Simonetta Lux: Salve, vivi in Ecuador?
Tomas Ochoa: No, sto vivendo in Svizzera e sono dell’Ecuador.
S.L.: È difficile vivere nel tuo Paese in questo momento?
T.O.: In questo momento l’Ecuador è un Paese economicamente distrutto, quindi è molto difficile sviluppare un’attività artistica, ed è per questo che vivo in Svizzera.
S.L.: Non c’è molta differenza rispetto a centocinquanta anni fa. Come si relaziona il tuo lavoro presentato alla Biennale, curato da Irma Arestizabal, con la situazione storico-politica del tuo Paese?
T.O.: Uno dei punti fondamentali del mio lavoro è affermare che nulla è diverso rispetto a centocinquanta anni fa. Ci sono ancora le stesse condizioni, l’unica differenza è il nome delle multinazionali americane e dei prodotti esportati. Prima era l’oro, ora è il petrolio, ma le condizioni sono le stesse. È questo l’approccio nel mio lavoro.
S.L.: Comunque lo trovo non ideologico ma poetico. Questo elemento della difficoltà del cambiamento resta veramente impressionante anche se lo conosciamo bene. La difficoltà di sfuggire ad esempio dallo sfruttamento della esportazione e dal depredamento delle materie prime è qualcosa che ha riguardato e riguarda tutti i Paesi in via di sviluppo. Nel contesto di questa riflessione il tuo lavoro che mostra l’impotenza dell’uomo non potente è per così dire paradossalmente “poetico”.
E tu come consideri il tuo lavoro? Riscontro infatti una relazione, una fluttuazione tra realtà e finzione (tu infatti inserisci documenti veri con azioni performative attuali), realtà e memoria. La loro unità e mescolanza è qualcosa che stiamo vivendo in questo momento?
T.O.: Penso che stiamo vivendo nell’arte contemporanea un trend che non va né verso la realtà, né verso la finzione. Stiamo vivendo una specie di “ficticious reality”.
S.L.: Che potremmo tradurre come realismo della fiction, ovvero dominio percettivo fictionista… Una fuga da “Beautiful” è possibile?
T.O.: In risposta a ciò io assumo la posizione di presentare i fatti, strutturando l’opera con il format del documentario. Questi avvenimenti li ricollego all’aspetto poetico del flusso di tempo e di eventi, nella vita.
S.L.: Sembra impossibile fare storia, ed è molto triste. Il documentario è sembrato fino a questo momento possibile, creava una storia, usava un elemento di hic et nunc, di piena presenza. Erano questi gli elementi, i frammenti, le immagini del documentario. Tu fai entrare nella vita di questi lavoratori degli elementi resi poetici, come per esempio l’acqua la terra, il ferro. La storia che racconti è la storia della gente, dei lavoratori nel tempo…
T.O.: Questi lavoratori sviluppano una forte resistenza, non una resistenza ideologica, ma una resistenza necessaria alla sopravvivenza. Quindi i minatori rubavano oro dai loro stessi terreni, dalle loro stesse miniere, dagli americani, cospargendo i loro corpi con la polvere e il fango delle miniere. Quello che sto cercando di fare è ricostruire questa storia nel video, perché dopo si lavavano e portavano via un po’ d’oro dalle miniere. Questo veniva fatto ogni giorno, mese dopo mese, così alla fine avrebbero avuto un po’ di oro per loro. Come le formiche. E ciò ci dovrebbe far riflettere.
S.L.: Realizzi una specie di metamorfosi del documento vero, usi frammenti di memoria come linguaggio, creando un’opera d’arte. Frammenti di memoria impalpabile come i residui d’oro portati via dai minatori.
T.O.: Ricostruiamo la storia tramite gli sconfitti.
S.L.: Pensi all’ “Angelo della storia” di Walter Benjamin?
T.O.: Non è la storia ufficiale.
S.L.: Qual è la tua idea sul futuro dei Paesi in in difficoltà o in via di sviluppo come l’Ecuador, il Paraguay, l’Afghanistan, l’Iraq dove sembra impossibile ricostruire o costruire una cultura futura e indipendente ed una società democratica? Libera?
T.O.: Questo progetto riguarda più il futuro del passato. Vediamo fatti avvenuti cento anni fa, ma io cerco di approcciare il futuro e il presente perché le strutture del neocolonialismo, che ci impone i suoi prodotti e che esporta il petrolio, sono le stesse del secolo scorso. Sono le stesse strutture di potere.
S.L.: Il problema del petrolio, e dell’energia…
T.O.: L’arte per me è una strategia per ribellarsi al sistema. Serve a far riflettere.
S.L.: Quindi a far connettere le persone tra di loro nell’affrontare queste questioni.
T.O.: Sì. Grazie.
S.L.: Grazie mille. In effetti mi dice Lucrezia Cippitelli, “ci fa comunicare delle perplessità”.
Lucrezia Cippitelli: “Ma mi fa pensare alla paradossale situazione irachena, dove mancano gli strumenti elementari della comunicazione stessa civile, figuriamoci politica, figuriamoci libera. Non abbiamo nulla ci dicono, forse neanche l’idea dell’occorrente per comunicare tra loro e con il mondo”.
S.L.: Con quanti pochi fili, con quante economiche parabole si potrebbero predisporre le condizioni dell’azione politica, civile.