Collage, azione musicale in un atto di Aldo Clementi su soggetto e materiale visivo di Achille Perilli, nasce dalle tensioni, dalle ricerche, dalle esperienze degli anni Cinquanta. Alle incertezze dell’allestimento romano, patrocinato in grande economia dall’Accademia Filarmonica Romana (Roma, Teatro Eliseo 1961), ha fatto seguito un oblio pressoché ininterrotto e l’inclusione del lavoro nel novero dei tentativi non riusciti di fondazione di un nuovo teatro musicale. Soltanto di recente gli studiosi si sono accorti della assoluta centralità delle questioni messe in gioco da Collage, un esperimento sorprendentemente avanzato per i tempi di gestazione, eppure troppo spesso taciuto nei manuali e nei repertori di musica contemporanea e d’avanguardia. La nuova prospettiva di indagine, determinatasi grazie al coinvolgimento di varie aree disciplinari contigue (la storia delle arti figurative, la musicologia, la storia dello spettacolo teatrale e della scenotecnica), è apparsa congeniale alla natura originaria del progetto e affine alle indicazioni concettuali e operative fornite a più riprese dagli autori. Si è avviata così una riflessione allargata attorno ai quesiti di fondo rimasti irrisolti e inerenti al lascito effettivo dell’esperienza Collage, vale a dire agli esiti molteplici di questo evento che si colloca a pieno titolo alle soglie della rinascita teatrale italiana e internazionale degli anni Sessanta.
Il recentissimo ritrovamento di alcuni materiali di scena (in particolare, di uno dei tre preziosi velatini realizzati da Perilli per una delle dodici scene dello spettacolo, fig. 1),custoditi nei magazzini dell’Accademia Filarmonica Romana, unitamente allo studio degli abbozzi e alla schedatura di tutti i materiali elaborati in vista della rappresentazione del ’61 da parte di Perilli e della redazione definitiva della partitura da parte di Clementi, infine l’altrettanto recente indagine condotta sul manoscritto originario compilato da Clementi e ceduto, come da contratto, all’Accademia Filarmonica,[1] ci pone oggi nella condizione di poter comprendere in maniera meno superficiale e approssimativa gli esiti mancati del ’61 e le ragioni del radicale rinnovamento perseguito da parte dei due artisti in sintonia con le linee di tendenza dell’arte, della cultura e dei linguaggi musicali nella seconda metà degli anni Cinquanta.
Varrà la pena inoltre di interrogarsi su quali siano le possibili modalità di ricostruzione di un’esperienza di teatro musicale, sia pure circoscritta nel tempo e nello spazio, vale a dire di una materia il cui testo giace solo parzialmente nel groviglio di fonti che abbiamo appena segnalato (appunti, abbozzi, disegni, schemi, frammenti, musiche), ma che di fatto se ne discosta per vivere di una vita altra, effimera e forse inattingibile. Ci si chiederà allora se non sia opportuna un’operazione di revisione e di ampliamento della nozione tradizionale di filologia al fine di rendere leciti tutti quegli interventi che saranno necessari per la realizzazione di un nuovo allestimento e che dovranno tener conto non soltanto del dettato delle fonti, ma anche delle debolezze originarie dovute allo scarto esistente tra la materia progettuale – le sue implicazioni concettuali – e la deficitaria tecnologia dell’epoca, certamente non altrettanto avanzata. Quale nozione di filologia potrà soccorrerci, in altre parole, nel momento in cui il divenire di un’opera dovrà essere giudicato ancora in corso e suscettibile soltanto oggi di trovare gli adeguati supporti scenotecnici, nonché informatici e musicali, vale a dire quella tecnologia prefigurata con grande anticipo rispetto ai tempi dalle idee messe in campo dal progetto Collage e dai suoi artefici?
Un’ipotesi di lettura che ha continuato a rinnovarsi nel corso delle mie recenti riflessioni attorno all’esperimento Collage, e allo speciale contesto romano e italiano in cui ebbe modo di germogliare, riguarda la parziale disparità di vedute esistente tra i due artisti, la non esatta sovrapponibilità delle rispettive idee di teatro ed in particolare dei rispettivi progetti per Collage.
Di tale disparità e di tale relazione dialettica tra le posizioni dei due autori, si raccoglie un’eco lontana nelle brevi note introduttive al programma di sala dello spettacolo, firmate in successione da Achille Perilli e Aldo Clementi:
Collage nasce dall’esigenza di unificare più forme espressive (musica, pittura, cinema, teatro) in una forma nuova di spettacolo.
Se il problema della comunicazione tende per i due opposti a semplificarsi e a complicarsi, lo spettacolo quale che esso sia rifiuta o perlomeno dimentica le nuove infinite possibilità offerte dal moltiplicarsi dei mezzi. Collage è il tentativo di creare uno spazio visivo più complesso, nel quale l’agire e lo svolgersi di una vicenda non sia semplicemente raccontato o spiegato allo spettatore ma offerto in una più vasta possibilità di comprensione. Il problema è nel non ridurre lo spettacolo ad una pura sperimentazione di nuovi strumenti espressivi ma, utilizzando questi, nell’ampliare in ogni senso le possibilità fantastiche della vicenda. Lo spunto della trama deriva da una vecchia tradizione alchemica secondo la quale dalla medesima materia distrutta dal caos sorge una nuova immagine della natura e all’interno di questa nasce l’omuncolo, origine e inizio dell’uomo. A questa interpretazione della creazione io ho aggiunto un’ulteriore possibilità di racconto seguendo l’uomo nel suo contatto con la realtà, con il movimento, con il suono, con la società che lo circonda e che alla fine l’annienta riportandolo a se stesso, alla sua memoria: una memoria fatta di oggetti e di immagini. Questo schematico ed elementare racconto trova sviluppo e ragione visiva dall’incrociarsi dei mezzi utilizzati, dal sovrapporsi delle tecniche, dal moltiplicarsi delle immagini e soprattutto dall’intervento dell’intelligenza attiva e della fantasia poetica dello spettatore. Quest’ultima condizione è fondamentale per la comprensione di Collage.
Achille Perilli
L’idea di un’azione scenica senza personaggi – come logica conseguenza di una situazione musicale in cui, più o meno, tutti ci troviamo impegnati – e, automaticamente, il fatto di rivolgermi a Perilli per la relativa attuazione, sono nati, si può dire, contemporaneamente, come conseguenza della spiccata preferenza personale che sempre ho nutrito per quel pittore.
È naturale che in un lavoro di collaborazione l’uno debba cedere qualcosa all’altro: in conseguenza di ciò, il valore di “collage” della traccia datami da Perilli, mi è parsa l’unica interpretazione possibile e coscientemente accettabile, dopo un primitivo progetto di “balletto” puramente astratto.
Aldo Clementi[2]
Mi preme sottolineare in questa circostanza soltanto alcuni elementi annunciati nei due brevi testi citati: nello scritto di Perilli, l’insistenza sul problema della comunicazione teatrale fondata sulla creazione di “uno spazio visivo più complesso”, ove non venga illustrata o raccontata alcuna storia, bensì semplicemente suggerita una traccia, di provenienza alchemica, alla “fantasia poetica dello spettatore”. È singolare l’indugio sulle “nuove infinite possibilità offerte dal moltiplicarsi dei mezzi” in termini negativi: la consapevolezza dell’autore risiede, per certi versi, proprio “nel non voler ridurre lo spettacolo ad una pura sperimentazione di nuovi strumenti espressivi”, in quel rifiuto di un teatro-campionario di effetti spettacolari, bensì nell’impiego funzionale di questi, e di tutti i possibili espedienti ancora di là da venire, al fine di immaginare una proiezione all’infinito delle “possibilità fantastiche della vicenda” e di conseguenza uno spettatore capace di interagire in maniera creativa con il lavoro scenico stesso. Clementi, dal canto suo, ribadisce il legame saldissimo esistente tra una concezione di teatro radicalmente astratto (“un’azione scenica senza personaggi”) e il contesto musicale circostante, vale a dire con quel percorso di ricerca che, avviatosi nell’immediato secondo dopoguerra, aveva condotto la scrittura ed il pensiero musicali, sulle orme della lezione weberniana, ad un assoluto rigore progettuale e costruttivo del comporre. Non può tuttavia fare a meno di assegnare la genesi di Collage al suo sodalizio con Achille Perilli e a quella stagione di personale adesione all’opera e alla poetica del pittore romano (una parte consistente dei lavori di Clementi della seconda metà degli anni Cinquanta trae spunto proprio dall’opera pittorica di Perilli, mutuandone talvolta perfino l’intitolazione, cfr., ad esempio, la serie degli Ideogrammi). Ogni collaborazione presuppone un’operazione di mediazione: lavorare sulla traccia fornitagli da Perilli in questa circostanza ha significato ritagliarne per sé la possibilità di una lettura in forma di collage: “il valore di “collage” mi è parsa l’unica interpretazione possibile e coscientemente accettabile”.
Per fare chiarezza su quell’affermazione conclusiva di Clementi, vero e proprio luogo programmatico nella genesi dello spettacolo, è necessario rifarsi alla corrispondenza epistolare Perilli/Clementi (le lettere si custodiscono presso gli archivi privati dei due autori, a Roma presso l’abitazione di Clementi e a Orvieto presso la casa di Perilli): il carteggio si snoda lungo il periodo 1959-1961 e si arresta pochi mesi prima della stesura definitiva dell’opera e della sua mise en scène. Nel cuore di quella nutrita corrispondenza lungo l’asse Roma-Milano si situano due lettere cruciali, rispettivamente datate 257II/1960 e 3/III/1960:
[Roma], 25 febbraio 1960
Caro Aldo,
Ti mando un primo schema generale.
E’ molto confuso, ma può servire per iniziare una trattativa. Primo per sapere se la direzione in cui sto lavorando ti va, secondo se approvi i molti trucchi cui sono ricorso per animare lo spettacolo. Terzo se il piano generale ti convince. I molti punti da risolvere ti appariranno subito, ma a me interessa ora lo schema generale. Fino al numero 6 il tutto mi pare ben risolto e aspetto una tua approvazione per realizzare bozzetti e disegni definitivi 7 e 8 richiedono un maggiore approfondimento
9 è tutto da risolvere anche nei passaggi
10 mi pare una buona idea
11 e 12 possono anche essere cambiati.[3]
Ora, pur tra molti simboli avrai compreso la grande ambizione dello spettacolo. Rendere visivo il processo di creazione dell’uomo dall’informe che si autodistrugge per realizzarsi in una forma superiore
l’uomo e tutte le sue complicazioni
l’uomo massa preso poi come campione e analizzato fino ad arrivare al nulla assoluto, al vuoto.
Tutto questo è ancora balletto o è già una nuova forma di spettacolo?
È certamente complesso ma non difficile a realizzarsi. Ogni passaggio e ogni idea è nata già realizzabile.
Ora manca tutto, i tempi, i disegni, i fondi, ogni cosa. Ma per procedere voglio sentire le tue obiezioni.
Dovresti rimandarmi lo schema che ti ho fatto con le varie osservazioni. Dimmi soprattutto sinceramente come ti pare l’idea centrale, quella che origina il movimento. E fammi sapere come vanno le trattative.
Ciao Achille[4]
Milano, 3 marzo 1960
Caro Achille,
avrò finalmente l’appuntamento sospirato per il giorno lO Marzo: spero che vada bene; il nostro progetto presenta tutti i sintomi della “novità”, sia di stile che di tecnica.. Il tuo progetto va benissimo, almeno come nucleo generatore: ho molte obiezioni da fare, e mi riesce difficile parlarne per iscritto, ma tenterò. Comunque se la cosa va in porto, sarà bene che ci rivediamo, perché anche a me sono venute tante idee, dal punto di vista della “respirazione” musicale. Dunque: vorrei evitare sia il senso della successione in “quadri”, ciò che creerebbe un arco tradizionale e quindi in contraddizione col tipo di linguaggio usato da ambedue: non si deve evitare solo un “crescendo” e “diminuendo” della vicenda, ma anche un “simmetrico” formarsi e sformarsi di essa; evitare un tipo di vicenda che sale ? per poi scendere ? e qualunque sapore di graduali passaggi dall’astratto ? al figurativo e di nuovo ? all’astratto. Per giustificare stilisticamente l’immissione (nn. 5-6-7-8-10) di riferimenti alla realtà (quale che sia il senso che ci sta dietro) bisognerebbe dare ad essi un valore di puri e semplici “collage”.
Cioè la loro esplicita “estraneità” nel seguito più generale del lavoro, li giustificherebbe, darebbe loro legittimità. Questo – grosso modo -, se sei d’accordo, dovrebbe essere un punto fermo!
Da un punto di vista musicale, figurativo e d’azione scenica (le tre leve di cui disporremo) bisognerebbe articolare i tre elementi del tuo progetto (formazione e sparizione del caos, l’uomo, l’annullamento finale) come tre “voci” Per esempio: (condensando grossolanamente le tre voci)
1) verrebbe annullato l’orribile (musicalmente.) senso del prima e del dopo
2) la vicenda non avrebbe un solo arco – e per giunta simmetrico -, ma circolerebbe all’interno della risultante (delle forze!) in innumerevoli situazioni
3) Dando una respirazione diversa ai tre elementi, si potrebbe ridurre B) al vero ruolo di citazione, di larva
Niente vieta (vedi le due frecce nello schema) che momentaneamente si possa rendere esplicita la vicenda: cioè a tratti, poche volte, o una volta sola, verrebbe fuori il “senso” del lavoro, la sotto-traccia
# Tutto il resto che ho da dire riguarda le “novità” da realizzare cioè il ritmo generale e il ritmo dei particolari.
Per il primo si vorrebbe stabilire un vero e proprio copione visivo-musicale in cui si contrappunterebbero A B C visivi + A B C musicali: un continuo contrappunto a “6 voci”, in tutte le combinazioni (anche una “voce” sola) con varie dialettiche tra l’immobilità e il movimento (in tutte le gradazioni), l’isolamento e la contemporaneità, la musica e il silenzio etc.
Per il secondo si dovrebbe ricorrere oltre che a un sacco di soluzioni tecniche, di scena, a un’equivalenza tra spazio e tempo, distanza-velocità e valore di durata musicale. Per es.: al n. 8 (dove parli del tapis roulant) si potrebbe, inoltre, costruire un’infinità di binari nella scena con infinite traiettorie (di cui tu disegneresti i vari tracciati) e su cui quelle figure, veri manichini, con un’incredibile varietà di velocità, distanze, percorsi, determinerebbero un vero e proprio balletto meccanico, meccanico nella tecnica, ma quanto mai fluido nella realizzazione. Tecnicamente è tutto risolvibile. Hai pensato al regista? Il quale regista dovrebbe non realizzare come di solito fanno i registi, ma, più che collaborare, avere la modestia di diventare la nostra vittima. Non credo che potremo fare a meno di un regista, se non altro, pensando alla difficilissima tecnica delle luci in teatro.
Insomma, tante cose ci sarebbero ancora da dire, e, come vedi le mie non erano solo obiezioni.
Comunque, scrivimi se sei d’accordo sulle mie critiche e proposte e, se puoi, per l’appuntamento del 1O, vedi se puoi mandarmi qualcosa che faccia più “effetto” su quell’organizzatore, magari una sintesi-immaginativa di tutto lo spettacolo, condensato anche su un solo bozzetto a colori, traendo possibilmente (dopo) i diversi “quadri” e stabilendo una successione (come nella musica scritta) da sinistra a destra.
Questo nel nostro interesse!
Allora, in attesa di riscriverci,
tanti cari saluti
Aldo[5]
Le due lettere trascritte contengono consistenti anticipazioni circa l’effettiva stesura del lavoro, vale a dire circa la messa a punto da parte di Perilli di quella sorta di partitura scenico-visiva dello spettacolo costituita dalla duplice serie di bozzetti, con il disegno delle dodici scene e le relative indicazioni di forma, di colore, di luce, di movimento, di durata, [6] e la redazione della partitura musicale da parte di Clementi. Alle annotazioni di carattere propriamente drammaturgico (in ispecie la lettera di Clementi mi pare contenere la prima formulazione di una personale concezione del teatro musicale, che subir aggiustamenti e precisazioni negli anni a venire, pur mantenendosi fedele all’impostazione originaria), si aggiungono quegli elementi di mancata coincidenza, evidenziatisi da subito attorno alla questione del teatro astratto, fluido, non direzionale, centrale nelle dichiarazioni di Clementi e attorno al racconto, a quel processo di costruzione dell’uomo divenuto poi relitto e memoria sino “al nulla assoluto, al vuoto” in Perilli.
I due artisti sentono comunque di doversi reciprocamente confermare il carattere innovativo dell’esperienza in atto (se Perilli suggerisce in forma interrogativa: “Tutto questo è ancora balletto o è già una nuova forma di spettacolo?”, Clementi opta, dal canto suo, per la formula assertiva, dichiarando che “[É] il nostro prodotto presenta tutti i sintomi della “novità”, sia di stile che di tecnica”).Ciononostante le divergenze affioranti sin dal ’60, e poi ancora riscontrabili nelle dichiarazioni meno esplicite degli autori nel ’61, hanno segnato ab origine la vicenda di Collage e la sua effimera comparsa sugli spalti romani: Collage ci appare oggi come il frutto di due progetti drammaturgici distinti e non propriamente coincidenti ed è lecito supporre che tale duplicità di fondo abbia indebolito la qualità del prodotto finito in misura inversamente proporzionale all’irrobustimento della sostanza concettuale dell’opera.
È interessante notare come la messa a punto di Collage abbia coinciso con la ricerca sul piano operativo di un’enorme quantità di soluzioni tecniche che potessero incrementare la resa scenica del lavoro (mi riferisco all’utilizzazione di sagome, sculture in movimento, mobiles, lanterna magica, film, tapis-roulant, etc.) ed in maniera altrettanto cruciale con una definizione di ordine concettuale e finanche terminologico del manufatto in lavorazione (balletto meccanico?, balletto astratto?, azione visiva?). Dopo aver sfiorato i grandi temi della tradizione ormai consunta del teatro d’opera, vale a dire di una forma di spettacolo musicale vincolata alla presenza delle voci-personaggio, e del balletto (spettacolo di sole musiche, perlopiù sprovvisto di voci, destinato ad essere danzato), gli autori hanno optato per una soluzione radicale di azzeramento della presenza in scena dell’uomo, cantante o ballerino che sia (l’uomo semmai ritorna in forma di citazione, di collage appunto, nelle strutture vagamente antropomorfiche, nelle immagini proiettate, nella sequenza filmica, nelle sagome di cartone variamente circolanti in palcoscenico lungo i binari predisposti). La riflessione attorno a queste questioni porterà ad un ulteriore approfondimento da parte di Clementi che, a qualche anno di distanza dal mancato esperimento romano, consegnerò a Luigi Pestalozza – curatore dell’inserto dedicato al nuovo teatro musicale del “Verri” nel ’64, un breve ma fondamentale testo sulla sua drammaturgia musicale.
Il teatro musicale rimarrà un’aspirazione costante per l’artista, un luogo suggestivo di richiamo proprio per quelle implicazioni visivo-gestuali cui congenitamente aspira tutta la sua musica: il teatro è, infatti, il luogo più scopertamente destinato ad ospitare una materia sonora pensata fin sul nascere per essere una musica da vedere, un dettaglio ingrandito da ritagliare e contemplare. [7] L’idea poi che la gestione della macchina scenica vada affidata ai tecnici-musicisti, capaci di leggere in partitura il proprio intervento (alla stessa stregua di una parte musicale), contribuisce in un certo senso ad accentuare quel carattere di astrattezza che era già stato dichiarato come uno dei fondamenti dell’esperienza Collage, vieppiù accentuatosi nelle riflessioni condotte a posteriori grazie alla disamina degli esiti mancati del lavoro e alla conferma – semmai ce ne fosse stato bisogno – del ruolo primario giocato dalla musica nella definizione della scansione temporale dello spettacolo:
In un odierno teatro musicale, i diversi ingredienti non dovrebbero avere altro significato che in un certo tipo di collage (pensiamo a Schwitters dunque) i vari materiali: origini diverse, ma vicendevole integrazione [É] I materiali di varia origine devono essere tutti movibili per entrare anch’essi legittimamente nella dimensione primaria della musica, il Tempo: e cinema, accorgimenti scenotecnica, oggetti mobili, luci, lanterna magica, mobiles devono possedere all’interno e reciprocamente delle scale di valori; collaborazione, quindi, con artigiani e conseguenti progettazioni di apparecchiature manovrabili da musicisti 8ci˜, ripetiamo, in quanto tutto quello che rientra nel Tempo è dominio del musicista): in questo senso è auspicabile uno studio anche da parte di pittori, registi, ingegneri, architetti, ecc. La scenotecnica, allo stato attuale, è ancora macchinistica e macchinosa, praticamente statica: per lo meno rispetto al massimo di fluidità e mobilita ricavabili dalla musica d’oggi. [É] [8]
Le nozioni di “fluidità” e “mobilita”, contrapposte in maniera del tutto sintomatica alla meccanicità delle obsolete macchine sceniche, introducono alle annotazioni conclusive di questo contributo e suggeriscono alcuni spunti ulteriori di riflessione attorno alla redazione delle musiche per Collage.
Vale la pena di ricordare che negli anni di gestazione del progetto Clementi viveva a Milano, ove si era stabilito sin dal ’56 per studiare con Bruno Maderna e per iniziarvi la personale esperienza della musica elettronica nell’allora nascente laboratorio istituito con la denominazione di Studio di Fonologia dell’ente radiotelevisivo italiano ad opera dello stesso Maderna, di Luciano Berio, di un gruppo di tecnici e di ingegneri (Marino Zuccheri, Alfredo Lietti) sodali dei giovani compositori e di un gruppo dirigente sensibile alle istanze dettate dall’avanguardia musicale internazionale. [9] Va detto che Clementi è stato tra i pochi musicisti di area ‘romana'[10] a poter godere di questo privilegio e ad avere compiuto a Milano alcune irripetibili esperienze (analogamente a molti altri artisti della sua generazione) per la definizione della sua poetica e per l’acquisizione di una mentalità nuova del comporre, legata alle novità scaturite dalla interazione con le macchine, con i generatori di suono elettroacustico, con le tecniche di registrazione e di manipolazione del suono mediante il nastro magnetico. La via italiana all’elettronica aveva seguito in ambito milanese, grazie alle esperienze fatte in Germania da Maderna e negli Stati Uniti da Berio, [11] una grande varietà di percorsi, dando vita ad un consistente gruppo di opere nel settore della musica concreta, della musica per generatori elettronici, infine in quello, soprattutto col passare degli anni, delle suggestive misture di suoni acustici e di suoni di sintesi.
La genesi di Collage fu accompagnata dalla messa a punto di un secondo collage (Collage 2, per l’appunto), un nastro elettronico di poco più di cinque minuti (n. 6035, Suvini Zerbini), ascoltato per la prima volta a Venezia nel 1962 nel corso del XXV Festival internazionale della Biennale, ed inoltre dal travaso almeno parziale in ambito romano dei fermenti milanesi e degli indirizzi che la ricerca musicale vi aveva assunto anche grazie allo Studio di Fonologia.
La sorprendente coincidenza cronologica riscontrabile tra la redazione della partitura di Collage e la realizzazione del nastro Collage 2 genera un nuovo ordine di riflessioni circa le tensioni linguistiche di fondo condivise dai due lavori, assimilabili sul piano concettuale e progettuale molto più di quanto non lascino supporre le superfici assolutamente difformi di entrambi. Vorrei soffermarmi in particolar modo sulle modalità assemblative della musica per nastro magnetico, ove il taglio del nastro con i materiali elaborati sinteticamente (o meno) e preregistrati sino al nuovo montaggio dei vari frammenti (vale a dire, concretamente, dei vari pezzetti di nastro) fa del collage una metodica operativa messa in atto a fini espressivi, tensivi e quant’altro. La partitura di Collage nasce analogamente mediante complessi procedimenti di manipolazione del già fatto, taglio-elaborazione-nuovo montaggio di materiali musicali preesistenti, provenienti da Ideogrammi 1 e da Ideogrammi 2. Clementi custodisce diversi fogli di vario formato contenenti il materiale musicale elaborato per Collage, vale a dire estrapolato dalle partiture degli Ideogrammi e sottoposto a vari procedimenti di frantumazione della battuta mediante l’impiego di complesse catene ritmiche.
La tecnica del collage assume ad un tempo valore di parametro cognitivo e di metodica progettuale (cfr. programma di sala del 1961); diviene paradigma dell’intera produzione di Clementi nella sua consustanziale relazione con la pittura e le arti figurative in genere (“il titolo Collage di molti miei lavori non nasce a caso, ma dipende da una tecnica di montaggio compositivo che a sua volta deriva dalla pittura e dall’alea di John Cage. Ancora prima di Cage, comunque, ricordo che vedendo lavorare Maderna mi colpì “della musica elettronica proprio questo: il libero montaggio di parti indipendenti, che si completavano a vicenda senza che ci fosse la necessità di un ordine gerarchico nelle sequenze”), [12] segnando al tempo stesso una profonda linea di demarcazione all’interno della sua produzione, essendo Collage l’ultima tappa generata dalle scelte linguistiche degli anni Cinquanta e Collage 2, la proiezione verso le tensioni dei successivi anni Sessanta.
L’idea di un teatro astratto, che tanto aveva intrigato Clementi negli anni di progettazione di Collage, pare definirsi in totale sintonia con i percorsi battuti allora dalla nascente musica elettronica in Italia (tant’è che proprio in questo aspetto risiede l’assoluta novità del lavoro rispetto alle analoghe esperienze delle avanguardie del primo Novecento). Non può sfuggire, infatti, la singolare affinità d’intenti che lega quei percorsi, derivati inizialmente anch’essi dalle tensioni irrisolte del neowebernismo di marca darmstadtiana e fondati sulla elaborazione progettuale del materiale sonoro in sé, affidato alla gestione da parte delle macchine e non più di esecutori umani, e quell’idea di teatro che, nell’assemblaggio delle sue varie parti, tenta un clamoroso gesto di assimilazione alla musica finalmente realizzata senza il contributo degli interpreti (un teatro senza voci e senza personaggi) e lo fa in un ambito quale quello teatrale, ormai da tempo giudicato impraticabile per le nuove generazioni di compositori ed ora, improvvisamente, in procinto di rinascere proprio nel cuore delle esplosive esperienze della fine degli anni Cinquanta.
NOTE
[1] I ritrovamenti annunciati e la schedatura di tutti i documenti sopravvissuti rientrano in un vasto progetto di ricerca, in corso di svolgimento, a cura della cattedra di Storia dell’arte contemporanea della facoltà di Scienze Umanistiche dell’Università “La Sapienza”, unitamente al Museo Laboratorio di Arte Contemporanea ed all’Archivio storico della musica contemporanea di Roma.
[2] In programma di sala della XXVII manifestazione della stagione concertistica dell’Accademia Filarmonica Romana, Roma, 1961, pp. 5-6.
[3] I numeri si riferiscono alle dodici scene previste da Perilli per lo spettacolo Collage.
[4] Doc. n.5, Appendice, in D. TORTORA, Collage e “L’Esperienza moderna”, “Studi musicali”, in corso di pubblicazione.
[5] Doc n.6, Appendice, in D. TORTORA, Collage e “L’esperienza moderna” cit.
[6] Le due serie di bozzetti, la serie Perilli e la serie Clementi (l’una derivata dal perfezionamento dell’altra), si custodiscono presso gli archivi privati dei due autori.
[7] Cfr. A. CLEMENTI, Commento alla propria musica, in Autobiografia della musica contemporanea, a cura di M. Mollia, Cosenza, lerici, 1979, pp. 48-51.
[8] A. CLEMENTI, Alcune idee per un nuovo teatro musicale contemporaneo, “Il Verri”, VIII (3¡ serie), 1964, n. 16, pp.61-66:62-63.
[9] Cfr. N. SCALDAFERRI, Musica nel laboratorio elettroacustico. Lo Studio di Fonologia di Milano e la ricerca musicale negli anni Cinquanta, Quaderni di “Musica/Realtà”, n. 41, Lucca, LIM, 1997, pp. 57-88.
[10] Aldo Clementi è nato a Catania nel 1925, ma ha completato gli studi di composizione a Roma, presso il Conservatorio di Santa Cecilia, sotto la guida di Goffredo Petrassi [11] Cfr. N. SCALDAFERRI, Musica nel laboratorio elettroacustico cit., pp. 59-63. [12] In Aldo Clementi, Intervista, a cura di B. Passannanti, “Archivio. Musiche del XX secolo”, 1991, n. 1, pp. 57-75: 67.