Perché si parla di incomunicabilità tra uomo e donna? Qual è stato il ruolo dell’immagine femminile nel corso della storia? Queste sono le domande che si è posta Maria Luisa Trevisan, curatrice della mostra Lilith. L’aspetto femminile della creazione (dal 19 settembre al 17 ottobre 2004 presso le Scuderie Aldobrandini a Frascati).
La mostra ha aperto i battenti con un saluto di Rita Levi Montalcini che ha ricordato la memoria della sorella gemella, l’artista Paola Levi-Montalcini, scomparsa nel 2000. Il premio Nobel ha poi concluso il suo breve ed intenso discorso con le seguenti parole: “Se ci sarà un futuro sarà soltanto in base a quello che le donne sapranno fare”.
L’esposizione presenta trentasei artiste, italiane e straniere di livello internazionale, con opere di pittura, scultura, fotografia, installazioni e video volti a mostrare il “femminino” quale aspetto proprio della donna, raccontato sotto i molteplici ruoli di madre, moglie, compagna e figlia.
“L’arte è il modo migliore per rappresentare il punto di vista della donna”, così la Trevisan ha motivato la scelta di esporre opere eseguite dalle figlie di Eva (anche se in questo caso dovremmo parlare di “figlie di Lilith”), tracciando un percorso che si scosta dall’ottica maschile, per giungere ad un’idea di assoluta incomunicabilità tra uomo e donna, e mostrando come questi due punti di vista finiscono inevitabilmente per non coincidere mai.
Contrariamente a quanto è accaduto nei secoli scorsi, quando le artiste si contavano sulle dita di una mano, nel Novecento le donne sono riuscite a conquistare la scena centrale dell’arte contemporanea (un esempio fra tutti, Carla Accardi, fra i massimi esponenti dell’astrattismo italiano, protagonista del gruppo “Forma”). Dall’Ottocento la figura della donna comincia ad emergere, grazie anche allo sviluppo della visione borghese, e da mero strumento di riproduzione diviene vera protagonista.
La mostra mette in luce quindi non solo l’operare femminile, ma lo stesso atteggiamento di profonda introspezione, anche a costo di scoprire la parte più oscura e negativa della donna, da secoli rappresentata dall’immagine di Lilith.
Lilith è un archetipo del femminino, nata prima di Eva, non volle sottomettersi ad Adamo e per questo fu cacciata. Poiché era dotata di ali volò via, condannata a vagare nelle tenebre. Nel corso dei secoli pittori e scultori, scrittori e poeti hanno descritto in molte maniere la sua immagine di “femme fatale” e di incantatrice crudele: in questo senso la rappresentazione forse più nota, fu realizzata dal pittore preraffaellita Dante Gabriel Rossetti (Lady Lilith, 1868).
Lilith è stata simbolo culturale di emancipazione per le femministe negli anni Sessanta, metafora di
un’immagine contemporanea in cui le donne hanno preteso un ruolo diverso.
Ecco dunque le donne di oggi: sono proiettate verso il futuro, come quelle digitali rappresentate da Cindy Sherman e da Karin Andersen; o tenute in gabbie di ferro cotto come le vede Giovanna Bolognini.
Nelle opere di Shirin Neshat, artista originaria dell’Iran emigrata in America, viene rappresentata la condizione di sottomissione della donna mediorientale, assumendo anche connotazioni allusive alla violenza. In Stories of Martyrdom (1994), fotografia in bianco e nero ritoccata in inchiostro di china, le mani in primo piano solcate da una fitta calligrafia araba, subiscono il peso di un fucile.
Maria Pia Fanna Roncoroni esprime il tema del silenzio e dell’incomunicabilità tra uomo e donna attraverso le sculture di legno bloccate da chiodi di ferro (Seggiole, 1998-2004); ma poi le fa urlare a squarciagola riprendendo uno slogan delle manifestanti femministe degli anni Settanta (Tremate tremate le streghe son tornate, 1978). Ancora più cruda e dirompente è la donna nuda e con la lingua di fuori rappresentata da Carol Rama (Epifania, 2003).
Nella litografia di Louise Bougeois, Le père et les trois fils (1999) sono rappresentate tre piccole seggiole imprigionate sotto una grande sedia. L’opera manifesta il dramma personale dell’artista che ha dovuto subire un padre padrone.
Di Natalia Rosmini sono esposti 16 piccoli dipinti che fanno parte di un ciclo di 128 tele (Big Wednesday, 2002-2003) in cui sono rappresentati i simboli della cultura mediatica contemporanea, dalla moda alla politica, stampati sui corpi di ragazze pin-up. Di fronte alle sue opere, di chiaro rimando pop, l’artista ha affermato: “Non subisco il linguaggio della pubblicità, piuttosto lo riciclo”.
Lilith viene spesso identificata sotto le sembianze di un demone alato, come nella scultura in terracotta di Alessandra Urso, che ricorda le statue surrealiste altrettanto inquietanti di Salvador Dalì; o rappresentata con uno sguardo magnetico e letale come nel bronzo di Kiki Smith.
Ariela Böhm anziché rappresentare la donna in quanto tale, rende tangibile le sue riflessioni (Pensiero femminile. Le donne pensano in reti di fattori collegati, 2004) mediante un gioco di specchi rappresentanti il “pensiero a rete”, così definito dall’antropologa Helen Fischer; diverso dal pensiero maschile che invece è “a gradini”.
Il visitatore ha la possibilità di concludere il suo percorso espositivo con l’installazione di Greta Coreani. Pandora’s box ha lo scopo di coinvolgere ed interagire con il pubblico mediante una specie di gioco. Il visitatore è invitato ad entrare in una struttura di ferro dove sono appesi tanti piccoli vasi di terracotta. Ognuno di questi vasetti contiene un elemento diverso (piuma, sasso, foglia…). Le persone possono scegliere di portarsi via un vaso in cambio di una riflessione da scrivere su uno dei pannelli di stoffa, con la motivazione della sua scelta.
Intervista ad Hana Silberstein
Domenica 19 settembre 2004. Scuderie Aldobrandini, Frascati. Ore 12.30.
Giorgia Calò: Ciao Hana, volevo farti alcune domande sulle opere che hai deciso di esporre in questa mostra. Sono diverse rispetto ai quadri che solitamente ci hai abituato a vedere, dove il punto di partenza è spesso un articolo di giornale, o il prelevamento di lettere stampate su un quotidiano. Universo donna, Accademia Lilith sembra una sorta di mappa, uno schedario. Rammenta le famose tavole di Aby Warburg, nonché riscontro un forte richiamo al concettuale.
Hana Silberstein: L’idea era proprio quella di rappresentare una sorta di tavola concettuale; non lo considero un quadro, è piuttosto un manifesto. Quando mi hanno detto di partecipare a questa mostra, inizialmente ho pensato che il tema da affrontare fosse solo quello di Lilith, ma dato che io odio questa immagine, ho voluto riscattare la donna e l’ho fatto inserendo in questa tavola personaggi femminili famosi e non, ho inserito ad esempio anche le donne ebree deportate nei campi di concentramento, le donne combattenti e quelle che piangono. Ci sono davvero tutte le donne, in tutte le sfaccettature che l’immagine femminile racchiude. Dalle animaliste alle attrici, dalle pittrici alle cantanti, dalle regine alle anonime poetesse.
G.C.: Quindi hai voluto rappresentare l’anti-Lilith.
H.S.: Lilith è negativa dalla a alla z. Credo che non esista una donna così al mondo, pertanto ho pensato di raggruppare tutte le donne che sono l’esatto opposto di Lilith.
G.C.: In questo collage oltre ad esserci fotografie, disegni e ritagli di giornali, hai inserito anche una lettera.
H.S.: È l’unica nota personale. È una lettera spedita a mia madre prima che lei morisse. L’ho inserita come a voler dire “vieni a stare con me oggi”. Sotto la lettera c’è una mia foto da bambina.
G.C.: L’altra opera esposta parole mai dette, è già più riconoscibile all’interno della tua poetica artistica. Hai utilizzato lettere e pagine di un quotidiano, come sei solita fare.
H.S.: Questo assemblaggio realizzato con carta, gesso e filo di ferro, rappresenta una testa femminile dalla cui bocca fuoriescono delle lettere che cadono a terra. In realtà sono le parole mai dette. Spesso le donne si astengono dal parlare per proteggersi dalla violenza maschile.
G.C.: Quindi anche tu, come molte artiste che espongono oggi, affronti il tema dell’incomunicabilità.
H.S.: Certamente. La donna è creatrice del mondo, al contrario l’uomo tende costantemente a disfare.
Carol Rama, Epifania, 2003
Shirin Neshat, Stories of Martyrdom, 1994
Giovanna Blognini, Percepirsi, 2003
Cristina Gori, Mimesi, 2004
Natalia Resini, Big Wednesday, 2002-2003
Alessandra Urso, Lilith, 2004
Hana Silberstein, Parole mai dette, 2004
Hana Silberstein, Universo Donna, Accademia Lilith, 2004
Vered Gamliel, Composition, 2002
Ariela Böhm, Pensiero femminile. Le donne pensano in reti di fattori collegati, 2004