaticani, Sala ottagona – Dessein , Proportions de la Statue de Laocoon , dalla Enciclopédie, Tavole t.II, tav.XXXVI

E ‘vero, Montesquieu, il grande combattente contro l’assolutismo contemporaneo (“Lettres Persanes”, 1721), che afferma il principio di libertà “relativa”, cioè socialmente determinato dall’uomo, che cerca di mettere in luce e giustificare storicamente le condizioni che garantiscano la libertà politica del cittadino, questo Montesquieu è il grande modello di Winckelmann.

Ma che mondo è?

Ma che mondo è quello di colui che teorizza quella bellezza ideale “come una idea concepita senza il soccorso dei sensi”, quelle figure “che rappresentano un uomo in una dignità superiore”? E ‘il mondo di Adam Smith, di  colui  Che Nella  Indagine sulla natura e le cause della Ricchezza delle nazioni  , Uscito nel 1776, solista Pochi anni DOPO la morte del teorico dell’ideale bellezza raggiungibile da solista nel Una Società Libera.Adam Smith intravede l’essenza dell’industria nell’incremento produttivo determinato dalla divisione del lavoro, colui che considera non la disuguaglianza causa della divisione del lavoro, ma la divisione del lavoro causa della differenza tra un portiere e un filosofo,

 

1 Teseo compiange la bellezza di Faia, da lui uccisa (dalla Storia dell’arte presso gli antichi JJWinckelmann, Dresda, 1764).
2 Charlie Chaplin operaio nella catena di montaggio ride (still dal suo film Modern Times, USA, 1936)

segnalò anche e critico la divisione del lavoro in quanto conduceva a una “mutilazione mentale”. “Perché essi egli scriveva- diventano ignoranti solitari come le loro vite, confinate a un singolo e ripetitivo lavoro”. Che attualità, che futuro si preannunciava per la condizione umana! Nessuna delle premesse del capitalismo è stata mantenuta (è l’incipit di uno dei saggi fondamentali del mio maestro Giulio Carlo Argan, ed era anche sempre l’incipit delle sue lezioni sul contemporaneo): neppure quella della libertà in un tempo libero da usare per la propria consapevolezza! Come credere che l’automatismo del 4.0o della rete a 5G non comporterà lo stesso danno alla nostra vita?

L’epoca che chiamiamo della rivoluzione industriale e / o della rivoluzione francese

Winckelmann, che è contemporaneo allo stadio di inizio dell’epoca che chiamiamo della rivoluzione industriale (e / o della rivoluzione francese) coglie –mentre ci sembra che parli di “bellezza- il nocciolo della questione di allora: rifondare la libertà democratica attraverso una” costituzione ”, cioè un sistema che garantisse –come nella Grecia antica- lo sviluppo ideale della maggiore delle libertà, la creazione artistica. Era in un punto preciso di fronte all’abisso della trasformazione sociale totale dell’occidente. Anticipava – senza saperlo- ciò che oggi è la sola cosa che ci tocca a fare- nell’epoca di trasformazione globale.

1 Fabbriche di cotone in Union Street, Manchester, 1829 (da una incisione, riprodotta in Klingender, Arte e rivoluzione industriale)
2  Studio assonometrico di casa per abitazione, di Theo van Doesburg, 1920

La nuova filosofia della espoliazione e la società automatica

250 anni di un processo –quello di produzione / consumo- che è stato pieno di promesse non mantenute e che ora è in stallo, di un processo nel quale il potere politico è divenuto solo potere di amministrazione, di messa in atto di quella che Carlo Bordoni (in Zygmunt Bauman, “Il buio del postmoderno”, Aliberti editore, 2011, p.134, “Introduzione”) chiama la nuova “filosofia della espoliazione”, la organizzazione, concentrazione, e istituzionalizzazione dello status di Povertà (come per la pazzia, cinquanta anni fa), e il sistematico annullamento delle conquiste di sicurezza, delle classi medie, preannunciate appena 50 anni fa (insidiate professionalità, risparmio, protezione sociale, servizi, diritti acquisiti, potere d’acquisto, pensioni). dell’ultimo Bauman, una speranza sembra delinearsi nel progetto di Bernard Stiegler,

1-Marcello Nizzoli- Giuseppe Beccio, Lettera22, 1950, macchina da scrivere meccanica portatile, prodotta dalla Olivetti ad Aglié (Torino).
Premio Compasso d’Oro 1954 / Miglior prodotto del XX secolo, Illinois Institute of Technology.
2- Claes Oldenburg, Soft Typewriter, 1963, scultura, vinile riempito con kapok, plexiglas e cordino di nylon (originale) 3- Adriano Olivetti, Noi sogniamo il silenzio

Strano, come vediamo, la analogia della forma tra la gemma che Winckelmann usò come antetitolo del capitolo più famoso della “Geschichte” (il IV, “Dell’arte sotto i Greci”) e quel fotogramma da “Tempi moderni” (1936) di Charlie Chaplin! Che piacque tanto, da lontano Accettare una Giulio Carlo Argan la mia Proposta per la Sequenza di immagini di “  Arte e Industria”  (1973)! Una Zeppa Nella mia Analisi  distaccata(troppo distaccata, rileggendola oggi) degli sviluppi dei processi lavorativi, massimizzati per la fabbrica di automobili Ford di Island Park dall’ex operaio ingegnere F.Winslow Taylor e dal production engineer FB Gilbreth, per la linea di montaggio automatizzata, determinando il limite fisico di massimizzazione automatica dei movimenti dell’operaio, come Chaplin ci ha rivelato, con un sorriso amaro! L’operaio che sarà poi incapace di comprendere e distinguere il prodotto artistico, “La formazione della freccia nera” di Paul Klee (1925), dalla stessa analisi di FB Gilbreth “Modello in filo di ferro di movimento perfetto”, tratto da foto del movimento (1912) .In gioco una semplice questione: il modo d’uso della conoscenza e l’intenzionalità (Siegfried Giedion, “L ‘

La società italiana di archeologia industriale

Proprio a metà degli anni settanta raggiunsi Eugenio Battisti nel progetto di fondazione della Società Italiana di Archeologia Industriale: ma gli ex operai, da me intervistati – e con conferma da parte dell’artista Thomas Ochoa che realizzò una performance in una ex-miniera d ‘ oro – ne colsero un nascosto lato di materializzazione, contro la loro questione ideale e interiore, irriducibile materialmente. Gli ex-operai rifiutavano di entrare in gioco in questo processo di memoria / conservazione.

Sono occorse le Recenti riletture delle opere di Hannah Arendt, ad opera ad esempio di Alessandro Dal Lago (  Introduzione  a Le dilegua Dal Lago, QUANDO CI Spiega Che il richiamo alla polis in Hanna Arendt e non modello, ma “Punto di Vista”., POSSIAMO disastrosa Oggi. Ci servono per Rappresentare l’espropriazione moderna della politica, ndr Anche per dirci Che raccontoespropriazione non fatale E!  Vita Activa-La Condizione Umana  Vita Activa ), per Capire con quanti lucidità la Arendt prevedesse il precipizio sul cui orlo esitiamo. Quando lo lessi nell’edizione italiana del 1964, che il titolo originale “ The Human Condition”(University of Chicago, 1959) lo conserva solo nel sottotitolo (), si era nel pieno delle polemiche e delle incomprensioni: come continuare a collegarsi alla esperienza storica della polis in Grecia, là dove esistevano classi e schiavi! Agire: sfuggire alla cattura paralizzante della ripetizione. Sfuggire alle forme inferiori di attività, come il lavoro. Agire: ludicamente, come attività eccedente rispetto agli scopi. Agire: che interviene in una rete di relazioni umane, in uno spazio comune a diversi attori, con imprevedibilità. Agire: azioni e reazioni, fare della rete gioco interumano, con regole e limiti precisi. Agire con Rispetto, considerare il rispetto una categoria politica prima che morale (Goffman / Basaglia).Debbo dire che da qui inizia il percorso di storico e di critico di chi vi sta parlando, osservando  i modi d’uso  dell’uomo da parte dell’uomo, osservando  i modi d’uso  della rivoluzione tecnico-industriale determinata dalla meccanizzazione e dalla divisione del lavoro, esplorando il dominio dell’economia e del consumo avvenuta con la presa del potere da parte del capitalismo prima industriale, poi finanziario, ora robotico-digitale.

La meccanizzazione della morte (Mattatoio dfi Roma, G. Ersoch, 1868. foto S.Lux Stoccaggio di merci


Perché passare attraverso l’arte?

Perché passare attraverso l’arte, e la storia dell’arte, per esplorare antropologicamente e –ho sempre detto- politicamente la condizione umana nell’età contemporanea? Perché credevo – e ad un certo momento ho pensato a una mia illusione / disillusione- che all’arte anzi all’artista e all’asse riconosciuta la esplorazione e ipotizzazione attraverso la creazione di una condizione umana nell’esercizio della libertà originaria. Portano a superare la disillusione, rispetto al ruolo dell’arte e dell’artista, letture recenti e riletture delle analisi dei processi di sottomissione e controllo dell’uomo – almeno da quando inizia il processo di accelerazione della creazione tecnologico-digitale.  Gli usi umani degli esseri umani. Cibernetica e società “, Eyre and Spottiswoode, London, 1950), per passare attraverso Marc Augé (” Nonluoghi. Introduzione auna antropologia della surmodernità , o Storie del presente , o Rovine e macerie , o. Per un ‘antropologia dei mondi contemporanei” , o conferenza del 4 luglio 2002 “ Narration, voyage, altérité” , e molti altri), David Bates (“ L’intelligence artificielle est-elle un organe exosomatique?“ , 2016 agli ” Entrétiens du Nouveau Monde Industriel”,  Parigi Centre Pompidou), Bernard Stiegler ( ”  La società automatica. 1. L ‘avvenire del lavoro”  , 2015 I °, Librairie Arthème Fayard / Meltemi 2019; “  Differire l’ingovernabile in direzione del negantropocene ”,  2019 in“  L’ingovernabile Due lezioni sulla politica ”  , Il Melangolo, Genova, atti della prima conferenza KUM!, Ancona Mole Vanvitelliana).

Ed è proprio Marc Augé a diradare l’ombra incombente del senso di impotenza (in una intervista di qualche tempo fa di Marco Garofalo, 2012,  https://maurogarofalo.nova100.ilsole24ore.com/tag/iperluoghi/  , nell’ambito del suo blog sul Sole24ore-Nòva, “Generazione X 2.0”,  nonluoghi e “surmodernità” – incontro con Marc Aug  é  ;  ma ancor più e meglio, nel suo  “Cuori allo schermo. Vincere la solitudine dell’uomo digitale”,  Piemme, 2018 , I ° 2004, l’Harmattan, “  Dialogue avec Marc Augé. Autour d’une Anthropologie de la mondialisation”  , intervistato da Raphaël Bessis). Nell’intervista – più recente- riconosce la torsione che ha subito il suo fortunato lemma  nonluoghi, riconoscendone la ambiguità d’origine (come d’altronde di questi tempi può avvenire ad ogni parola) e sancisce anche la proprietà disfunzionale – a una antropologia critica del contemporaneo- del termine  superluogo  in cui egli vede un intento di “umanizzazione” e quindi di sottomissione – di nuova- alla logica alienante dei  nonluoghi  . In  Cuori allo schermo  dedicato fondamentalmente all’idea di vivere in una  società dell’immagine  e di subire una specie di continua  messa in finzione del mondo, Augé, incalzato dall’intervistatore sulla possibilità di una qualche resistenza all’entourage o all’ambiente “tuttofittizio”, con comportamenti “non di semplice fuga o di pura assimilazione” (p.96), certamente egli la attribuisce alla più nobile delle reazioni, alla creazione. Ma si chiede, lo fanno tutti? E l’arte non è facilmente comprensibile, in quanto gli artisti contemporanei lavorano soprattutto su una riflessione sul dispositivo di produzione dell’arte, come “valutazione delle condizioni dello sguardo o dell’ascolto”: e- dice-lo fanno “contro l ‘ evidenza e, in questo caso, l’evidenza dei media “. avrà sviluppi che per ora sono imprevedibili. […]

Augé: a livello collettivo, siamo di fronte a un tentativo di prendere coscienza della evoluzione del mondo

Se i no global sono interessanti perché cercano di proporre, se non risposte alternative, almeno domande alternative, […] e inoltre, “A livello collettivo, siamo di fronte a un tentativo di prendere coscienza dell’evoluzione del mondo” (p.97 ).

A questa consapevolezza nuova, egli dedica più passi: mai come ora, egli ci dice sostanzialmente, gli esseri umani sono consapevoli di appartenere allo stesso pianeta “(p.100),” i ricchi hanno paura “per questo,” per la prima volta l’umanità è coinvolta nella stessa storia ”(ibidem). In che cosa mi illude nuovamente Augé? Nel confermarmi nella mia fiducia nell’arte, il vero filo rosso di una resistenza umana alla sottomissione. In che cosa mi invita a non disperare? Il suo progetto, bello a parole, di rovesciare “l’inurbanità della città automatica”, Nel fatto che la vera azione in cui dobbiamo ricorrere è il non consentire il processo di continua differenziazione di istruiti e non istruiti: la scuola, l’educazione come processo totale,Bernard Stiegler * ancora non mi convince. di pensare una città come “luogo dove si pensi il concatenamento tra gli automi ei processi di de-automatizzazione a ogni livello” (“nell’insegnamento, nei servizi pubblici e nelle amministrazioni, nelle imprese così come nelle scuole d’arte, negli stadi di calcio ecc. “pp.68-69) -2016. Colpisce la mancanza di priorità e valori di riferimento, la non gradualità dell’azione, la non deliberazione prioritaria della scolarizzazione e l’educazione universale e continua.Colpisce la descrizione del potente processo disruptivo in atto e la sconsideratezza di pensarlo [in quanto tale] opponibile.Vorrei tanto che il progetto della cooperativa di saperi basato su una rete di formazione e trasmissione del sapere, cioè il Comune di Plaine del territorio della Senna -Saint-Denis, riuscisse, ma come credere di poter affidare a un sistema tecnico il passaggio da individuazione psichica a individuazione collettiva? Ora che il grande progetto di Franco Basaglia di chiudere l’Istituto manicomiale per dare centralità alla “persona” è solo condiviso da una minoranza delle prassi psichiatriche attuali alla centralità di nuovo “farmacologica” con ricorso, di nuovo, a misure contenitive, scandalosamente riabilitare !

 

Giacomo Matté Trucco, Pista di collaudo per autovetture, realizzata sul tetto delle officine FIAT di Torino- Buckminster Fuller, Auto Dymaxion, 1933

* Ho conosciuto Bernard Stiegler proprio al Macro Asilo, nei giorni della mia conferenza del 23 novembre 2019: ora lo piango. Ci ha lasciato il 5 agosto 2020 a 68 anni. Oltre che il suo Institut de Recherche et d’Innovation, da lui fondato al Centre Pompidou, ricordiamo alcuni suoi titoli:  Prendersi cura. Della gioventù e delle generazioni  (Feltrinelli), Amare, amarsi, amarci (Mimesis, a cura di Alessandro Porrovecchio), Reincantare il mondo. Il valore spirito contro il populismo industriale (Orthotes, a cura di Paolo Vignola) e il numero di “Aut Aut”, vol. 371, Bernard Stiegler. Per una farmacologia della tecnica.

Domanda 2.    Nessuno mi ha chiesto: “Perché tu che sei notoriamente anti-fascista e partigiana, ti sei occupata di artisti del fascismo, come Mario Sironi e altri? Proprio nel momento della fondazione del Museo Laboratorio di Arte Contemporanea, nell’università cioè là dove stavi entrando come formatrice di giovani?

Il 1985 è l’anno in cui di questo si parla: l’Università era corpo separato dalla città, il Museo Laboratorio la ricollega, la mostra del cinquantenario è il giusto sasso gettato nello stagno della smemoratezza storica e critica

 Nel 1985, Quando quel Luogo, nel palazzo del Rettorato, VIENE concesso e istituito venire Museo Laboratorio di Arte Contemporanea, Sono Passati 7 anni da quel maggio del 1978, Quando sui Quaderni del Neoclassico, protetti e Curati da Elisa Debenedetti, era Uscito il saggio  Esempi storica e giudizio estetico nella Geschichte der Kunst Alterstums  di Johan Joachim Winckelmann, e 6 anni dal Primo Convegno di Comunicazioni di Lavoro di Artisti Contemporanei e 1 appena dal primo corso (come professore associato) “Testimoni e autori dell’idea italiana della Pittura” .Si erano messi a confronto, in quest’ultimo, tutti gli attori della complessa scena culturale: Laurea, il critico, il collezionista, lo storico, il mercante, il gallerista, il direttore di museo, il docente,gli studenti ed il più vasto pubblico.

Simonetta Lux e Giulio Carlo Argan alla Mostra del  ° Secondo Convegno “Comunicazioni di Lavoro di Artisti Contemporanei”
Dipartimento di Storia dell’Arte, Sapienza di Roma, 1982

La concessione di quel luogo e la creazione del MLAC consentirà ormai la messa in opera di quella era un’ipotesi metodologica e critica: intraprendere un nuovo racconto storico-critico dell’identità della cultura occidentale, in relazione poi – come si vedrà- con l ‘arte processi ed eventi artistici nelle aree cosiddette del Terzo mondo o degli “Occidenti estremi” (Caribe, Centro e Sud America, Africa e gli orienti e Sud del mondo). L’interrogativo era come si ripresenta l’antico processo del farsi dell’arte tra estetica, teoria e impegno politico nelle pratiche e procedure rinnovate dell’arte?

 

Gli studenti a Venezia con Simonetta Lux visitano lo studio e interrogano l’artista Emilio Vedova primavera 1983.
Avevano conosciuto l’artista  al Primo Convegno di Comunicazioni di Comunicazioni di Lavoro di artisti Conrtemporanei, Roma, Sapienza 1979

Mentre il   corpo  del luogo di studio – la Città Universitaria di Roma creata sotto il fascismo da un dittatore (Benito Mussolini) invitandovi ad operare due dei più grandi artisti del novecento il pittore Mario Sironi e lo scultore Arturo Martini (come? Perché?) E alcuni grandi architetti del razionalismo italiano– è un corpo separato dalla città della vita contemporanea, il corpo studentesco di cui ero stata parte ed ora – non più essendo professore-, esso come il mio –corpo e mente- negli anni sessanta dei miei studi viveva nel tunnel del presente, entro il dibattitto innescato da Guy Debord con il libro ed il film  La società dello spettacolo  e con il lancio del situazionismo, dibattito espanso da Jean-François Lyotard nella  Condizione postmoderna  .

 

Giulio Carlo Argan in prima piano, e, sullo sfondo a destra, Simonetta Lux, a sinistra Gigi Spezzaferro, agli Incontri Internazionali d’Arte,
per la Analisi di Psicovita di Luca Patella, 1972, Foto di Luca Patella.  
Marco Gastini interviene al corso “Testimoni e autori”, realizzando una grande pittura su tela, Aula 1, Sapienza di Roma, A.A.1982-83.

I nostri maestri resistenti

la futura poetessa Amelia Rosselli, che poi sarebbe morta suicida, per quel maschio interiore innescato da quell’orribile regime) e il grande maschio delle leggi razziali del 1938 –ferita imperdonabile ed irredimibile nella nostra coscienza del contemporaneo. Né – lo sapevo- questi studenti avevano i miei stessi maestri, né il ’68, ma osservavo come invece avevano (se guidati nella ricostruzione storica) rapporti dialogici e vere e proprie relazioni con la generazione di artisti che nel secondo dopoguerra hanno contribuito al processo di ricostruzione dell’Italia, divenuta repubblica membri il 3 giugno 1946 e Repubblica democratica solo appunto dal 1 gennaio del 1948 quando entra in vigore la Costituzione della Repubblica Italiana redatta dai eletti nel 1946. studi i sessanta,negli anni settanta l’Ateneo era attraversato da bande di neofascisti che sbattevano le loro catene alle cancellate delle Facoltà: nella grave crisi vissuta dalla nuova generazione di professori come me, appariva necessario allargare il riflesso dei cerchi dell’acqua del tempo. Necessità insomma di dare  contesto più largo  di quello del tunnel del presente e quindi affermare anche una idea più allargata di “contesto”, considerando che si viveva tra le mura e le immagini – i segni- di un passato vissuto ma mai veramente un fondo ripensato .

 

Gli studenti collaborano all’allestimento del corso di Simonetta Lux alla Sapienza di Roma “Testimoni e autori”, Roma, 1982-83

1985 I cinquanta anni dalla creazione della Città Universitaria

Ecco che – a partire da qui – rispondo all’occasione del cinquantenario della Fondazione della Città Universitaria (1935-1985) che Antonio Ruberti, nuovo Rettore di allora e teorico dei “sistemi” volle celebrare, dando inizio a quel processo di ripensamento mancato. Questa idea di contesto non passò liscia (accuse striscianti, silenzi, rottura di rapporti), ma era – e resta la strada giusta- per ogni pedagogia che voglia trasformare la forza originaria ed incorrotta dei giovani in azione di cambiamento: i giovani devono sapere.

C’è un dato da sottolineare, in questa decisione di studiare l’arte degli anni della odiata epoca fascista e liberticida: la fondazione della storia dell’arte contemporanea –sapevo- la dovevamo allo storico dell’arte Lionello Venturi, che era stato tra i dodici / tredici professori universitari che all’atto di prendere la cattedra avevano rifiutato di giurare fedeltà al Partito Fascista: dichiarando l’incompatibilità tra la libertà creativa dell’uomo riconosciuto alla pratica dell’arte e la soggezione a un qualsiasi altro che si ponesse al di sopra di quella libertà. Egli aveva inoltre aggiunto la possibilità- se non la necessità- di fare storia dell’arte nel suo stesso, nel suo divenire: cosa rifuggente nel mondo accademico.

Una “scuola di storia dell’arte” e gl  artisti vivi all’Università

Quell’impegno che si realizzò in una inedita –per quei tempi- collaborazione creativa e progettuale con la prima schiera della mia “scuola di storia dell’arte” (molti dei quali orami divenuti a loro volta docenti, direttori di museo etc.: Sono tra coloro che ho convocato qui ad Interrogarmi (e li ritroviamo tutti nel libro  1935-Gli artisti nell’Università e la questione della pittura murale  -De Luca, 1985 e nella mi Introduzione al recente- 2006- Gangemi-  Museo Laboratorio di Arte Contemporanea- INDICE MLAC-2000-2012)  .

Mario Sironi, Primo studio a gouache per la parte centrale della pittura murale “L’Italia Tra le Arti e le Scienze”  dell’Aula Magna della Sapienza, 1934 c.

La cosa eclatante di quella ricerca fu non solo la descrizione della lunga trattativa tra artisti e architetti ed il potere, con l’astuzia del loro  sapere  , per rispondere ai ricorrenti tentativi di censura e sottomissione della libera espressione alle semper presenti istanze della  propaganda  , ma anche la capacità di mantenere i valori dell’antico e della tradizione. Se Sironi rifiuta l’esaltazione retorica delle figure, lo fa attraverso una straordinaria ri-attualizzazione della struttura dell’affresco di Raffaello della Stanza della Segnatura, ma drappeggiando lo figure con abbigliamenti fuori dal tempo.

La mostra di Alberto Burri al MLAC e al Museo Macro di Roma

1 Pino Pascali si fa fotografare, 1966,  sotto il grande quadro di Alberto Burri alla Galleria Nazionale d’arte Moderna.foto Claudio Abate.
2 particolare dello Sposalizio della Vergine di Raffaello Sanzio. 3 Dettaglio di un “Sacco e Rosso” 1954, di Alberto Burri. 

La cosa più interessante –  da dire  in questi tempi di drastica riduzione degli insegnamenti della storia e della storia dell’arte – è che, a quella scoperta di rispetto e padronanza intelligente della memoria culturale degli artisti, seguì, al Museo Laboratorio della Sapienza, la mostra di Alberto Burri, la cui opera poteva sembrare il più drammatico esautoramento della tradizione e dell’antico- (sacchi consunti, stracci, plastiche, combustioni, scortecciamenti di cartoni pressati) dimostrandosi già fin da allora il contrario. Anche di Burri, prima di allora, si era sottolineata soprattutto la sua proclamata intuizione antimperialistica statunitense (con l’uso in uno dei suoi primi “Sacchi” dipinti, di un sacco americano che aveva contenuto gli aiuti per la ricostruzione postbellica):Alberto Burri-Dalla Pittura alla Pittura  , 1983/1985). “La storia è critica, e il potere non l’ama”: era il principale insegnamento di Giulio Carlo Argan, allievo di Venturi cui era succeduto alla cattedra della Sapienza. Nella azione formativa-creativa del Museo Laboratorio si intrecciano per questa azione storica e azione critica, e questo fa della metodologia storico-critica la sua peculiare caratteristica “politica”: apprendendola peraltro dall’opera degli artisti stessi. Cui è riservato ancor oggi il ruolo di creazione delle prospettive alternative alla sottomissione digitale e alla democrazia tecno-oligarchiche.

Se “l’arte impara dall’arte”, Laurea sarà libero solo se non copia, ma “imita” (come diceva Winckelmann) e “immagina” le “condizioni” che ne veste la Bellezza, cioè la “libertà critica”.

 

Domanda 3.

 Perché, non mi è stato chiesto: “Quando hai coniato il lemma” processo di musealizzazione “” scrivendo “museo perché museo come”, perché non hai sottolineato più ampiamente il senso di responsabilità di Duccio di Buoninsegna e la sua sfida al potere- lui che firma per la prima volta un’opera d’arte (SIS DUCIO VITA TE QUIA PINXIT ITA)? Perché non hai dato il giusto rilievo al fatto di aver osservato la violenza del processo di musealizzazione, compiuto proprio sull’opera di Duccio, alla fine del Settecento –

Il processo di musealizzazione, la sua violenza

Il conio del lemma “processo di musealizzazione” i promotori non vollero mai farlo apparire nei testi introduttivi del catalogo “Museo Perché Museo Come” della mostra tenuta a Roma dal 23 settembre al 31 ottobre 1978 (De Luca ed.), Dopo almeno 4 anni di lavoro e di studi. Eravamo 4 coordinatori delle ricerche, io contemporaneista, con Anna Berzi Bosi modernista, Franco Minissi architetto che aveva realizzato il primo allestimento della Maestà di Duccio nel museo dell’opera di Siena, Paolo Moreno grande archeologo storico dell’arte antica.Centro della allora mia drammatica relazione con la questione del museo, della necessità di ripensarne ruoli e metodo, soprattutto portatrice in quel consesso accademico promotore dell’esposizione dell’idea dell’arte come processo critico e di conoscenza della condizione dell’uomo contemporaneo.

 

1 Duccio di Buoninsegna, Maestò, 1308_1311, Museo dell’Opera del Duomo/ già nella navata centrale).
2 Duomo di Siena.. Duccio sembra imitare la facciata stessa del Duomo, proiezione dell’esterno nell’interno.

Ma il consesso voleva tenere basso il tono, ed a me fu affidato il compito di creare una prima scheda-modello per la realizzazione di tutte le altre e le relative tematiche. Che studio mi fu affidato? Fortuna volle che fosse quello della meravigliosa pala d’altare realizzata da Duccio Di Buoninsegna tra il 1308 e il 1311, grazie a Franco Minissi, che conosceva il mio impegno critico-politico. Grazie alle “Lettere Senesi” del minore Conventuale Padre Guglielmo Della Valle (1746-1796), pubblicato a Venezia, in folio, nel 1782, rimase inscritto nella memoria storica dell’arte lo smembramento subito dall’opera. La documentazione precisa si ha nell’inventario n.523 del 1776 (pubblicato nel 1912), che racconta come il 18 luglio 1771 “detto Tavolone” trasportato nella chiesa di S.Ansano fosse resegato in più parti per diversi quadri l’uno destinato alla chiesa stessa altare principale, un altro all’altare del SS Sacramento. Un vero e proprio scempio che doveva mirare a rendere pienamente disponibili su un mercato già fiorente le diverse parti.

1 Siena, Copertina dipinta della Biccherna del 1482. Vi si intravede lo spostamento avvenuto della Maestà  dalla navata centrale alla navata laterale.
2. Duomo di Siena, Navata centrale.

Di massimo interesse il fatto che la delocazione e smantellamento dell’opera, era iniziata sotto il governo del Mercante Landolfo Petrucci, noto per i suoi intrecci tra affari e politica, ed iniziatore della caduta della Repubblica di Siena, uno spostamento / smantellamento significa smantellamento e distruzione di quel senso di grande rappresentanza rituale e sociale che l’opera rivestiva; la perdita poi totale della funzione rituale, culturale e sociale si ha proprio in quell’ultimo trentennio del 1700, e non meraviglia che proprio Padre Della Valle, che giunse a Siena da Roma,

La Maestà di Duccio è la prima opera firmata della storia dell’arte. La firma Intorno alla piattaforma esagonale della Madonna col bambino, seduta in trono marmoreo in pseudo prospettiva: “MATER S (AN) CTA DEI / SIS CAUSA SENIS REQUIEI / SIS DUCIO VITA / TE QUIA PINXIT ITA”. Santa madre di Dio, tu porta la pace a Siena e tu sia vita per Duccio poiché egli ti ha dipinto così  . La firma di Duccio è testo di una poetica, che unisce un senso di familiarità sia con il soggetto (dichiarazione ai piedi della Madonna) sia con il popolo che con una processione accompagnò la grande pala dalla bottega al Duomo di Siena partecipando così alla sua realizzazione e al suo scopo, con un senso prerinascimentale e preumanistico della sua opera di pittore, scrivendovi “poiché ti dipinsi così”.L’ancoramento alla cultura del suo tempo è unito alla consapevolezza del suo valore, tanto che poté dettare alla commissione pubblica nello stesso contratto la libertà tematica e semantica.

La vicenda della Maestà –prima opera pubblica e partecipata- appare collocarsi proprio in quel transito epocale che da una parte vede la nascita del Museo pubblico 1734 da papa Clemente XII, dopo che – senza apertura al pubblico- erano avvenute diverse donazioni al popolo romano da parte dei papi), ma nello stesso la perdita da parte dell’arte – e da parte del museo pubblico- dell’originaria funzione sociale – politica-culturale. Credo che da questa ambigua origine si debba ripartire per districarsi il rapporto tra pubblico e privato, tra arte e museo, tra collezionismo e libertà dell’arte, tra arte e potere politico.

Studenti al corso Lux di Testimoni e autori della idea italiana della pittura, 1982-83. Sulla scalinata e in Aula.

ma anche stranamente in altri Musei di sistema come il MAXXI (è il caso di Zero Calcare) – partendo tuttavia dalla mia scelta –nel 1979 e 1981- delle Comunicazioni di Lavoro di Artisti Contemporanei, allorché portai nell’Accademia Universitaria “artisti vivi”, a narrare nel suo farsi la storia ei progetti delle loro creazioni artistiche. Il Manifesto di Eliseo Mattiacci (condivisione e partecipazione), le parole di grandi maestri come Emilio Vedova, Carla Accardi, Giulio Turcato, Achille Perilli, Sergio Lombardo, Luca Patella, Alighiero Boetti e Mario Schifano, di artisti dell’Arte Povera, ma anche di giovanissimi, come il gruppo nascente dell’Astrazione Povera (Antonio Capaccio, Giuseppe Salvatori, Felice Levini, Mariano Rossano): non solo esibizione, non solo studi aperti (quali lo furono poi dagli artisti,liminalità  ), ma processo continuo condiviso dalla costruzione della storia in divenire valorizzato dal carattere formativo dello scambio, della relazione e della partecipazione. 

Studenti, artisti e maestri al II Convegno di Comunicazioni di Lavoro di Artisti Contemporanei-1982- alla Sapienza di Roma,

Ma volendo stare alla condizione attuale di smarrimento e ai modelli sublimi di contrasto ad esso, penso vadano segnalati l’opera e il modo di atteggiarsi criticamente e attivamente in questo mondo in cui non sembra sussistano più le condizioni di vita [dell’arte, cioè della libertà], di Zero Calcare (Michele Rek), di Mohamed Keita, della sublime Dragena Parlac, di Silvia Pujia e Teresa Zingarello, di Cesare Pietroiusti che ha coniato il lemma “museo in esilio” e che dall’origine lo ha presentato al Museo Laboratorio di Arte Contemporanea della Sapienza “parassitando” – senza riuscirci per la  apertura connaturata della istituzione stessa MLAC- proprio un’istituzione unica nel panorama italiano, nella quale si dava a  quell’esercizio quotidiano di libertà  di cui Alessandra Meo ratifica il carattere di  testimonianza  (  Museo dell’arte italiana contemporanea-in esilio  , progetto di Cesare Pietroiusti con Alessandra Meo, Davide Ricco e Mattia Pellegrini, Roma 2011) .Le fonti sono diverse ma coerenti (Vera Linhartova-1993, “Per una ontologia dell’esilio”; Franco Rella, “Dall’Esilio. La creazione artistica come testimonianza”, 2004 , Feltrinelli; Nicolas Bourriaud, “Estetica Relazionale”) e ne animano l’istinto anti-istituzionale, anti-retorico, anti-storico: sognare, sfuggire, agire.

Zero Calcare (Michele Rech)

Zero Calcare, Groviglio. Zero Calcare ironizza sulla difficoltà di stare a tempo con i suoi interventi politici.

Zero Calcare (Michele Rech), descrittosi come un San Tommaso, piegato ore ed ore su se stesso a disegnare stripes, nella sua casa / mondo dell’amato quartiere metrò-Rebibbia, straborda continuamente in un altrove che ci testimonia nel farsi del suo racconto quotidiano, degli eventi straordinari ed emozionanti, che avvengono velocemente e altrettanto velocemente svaniscono dal suo orizzonte narrativo / testimoniale. Ma adatta la struttura narrativa, inserisce in essa l’inseguimento del tempo: leggiamo, ad esempio, in “Groviglio-Un parziale parziale e impreciso di raccontare cosa succedeva tra agosto e settembre nel nord della Siria” Disclaimer: le dodici pagine che possono essere utili a una chiacchierata avvenuta a settembre 2016, che in quel momento mi pareva illuminante circa ciò che stava accadendo nel nord della Siria. Lì per lì ho proprio pensato: ora ci faccio un fumetto! Sarà un utile contributo! Solo che io sono lento ea disegnare dieci pagine ci metto un botto. Oh no Intanto è cambiato tutto! Sta roba è già vecchia! Cazzo faccio Lo ridisegno / E così, tipo ogni giorno… / Hai scritto che gli USA hanno attaccato Mosul? / E che Erdogan ha arrestato i deputati curdi? / No! Spettate / Ditegli di stà fermo un attimo / Poi mettici che Repubblica è un colosso editoria e quindi è agile e scattante come una scogliera… / Ecco le tavole sono pronte / Grazie le inseriamo nel piano quinquennale / E hai detto che ha vinto / Quindi sì, manca Aleppo, Trump, la repressione turca, Mosul ::: E ‘lo scarto fisiologico tra la velocità della realtà e la lentezza della sua restituzione * / * traduzione: Lo so che è vecchio sto a rosicà purio porcodove / – GROVIGLIO- Qualche mese fa nell’ospedale di Carpi ho incontrato quattro combattenti curdi feriti nella difesa di Kobane dall’ISIS ./ (lo so che è strano ma uno si chiede “machecazzo ci sò finiti questi a Carpi? “, vabbé ci sta un programma di trasporto e cura di malati e feriti dalla Siria) / Ammetto che ero mezzo agitato./ Che cazzo gli dico mò a questi? / n che language poi / Mi devo preparare un discorso solenne / tipo: a nome del popolo della Tiburtina ::: / Prima ho incontrato le due ragazze, al piano di sotto / Ammazza. Ma una è pischella proprio. / Oh ma quanti anni ci hanno queste? Quella è più piccola di me! / Una 37 anni… Altra 19 / Il mio amico armadillo immaginario mi segnala la prima figura di merda. / Hai 37 anni! (parla l’armadillo: “e così via tra ironia, consapevolezza, misura di sé, mitezza dell’azione! Ecco Zero Calcare, in azione dal suo altrove!

Zero Calcare, la cover dell’Espresso, per l’assassinio della combattente kurda Hevrin Khalaf il 12 ottobre 2018

Dragena Parlac

Realtà assoluta, dal reale ma nel reale, sfasata nel momento dell’azione è Dragena Parlac: le sue azioni si svolgono negli intervalli di una esecuzione di un concerto da camera, o di una conferenza. Arriva vestita da cameriera, e inizia a spolverare, scopare, spiumettare, senza interrompersi fino alla ripresa e riprendendo nel successivo intervallo.

Dragena Parlac,  AVULSA_1998

Mohamed Keita

La più emozionante è l’azione creativa e progettuale di Mohamed Keita, giovane africano emigrato bambino in Italia, accolto da Civico Zero, formato come eccellente fotografo, ed a un certo punto, deciso di tornare in viaggio in Mali, nella sua Africa, e lì inventato, per i suoi amici al lavoro temporaneo per strada e quasi come schiavi, una “scuola di fotografia”, per dare loro la consapevolezza di se stessi, del loro qui / ora, del loro esistere, strumento di resistenza. Vediamo la doppia sequenza e come un immaginario da vero esiliato, venga il messaggio più prospettico e reale: quello della necessità di formazione, scuola, laboratorio, per la costruzione di identità nuove e attive.

 

1 Mohamed Keita documenta a Roma la condizione del rifugiato  2-3  Torna in Africa ( a Kene, nel Mali), a creare una laboratorio di fotografia per i suoi coetanei non immigrati.

Silvia Pujia / Maria Teresa Zingarello

Il duo Pujia / Zingarello, che ha vinto il bando per una residenza in Québec, fanno con il loro progetto “GREVE en valise” irruzione nel tessuto relazionale urbano tramite la dislocazione, in diversi punti della città, di una struttura cubica senza pareti. Il cubo nomade (così viene chiamato) agiva come dispositivo relazionale, struttura per provocare incontri collettivi. Pensato per rendere possibile abitarlo, materializzando una comunità temporanea: per “fare vivere”.

 

Silvia Pujia e Maria Teresa Zingarello, Le Musée en Valise, 2012, residenza presso La Chambre Blanche, Québec (Canada), 2012.
Ricreato al MLAC nel 2013, nel workshop EXILE per Cesare Pietroiusti.Silvia Pujia e Maria Teresa Zingarello, le Musée en Valise, Québec, 2012

Silvia Pujia ha poi pubblicato un libretto, con mia prefazione e postfazione di Giorgio De Finis ”  Dal cubo bianco al cubo nomade-Pratiche di decostruzione dell’istituzione museale “. E ‘la conclusione del suo dottorato, ed è anche la sintesi, la simbiosi perfetta di “diagnostica” (Sapienza della storia) e l’azione artistica, vengono Realizzata Insieme a Zingarello in Québec. Superamento della Percezione fluida e spettacolarizzata dell’arte, da dentro e da fuori: da Dentro l’Istituzione Accademica / Anti-Accademica del MLAC-Museo Laboratorio di Arte Contemporanea, da fuori, con l’Internazionale in Québec alla Chambre Blanche. un master (per Curatore di Arte Contemporanea-2010-2013) che orientava su scenari contemporanei anti- e non- istituzionali dell’arte (erano sempre di casa al MLAC proprio Cesare Pietroiusti o l’esperienza del nomadismo urbano degli Stalker).

Mi pare di vivere, ma nella realtà- nella verità di una condizione – quella attuale di molti giovani, quella condizione che ha ispirato Franco Rella e con lui Cesare Pietroiusti, e per altre vie altri artisti non noti e altrettanto attivi. Come dice il risvolto di copertina, “proiettati al di là di tutto, in una terra di esilio in cui pare sgretolarsi ogni parola” e dove rinasce la possibilità di comunicare agli altri il senso di una esperienza che si avverte come (ed è) estrema “. Terre di esilio esplorate da Rella attraverso l’opera di autori poeti, scrittori della modernità nostra modernità, anticipo del sé diviso dell’uomo di oggi.

Ma quante cose potremmo aggiungere! Come Christian Raimo da poco più di un anno assessore alla Cultura nel III municipio di Roma con il progetto “Grande come una città!” di pedagogia pubblica: «Così la città si trasforma in una grande comunità che discute e si confronta sui temi del presente incontrando pensatori radicali e autorevoli».

Con diversa prospettiva, ma analoga finalità, la Comunità di Sant’Egidio, con i suoi laboratori sperimentali d’arte aperti sull’infinita solitudine dell’emarginazione e della condizione di disabilità, in molti dei Municipi romani abbandonati! Ma questa è un’altra storia, di cui alla prossima domanda mai ricevuta.

Domanda 4

 Perché non mi si è chiesto: “Com’è che sei andata, negli ultimi dieci anni, a lavorare per / con la Comunità di Sant’Egidio, tu che avevi descritto come –nella Roma di Nathanlaica, repubblicana democratica, e dell ‘anti -clericalismo come valore condiviso, era nata l’esperienza della scolarizzazione degli ultimi, nelle Paludi Pontine? Ad opera degli artisti associati in Arte Libertas e nei Cinque della Campagna Romana?

Quando sono stata invitata ai Laboratori d’arte della Comunità di Sant’Egidio, dai creatori o ideatori dell’azione della comunità stessa (Antonella Antezza, Cristina Cannelli, Alessandro Zuccari mio collega all’Università e osservatori del mio Museo Laboratorio di Arte Contemporanea) per dire “arte o non-arte”, e quando nella creazione del primo libro fatto insieme (2007) hanno accettato la mia proposta di titolo “Con l’arte da disabile a persona”, oggi mi rendo conto che –esplorazione dopo esplorazione del loro progetto di azione verso gli ultimi e gli emarginati- mi stavano trascinando in una sintesi puntuale del mio stesso pensiero sull’arte e sul ruolo della libera espressione o creazione individuale. Come se attraverso di loro, la loro vera opera d’arte che era relazionale,

epoca quest’ultima che- definita da Cristopher Bollas “età dello smarrimento” – epoca apparentemente non redimibile per il degrado dei punti di riferimento e di valore raggiunti almeno del secolo precedente (ma abbiamo visto come già all’inizio dell’epoca della tecnica e della rivoluzione industriale si poteva auspicare in nome della bellezza la instaurazione di condizioni di vita democratica e rispettosa dell’originaria libertà umana). Quali erano stati e dove erano andati a finire quei puntelli strutturali di riferimento e di valori? Non c’è dubbio che i miei amici della Comunità dovevano essere consapevoli della mia proclamata laicità,

 

 1 Giacomo Balla La pazza, 1904. 2-3 Duilio Cambellotti, Illustrazioni per libri per bambini per la Scuola
Volante portata nelle Paludi Pontine

 

In effetti in quel saggio che il mio ipotetico interlocutore avrebbe citato (  “Uso dell’arte tra seduzione e retorica nell’avventura della alfabetizzazione dell’Agro romano agli inizi del ‘900“, Nel volume” A come alfabeto Z come zanzara “, Palombi ed, 1998, per la mostra su progetto di Giovanna Alatri, sull’analfabetismo e la malaria nella Campagna Romana, in una straordinaria collaborazione tra istituzioni Come Il Comune di Roma, il Ministero dell’Università, L’Università di Roma Tre e il Museo della didattica) metteva in evidenza come intorno al 1911 (era sindaco di Roma Ernesto Nathan, primo sindaco laico della capitale dal 1907 al 1913) si materializzò e valorizzò un ruolo dell ‘ arte che veniva convocata al progetto di alfabetizzazione della popolazione delle aree paludose e infestate dalla malaria, che un alto funzionario della Pubblica Istruzione Alessandro Marcucci ed il parlamentare del partito radicale italiano fondato nel 1904, lo scienziato Angelo Celli (scopritore della causa della malaria e della sua cura,con il chinino) proponevano per dare alla popolazione sapienza e quindi consapevolezza, per uscire dal senso di impotenza e fatalità della malattia.

A questo punto iniziarono le battaglie socio-politiche e con lo stesso Marcucci, il torinese   Giovanni Cena  ,   Giacomo Balla  , la scrittrice   Sibilla Aleramo   e altri intellettuali romani, votati alla riqualificazione  dell’agro Romano   e delle   paludi Pontine  , fondano nel   1905   le prime scuole per i contadini proprio ai margini delle millenarie   paludi laziali  . Lo stesso gruppo denunciò lo stato di abbandono delle campagne e organizzò, in occasione dell’Esposizione Internazionale del   1911  , la   Mostra delle Scuole dell’Agro Romano .Cambellotti, che si occupò di organizzare artisticamente la mostra (aspetto   etnografico   fu invece curato dal cena), curò la progettazione di una grande capanna, simboleggiante un mondo contadino ancora puro e incontaminato, all’interno della quale furono esposti mobili rustici intagliati dai contadini , sculture dello stesso Cambellotti e dipinti di Giacomo Balla ispirati alla campagna.

I Bambini di Bansky, come i bambini di Cambellotti: stesso stile, stessa semplicità di conmunicazione

La retorica di cui parlo è quella poi durante il fascismo reindirizzò l’educazione in senso agrario / contadino contrapposto al processo educativo umanistico / professionale, da darsi alla popolazione scolastica urbana.

Dunque, da tale mio precedente studio, scaturiva il riconoscimento –poi ricostruito nel libro pubblicato con gli amici della Comunità di Sant’Egidio- di quanto fosse stato importante per la storia della cultura italiana e la crescita di una idea di Stato libero e democratico il ruolo dell’arte e degli artisti, in una linea di continuità che andava a esprimersi poi, nel 1968, con la creazione della Comunità di Sant’Egidio, nata da giovani indipendenti vieni all’epoca di quei rivolgimenti come il cosiddetto ’68, quando si mirava, da punti di stazione diversi, alla liberazione della persona da autoritarismi inequivocabili, o di derivazione socio-culturale (come il pregiudizio) o socio-ideologica (come il conformismo).

La persona dunque, la sua valorizzazione in quanto umanità accomunata da un potenziale di uguaglianza originario a cui restituire la eguaglianza di opportunità. In tale percorso, potei rivedere con un senso più largo, che al di là del tempo trascorso si mostrava attuale e in-attualizzato nello stesso tempo- le esperienze che andavano dal sodalizio “In Arte Libertas”, al grande progetto didattico egualitario e rivoluzionario di Maria Montessori, alla esperienza di Marcucci-Celli per la alfabetizzazione dei contadini nelle paludi pontine, a Don Milani, con la sua scuola progettata per i figli marginalizzati delle classi povere e contadine, fino al grande evento della chiusura dei manicomi (per come erano concepiti da un paio di secoli) cui si pervenne per legge 180 nel 1978, grazie agli studi nazionali e internazionali di Franco Basaglia,

Con quale linguaggio? Con quali forme? Sia l’avanguardia, con il suo ritratto della Pazza del 1905, un’opera tra quelle mostra nel suo interesse per l’arginazione sociale, non disgiunta dalle più avanzate tecniche pittoriche come divisionista di matrice scientifico-ottica.

O lo stesso Duilio Cambellotti, che illustrò molti libri di novelle e Abbecedari, di cui vi mostro alcune immagini, è interessante confrontarlo con alcune di Bansky, lo street artist inglese, i cui tratti prevalentemente bianco e nero e semplici essenziali.

O César Meneghetti, che invitato ai laboratori d’arte di Sant’Egidio ha realizzato l’opera performativa più avanzata: quella in cui gli artisti disabili che lavorano nei Laboratori Sperimentali d’Arte di Sant’Egidio parlano di se stessi, della libertà raggiunta , delle loro abilità prima inimmaginabili, si dimostrano su un piano di parità e di uguaglianza verso di noi e verso se stessi. Intima convinzione, arma per sfondare la rete sociale e istituzionale dei pregiudizi e dell’esclusione.

 

IO È UN ALTRO / VERIFICA #01 AboutThem, César Meneghetti (2010-2011), Laboratori d’Arte Comunità di Sant’Egidio.

Ma la ricostruzione del filo rosso di una cultura italiana solidale, egualitaria, formativa, creativa è insufficiente: ci troviamo di fronte a rotture in più punti di questo filo, di fronte a fatti eclatanti come la caduta in disuso delle pratiche basagliana della cura come vicinanza e relazione; come l’enorme e oramai crescente disparità non solo tra ricchi e poveri, ma tra istruiti e non istruiti, tra chi sa usare e chi sa non essere usato dalla rete digitale e social.

Al bivio tra una prospettiva (più probabile) di democrazia elitaria tecnocratica ed una (più difficile, ma percorribile nell’Italia del filo rosso solidale e individuale) di rialfabetizzazione integrale dei saperi e di educazione continua capillare, dobbiamo leggere e rileggere con occhi nuovi molte cose ad esempio Christian Raimo “Persone, soltanto persone” (minimum fax, 2014), considerare molte prassi e loro racconti, come Eraldo Affinati, “Vita di Vita” (Mondadori 2014). In entrambi – ma come d’altronde in una serie di sparsi tentativi -l’ultimo che ha portato alle dimissioni del ministro dell’Università – di sostenere la scuola e ricerca- il perno di base è proprio qui, nella scuola, tra i giovani , nei quali dobbiamo riporre ogni parola sul futuro.

Vi sarebbe inoltre una lunga lista di enti e luoghi italiani che sono stati qui, al Macro Asilo valorizzati, attraverso due progetti cardine of MacroAsilo secondo De Finis: uno, di coordinamento tra le azioni sparse in Italia, il Terzo Paradiso di Michelangelo Pistoletto. L’altro, il principale, nel disegno di Giorgio De Finis, il richiamo intorno al tavolo della conoscenza, quanto avviene, o non avviene ancora, nelle periferie romane, nei XV Municipi di Roma in cui vivono isolati ma non sottomessi né rassegnati – il loro abitanti, i nostri concittadini. Vere e proprie “città” nella città di Roma, più grandi talvolta delle più note capitali regionali d’Italia.

 Simonetta Lux, al termine della conferenza, mostra  una copia cinese,semovente e metamorfica/ robot,  della mitica auto di Elon Musk

Domanda 5

Ma di questo, mi chiedo rivolgendomi a me stessa, come se a voi, quale è in sintesi il più grande interrogativo? Non ci sembra si assista oggi, purtroppo e ancora ancora, a un uso dell’uomo? Da parte di chi e come? E sempre “tra seduzione e retorica?

D’altronde –la questione non è sempre – per dirla con la critica della Scuola di Chicago Rosalind Krauss- una questione di mode d’emploi? Cioè di “modo d’uso” della tecnica, delle scienze, della politica?

Poco meno cento anni fa, negli anni delle avanguardie, questo era stato possibile: affermare un’idea di libertà, armonica creazione dell’arte, nell’equilibrio tra razionalità e inconscio; – o ancora nel1964- quando ho iniziato- negli anni delle neo-avanguardie, questo era sembrato possibile, almeno affermarlo, aspirarvi. Oggi no.

A Dubai si finge Rinascimento e si insulta l’arte

Che ne è di Marcel Duchamp oggi, se il suo progetto indica la possibilità infinita di riconsiderare l’oggetto dato con un atto di “nuova nominazione”, come il pisciatoio della ditta MUTT (che diventa anche la Firma) che egli rinomina “Fountain” , viene sottratto a questa possibilità, per diventare – in un Club di Dubai, cioè nel paese meno democratico del medio oriente occidentale (e che si vanta di un assoluto aggiornamento all’occidentale dell’arte e dell’architettura più avanzata, come sfida all ‘occidente) – un oggetto che nella loro “rielaborazione” o “riuso” serve una conferma della discriminazione e soggezione della donna al piacere dell’uomo, privata totalmente della sua autonomia o capacità mentale? Siamo nei bagni degli uomini del nightclub Cirque Le Soir. di Marcel Duchamp e ha dipinto il bordo dell’orinatoio come grandi labbra rosse di donna, nelle quali pisceranno i miliardari emiratini.

 

1 Nick Hannes, Garden of Delights, 2019, Festival della Fotografia Etica, Italia. 2. Marcel Duchamp (R. Mutt), Fountain, 1912. 3 Nick Hannes, Garden of Delights, 2017. Le foto, realizzate nel 2017, vengono esposte in Italia, dopo aver vinto numerosi premi internazionali (Premio Magnum 2017, Premio Zeiss 2018)

Splendido articolo “DUBAI-Benvenuti a money city”, di Giulia Villoresi, su “il Venerdì di Repubblica” del 4 ottobre 2019, dedicato al “Festival della fotografia Etica” di Lodi, 5-27 ottobre- dove sono esposte le fotografie del belga Nick Hannes dal titolo “Il Giardino delle Delizie”. Nessuna pretesa di oggettività, riporta Villoresi, ritrarre con nettezza fiamminga lo splendore illusorio “di una città senz’anima, senza storia, senza rock’n’roll: un enorme parco giochi per il capitalismo e il consumismo più sfrenati”. l’origine – di tale rinnovato pot-pourri medieval-disneyano (basta leggere su wikipedia la origine britannica della costituzione degli Emirati Arabi Uniti, di cui quello di Dubai è parte): solo punta di un iceberg, visto quanto sappiamo, a partire da quanto è accaduto per mandato dell’altra monarchia dell’Asia occidentale, cioè dell’Arabia Saudita, al giornalista Jamal Kashoggi nel consolato saudita ad Istanbul. Monarchi ed Emiri appartengono a quella minoranza (26 in tutto il mondo dice l’ultimo rapporto OXFAM) che posseggono da soli le ricchezze di 3,8 miliardi di persone che abitano la terra.

Ma, oltre a ciò, dobbiamo riflettere sul fatto che questa serie di foto del Giardino delle delizie di Nick Hannes (opera che ha vinto il premio prestigioso Magnum nel 2017 ed il premio Zeiss 2018) sono inseriti non scandalisticamente, ma “politicamente” esposte nel Festival della fotografia etica. E il fotografo (così come la autrice dell’articolo di recensione, la Villoresi) con i suoi editori André Frère Éditions ci guida, con parole che non lasciano dubbio: noi siamo dall’altra parte di quei padroni della ricchezza della terra, e non ci possono turlupinare sulla loro pseudo-idea di bellezza (https://www.andrefrereditions.com/en/books/photography/garden-delight/). Il loro carattere di foto documentarie non riduce la bellezza e la perfezione –in quanto opera d’arte-. Anzi ci induce alla messa in questione del rapporto tra autenticità e sostenibilità (proprio così: il tema che in questi mesi al Macro è stato uno dei lanci primari). Foto che si mostra uno specchio reale di quella realtà, Dubai, dove si vede il mondo trasformato in una società duale, caratterizzato da separazione ed esclusione, due mondi “dei quali” il primo è un mondo di “capsule, dove è meraviglioso vivere; il secondo mondo è tutto il resto, un oceano di povertà e caos ”. Il documento e la qualità dell’arte della fotografia, il suo contesto di esposizione, sì, la “narrazione” che li accompagna è necessaria, vieni per tutta l’arte e il Flusso di immagini Che rifluisce addosso in Continuazione. in this senso ho parlato-altrove- dell’opera d’peculiare di questa epoca e di quell’arte non cosmetica che intrecciata di 4 elementi: territorializzazione, partecipazione, narrazione / formazione, e ovviamente realizzazione. In altri tempi di poteva dire “l’arte parla per me” (Alberto Burri, quando ogni sua opera era un contraccolpo ai colpi del conformismo e perbenismo), oggi non più.

La Ubrys di Elon Musk e i nuovi futuri schiavi su Marte 

non può non essere stigmatizzato. L’immagine sul Corriere della Sera del 26 gennaio 2018, con un articolo di Giovanni Caprara, riportava la notizia del collaudo del suo nuovo razzo Falcon Heavy, che alcuni giorni dopo sarebbe decollato per portare la sua più avanzata auto elettrica la Tesla Roadster in orbita per Marte. Dal 2011 conquistatore del mercato spaziale agli ordini della NASA e del Pentagono che gli mettono a disposizione la rampa 39 ° di Cape Canaveral da cui era partito il viaggio lunare della NASA, Musk annuncia il lancio in direzione dell’orbita verso Marte: una fake, se –come d’altronde si vede leggendo attentamente le notizie press (che alcuni giorni dopo sarebbe decollato per portare la sua più avanzata auto elettrica la Tesla Roadster in orbita per Marte.https://www.repubblica.it/scienze/2018/02/06/news/space_x_tutto_pronto_per_il_lancio_del_super_razzo-188153868/  ) – dei tre razzi di cui è composto il Falcon Heavy, i due laterali atterrano come previsto a Cape Canaveral (saranno riutilizzabili) , ma il razzo principale del lanciatore prodotto dallo SpaceX cade nell’Oceano Atlantico, dopo aver mancato la piattaforma predisposta per l’atterraggio (sito cit.). Precipita con tutta la ogiva nella quale era racchiusa la Tesla Roadster, bellissima auto, mi aveva affascinato quest’immagine pubblicata sui giornali di tutto il mondo, ma nello stesso tempo mi era parsa un’immagine minacciosa: con quella bell’opera umana inserita nella carenatura del razzo, un uso pubblicitario della bellezza gettabile via per un progetto ad essa estraneo.

 

Elon Musk, lancio e abbandono della Tesla Roadster sulla ipotetica rotta per Marte, Nasa 26 gennaio 2018, rampa 39 di Cape Canaveral.
La Tesla Roadster è inserita nel razzo Falcon Heavy prodotto da Space X di Musk.

E così era stato. In questa avanzata della scienza tecnologica in questa progettualità incontrollata (se non in una corsa fuori ogni regola di destinazione umana codificata internazionalmente), c’è anche una buona notizia, di cinque mesi fa (“La Repubblica”, 24 giugno 2019). 5,30 del mattino del 25 giugno il Falcon Heavy di Elon Musk (di cui-come da contratto col Pentagono della SpaceX- si erano recuperati riutilizzabili, i due razzi laterali) è lanciato in orbita non solo 24 satelliti del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti, ma anche – all’interno di uno dei satelliti- una “vela solare”, la LightSail2 dell’organizzazione americana Planetary Society, cui hanno lavorato gli studenti del Georgia Tech (e David Spencer, Project Manager di LightSail 2, al centro di controllo di California Polytechnic State University).

 

Planetary Society, David Spencer, Project Manager,  LightSail2/vela solare, con gli studenti del Georgia Tech e California Polytechnic State University

La mitica missione ROSETTA

Al di là di quanto questa questione sia importante uso dell’energia solare in sostituzione di quelle inquinanti in uso oggi. Non dimentichiamo cosa avvenne nella mitica missione Rosetta dell’Agenzia Spaziale Europea, finalizzata allo studio scientifico delle nostre origini dopo il Big Bang: quando, dopo 10 anni di viaggio [era stata lanciata nel 2004] nel 2014 la sonda Rosetta rilasciò il Lander Philae destinato a esplorare la cometa 67P / Churyumov-Gerasimenko e le modalità originarie della creazione della nostra galassia essendo la 67 / P nata dal Big Bang – questo atterrò in una zona della cometa non illuminata; e quindi rimasto privo dell’energia solare non è raggiungibile dai fotoni non poté trasmettere tutte le notizie che era destinato a raccogliere.

Al di là dell’importanza delle ricerche, non possiamo ribadire la necessità dell’uso controllato e pacifico dello spazio, così come di altra azione, per quanto pubblicizzata nella rete e nei media, come fa Elon Musk, in nome della “Difesa” Statunitense .

Dai suoi siti esce –proprio così- la pubblicità della nuova Batteria al litio TeslaPowerwall2 in grado di immagazzinare l’energia del proprio impianto fotovoltaico senza prelevarla dal gestore di energia elettrica! Non è una novità- anzi sembra di tornare indietro- se si deve accettare ancora oggi che gli sviluppi della scienza debbano avvenire in un’ottica “militare”, invece che “sociale”!

E comunque ribadire almeno la necessità di tenere sotto controllo le mete e il senso di quanto esaltato attraverso i social e attraverso il controllo digitale (su di noi) che ci esclude dalle decisioni.

Intraprendere un processo di eguaglianza tra pari nell’organizzazione delle decisioni – finora spesso opache e comunque distaccate dalla realtà sociale, apparirebbe impossibile di fronte ai mostri detentori del potere finanziario e tecnologico, ormai robotico ed automatizzato.

Primo giorno di scuola a Ségou in Mali (Internazionale,15/21 novwmbre 2019, David Dembélé)

 

A scuola affamati

La proposta di Bernard Stiegler appare, per quella che è la cultura europea ed italiana in special modo, una meta da raggiungere con passi brevi e lenti, ma sicuri, la sintomatologia distruttiva ed autodistruttiva innescata dal malo uso della tecnica e dalla maladistribuzione del sapere, della conoscenza. Sotto questa immagine del primo giorno di scuola a Ségou in Mali, una madre intervistata dice: “I miei figli non mangiano a scuola”.

Gabbia di videogiochi

Gioca, Dormi, Gioca

E qui su “Internazionale” (n.8/14, novembre 2019), l’immagine dell’ingabbiamento di ragazzi e adolescenti, catturati, come scrivono Sylvana van den Braak, Thomas Muntz ed Emiel Woutersen, De Groene Amsterdammer / Investico, Paesi Bassi, “I produttori di videogiochi utilizzati tecniche sempre più efficaci per provocare dipendenza nei giocatori, e il risultato è che i centri di recupero si riempiono di adolescenti che non riescono a smettere ”.

Francesco Faccin “Progetti non oggetti” e “Live in slums”

Francesco Faccin, Scuola realizzata nel sobborgo Mathare di Nasirobi, Kenya. Studia con Enzo Mari e Michele De Lucchi,
vince a 33 anni il Design Report Award ( 2010, Milano, Salone Satellite)

Esempi di buone pratiche di autocontrollo e partecipazione decisionale, organizzata dal basso e dal piccolo, ve ne sono, in Italia e non, come una di quelle che vi stavo proiettando realizzata da un piccolo gruppo di designer milanesi in Africa, invitati ong milanese “Live nei bassifondi ”. Tra di essi l’architetto Francesco Faccin, che insegna alla NABA (Nuova Accademia di Belle Arti di Milano) un corso intitolato “Progetti non oggetti”: Faccin ha realizzato una scuola e arredi con materiale disusato, riattivando pratiche e conoscenze artigianali in loco.

MLAC: 2008-2009 “César Meneghetti. K-lab Interagire sull’interfaccia della realtà ” 

In passato ciò è avvenuto anche in Italia, in una virtuosa relazione tra scienziati e Istituzione, in Niger, con la riforestazione di milioni di alberi unitamente alla ricostituzione della rete idrica, con tecniche conosciute dalla popolazione e quindi sostenibile. Gli dedicai al MLAC una mostra, dove si mostrava proprio la fattibilità dell’assunto, ma con la necessità di “monitoraggio” e prevenzione del degrado. Un successo italiano mandato a male, per caduta di fondi (?), Per mancanza di pressione dei realizzatori, i nigerini stessi (?). Dedicammo la mostra alla necessità di far conoscere questa storia: “César Meneghetti. K-lab Interagire sull’interfaccia della realtà ”(3 dicembre 2008-15 gennaio 2009, Museo Laboratorio di Arte Contemporanea,a cura di Simonetta Lux e Domenico Scudero). Per non ricadere in un fallimento, ma anche a produrre il concetto di un’arte che si situa in uno stretto limine, che si fa interfaccia con la realtà interagendo con essa, testimoniando: [ http://www.luxflux.net/mlac /? s = Meneghetti ].

Si, proprio così, sembra di dirci cose estremamente attuali.

L’iniziativa responsabile e coraggiosa è certo il fatto decisivo (ciascuno operi al massimo delle sue possibilità, valorizzando il proprio ruolo), ma anche una tensione relazionale con istituzioni amministrative e politica è possibile. E sullo sfondo porre il potenziamento della scuola, di una educazione totale e continua dei cittadini: è la battaglia cosiddetta del “diritto alla conoscenza” del nostro Partito Radicale TP e di Marco Pannella, cui la classe politica continua a fare orecchie da mercante (appunto ).

Non è stato d’altronde questa una certa linea di enti, luoghi italiani, azioni di iniziativa responsabile individuale che qui la Macro Asilo si è voluta valorizzare, mostrare, farla vedere all’opera, coordinarla?

Tavolo della conoscenza al Macro Asilo: il Municipio, la Periferia, la Casa

Due i progetti di azione dominanti, due progetti cardine dell’azione di MacroAsilo secondo De Finis: uno, di coordinamento tra le azioni sparse in Italia, il Terzo Paradiso di Michelangelo Pistoletto. L’altro, il principale, nel disegno di Giorgio De Finis, il richiamo intorno al tavolo della conoscenza, quanto avviene, o non avviene ancora, nelle periferie romane, nei XV Municipi di Roma in cui vivono isolati- ma non sottomessi né rassegnati – il loro abitanti, i nostri concittadini. Vere e proprie “città” nella città di Roma, più grandi talvolta delle più note capitali regionali d’Italia. Lavoro troppo presto interrotto, ma non chiuso.

Non mi ha meravigliato il sostegno quasi co-progettante di Michelangelo Pistoletto, fin dall’inizio, al progetto di Giorgio De Finis, il MacroAsylo, insieme alla nuova direttrice della Galleria Nazionale Cristiana Collu, smantellatrice del senso comune di Arte e Bellezza.

In questa adesione e concorso progettuale di Pistoletto vedo, inoltre, l’inconscia volontà di attuare, per le nuove generazioni, quanto egli ha fatto nella sua persona di artista, riunificata intorno al 1965, rinunciando a molto: come lui stesso racconta (in http : //www.pistoletto.it/it/crono.htm ), nel nome di un equilibrio tra sé e realtà, tra individuale e collettivo. Lo riconoscevo, dedicando nei miei primi corsi uno spazio speciale a lui e ai suoi “oggetti in meno”.

Emerge una idea per “È dalle piccole cose, dal basso, che si inizia a mettere radici”

Non è stato d’altronde questa una idea per cui “È dalle piccole cose, dal basso, che si inizia a mettere radici: ce lo insegnano le piante, gli alberi, il lento e costante moto terreno, così dal ritmo assurdo, dissoluto e dissociante che la società di oggi prevede quale mezzo di raggiungimento degli obiettivi che hanno poco a che vedere con il quotidiano ”; una idea connessa ad una capillare azione volta allo sviluppo sostenibile ”);ma anche la tessitura di una rete istituzionale, come quella che ci è indicata (dal direttore del “Journal Cittadellarte” nel dietro le quinte del 17esimo Premio Sociale, assegnato nel Macro Asilo il 4 dicembre 2019 (per le migliori tesi di Laurea dedicata allo sviluppo sostenibile e sociale delle aziende – Main sponsor ACEA) – figurano: il patrocinio del Ministero dell’Ambiente, Tutela del Territorio e Mare; Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali; Roma Capitale; Commissione europea – Rappresentanza in Italia; ACRI; ADI – Associazione per il Disegno Industriale; AIDP – Lazio; Anima Impresa; Anima per il Sociale; Assifero; ASSOSEF – Associazione Europea Sostenibilità e Servizi Finanziari;ASviS – Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile; Cittadellarte – Fondazione Pistoletto Onlus; Fondazione Moleskine; Fondazione PRIORITALIA; RAI – Responsabilità sociale. Nel corso della giornata, come illustrato in una ASviS – Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile; Cittadellarte – Fondazione Pistoletto Onlus; Fondazione Moleskine; Fondazione PRIORITALIA; RAI – Responsabilità sociale. Nel corso della giornata, come illustrato in una ASviS – Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile; Cittadellarte – Fondazione Pistoletto Onlus; Fondazione Moleskine; Fondazione PRIORITALIA; RAI – Responsabilità sociale.Nel corso della giornata, come illustrato in una nota stampa sul sito dell’Osservatorio Socialis, il direttore Roberto Orsi ha presentato il ‘ CSR-Check for Sustainability Ranking® ‘: nuova piattaforma digitale e strumento per la misurazione e la messa a sistema della responsabilità sociale e della sostenibilità per riconoscere il valore e la ricaduta delle azioni di aziende e organizzazioni. Un altro momento chiave dell’iniziativa è stata la tavola rotonda sul tema del futuro della CSR, a cui hanno partecipato: Maria Ludovica Agrò , Già Direttore PCN OCSE in Italia; Sabrina Alfonsi , Presidente Municipio Roma I Centro; Pietro Ferrari Bravo , Coordinatore Ufficio Riforma Terzo Settore ASSIFERO;Gloria Fiorani , Docente CSR e Rendicontazione sociale, Università di Roma “Tor Vergata”; Marcella Mallen , Presidente Fondazione Prioritalia; Paolo Naldini , Direttore di Cittadellarte; Roberto Natale , Responsabile Responsabilità Sociale RAI; Barbara Santoro , Consigliere Anima per il Sociale nei valori d’impresa; Maria Sebregondi , Co-Founder e President Moleskine Foundation; David Trotti , Presidente Associazione Italiana Direttori del Personale – Lazio.
Alla tavola rotonda ha preso parte anche Paolo Naldini : “ Tutte le organizzazioni– ha detto il direttore di Cittadellarte nel corso del suo intervento – che si tratti di azienda di moda o ospedale, riorientarsi. La bussola, che ha segnato per tanti secoli la direzione, nel nord aveva il progresso, in cui era necessario vendere e ‘fare’ sempre di più. Oggi questa bussola è impazzita, gira e non si sa più quale sia il magnetismo che la fa andare (e vi dà) una direzione, la sostenibilità  ”.

In conclusione, simbolo e non sintomo, proietto l’acquerello di Uemon Ikeda, che nelle sue installazioni tesse fili rossi in ambienti territori segnati dal fluido scorrere dell’immaginario digitale: il fluido acquerello trasporta il sogno ad occhi aperti dell’interazione nell’interfaccia del reale: l’Arte.

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