Una struttura aperta in cinque movimenti senza una trama che li riassembli: questa in estrema sintesi il progetto dichiarato dell’ultima – la quinta – biennale di Berlino. L’apparente stringatezza del progetto o dell’anti progetto è stata rivendicata dai curatori della rassegna, Adam Symczyk e Elena Filipovic, come la sua novità, la sua vera forza, in scacco a quanti si auspicherebbero da simili occasioni quello sforzo in più per aspirare a segnare il presente. Non solo il presente sembra volutamente espurgere da una logica motivazionale, ma con una certa insofferenza si è sottolineata la legittimità del tentare di essere nel presente senza doverne rendere giustificazioni.
“Sono quindi curo”, sembra essere lo slogan asservito dal duo di curatori. Entrambi della generazione dei trentenni venuta recentemente alla ribalta, con un entusiasmo che sfiora a tratti la naïveté del neofita, abbordano la materia complessa dell’arte contemporanea come se fosse la prima volta. Così nella condizione di totale libertà e sostanziale verginità asserita preliminarmente tutto diviene lecito e se si vuole tentare quantomeno di comprendere il fenomeno occorre mettere da parte ogni qualsivoglia obiezione nello specifico merito ed entrare in quello di quello che hanno fatto, di quanto hanno proposto e poi semmai tornare a misurarne l’efficacia e il senso in rapporto ad una consapevolezza del presente che, questa sì, assolutamente, riguarda un po’ tutti e non esclusivamente loro.

Cominciamo con il mettere un po’ d’ordine a partire dai cinque movimenti o cinque elementi della mostra che corrispondono agli spazi nei quali si articola: il KW Institute of Contemporary Art, la Neue Nationalegalerie, il Schinkel Pavillon, il Skulpturenpark Berlin_Zentrum e lo spazio temporale, quello notturno delle più di sessanta notti dell’esibizione Mes nuits sont plus belles que vos jours. Di quest’ultima sede, quella degli artisti delle notti della biennale, qui non tratteremo perché destinata ad essere fruita nei giorni successivi al vernissage, e concepita in progress fino alla chiusura della rassegna, ma è certo che interpreta bene l’ombra, lo spazio arretrato che si voleva interagisse con la vita.

Già le locations di questa Biennale risultano leggermente spiazzanti, eccezion fatta per il KW, sua storica sede. Non altrettanto la Neue Nationalgalerie, il grande trasparente cubo di vetro di Mies van der Rohe costruito nel 1968, capolavoro dell’architettura museale modernista, tempio della luce e del vetro, che ospita una collezione davvero imponente di arte del XX secolo. Proprio dai suoi tratti identitari sommariamente descritti, l’edificio sembra essere scalzato con un allestimento ingombrante della Biennale che concerne proprio la sua parte più aerea, quella che decanta la luce e si staglia sull’orizzonte berlinese con il suo ascetico geometrismo. Ebbene una catena di bandiere al vento ne decora l’esterna cornice perimetrale offuscandone la visione e piegandola a immagine fieristica. È il lavoro di Daniel Knorr decisamente dètournant anche per l’apparente semplice fattura delle bandiere stesse. Analoga cancellazione è della teca d’ingresso concepita per esaltare la cubatura trasparente del volume architettonico e negata dall’invasione delle opere disseminate un po’ ovunque. Alcune particolarmente significative come Items in care items di Gabriel Kuri dove la cura, l’attenzione, è rivolta ai visitatori invitati, per non attardarsi in code e attese, a poggiare i propri capi e approfittare della multipla scultura per concedersi una pausa, o ancora il lavoro di Paola Pivi dal titolo emblematico If you Like It. Thank you. If you don’t Like, I’m Sorry. Enjoy anyway che consta di una griglia metallica divisoria fatta di una struttura di croci nibelunghe rivestite di enormi e chiassosi strass multicolor. Tra il kitsch, l’antiapologetico e forse, anche se vocazionalmente solitaria, una possibile convivenza con il contenitore.

Passando alla Kunst Werke è difficile non osservare immediatamente la forte eterogeneità dei lavori: non un’idea, un tematismo a far da collante, ma un insieme di lavori costretti si direbbe ad una convivenza coatta. In questo, soprattutto, risulta evidente una certa fragilità curatoriale, nel suo complesso. Non mancano anche in questa sede importanti lavori tanto più indipendenti dalla cornice curatoriale tanto più efficaci come Ground Control di Ahmet Ögüt, quando ad essere investita è la totalità dello spazio dei 400 mq del pavimento della hall della galleria con una colata di asfalto. Un viaggio ad imbuto nella storia quello di Sung Hwan Kim nella sua installazione video Summer days in Keijo – written in 1937.

Altra location, la terza tra quelle fin qui prese in considerazione, riguarda il Schinkel Pavillon, come è stato definito “a spectacular historical fiction” che ospita la ricreazione dell’atmosfera intimista della designer Janette Laverrière con l’ambiguità dei suoi specchi e delle sue librerie, nell’insieme la quintessenza della fittizia ricreazione dell’antico e del moderno.
Passando alla sede meno istituzionale, quella di un’area dismessa, lo Skulpturenpark Berlin_Zentrum. Già da alcuni anni ipotizzata come realtà reintegrabile nel tessuto urbano da cinque artisti berlinesi, un vero esempio di Public Art, essa ospita come sede della quinta biennale berlinese alcune opere, interventi sonori, sculture con materiali destinati al riciclaggio, riflessioni sui giorni della caduta del muro nell’installazione container di Lars Laumann BerlinMuren, che forniscono una chiave di accesso alla città di Berlino dalla parte della sfaccettata inquietudine e delle contraddizioni che la attraversano in questi anni di postunificazione.

Lo sguardo d’insieme fin qui sommariamente ricomposto ci restituisce un percorso frammentario, fatto di continue intercettazioni del passato, della memoria e della sua negazione. Ma anche soprattutto del presente e delle sue contraddizioni. Forse anche delle pretese di storicizzarlo e fornirne di continuo adeguata giustificazione. Il metodo prescelto dai due curatori, quello non dichiarato ma che si deriva anche scorrendo sulle pagine del catalogo, appare come vera summa di un pensiero rabdomante che raccoglie spunti ipertestuali, ciascuno dei quali rimanda a possibili infiniti altri senza volontà mai di far quadrare il cerchio. C’è un brano di Francis Ponge, tra i tanti collezionati nel catalogo, che tratta del suo metodo creativo, nel quale Ponge descrive la possibilità di un nuovo tipo di scrittura, in bilico tra descrizione e definizione, a cascata interdipendenti l’una dall’altra. Il suo “partito preso delle cose” mutuato così in questo contesto, scelto ad illustrare un metodo di cura critica, potrebbe per estensione dirsi il “partito preso dell’arte” o, ancora più precisamente, il “partito preso dei curatori della biennale”, giustificando così prese di posizione fortemente anti-dialettiche e sostanzialmente autoreferenziali.

Dall’alto:

Adam Symczyk e Elena Filipovic, curatori della 5° Biennale di Berlino, durante la conferenza di presentazione.

Daniel Knorr, NationalGalerie, 2008
Veduta dell’installazione alla 5°Biennale di arte contemporanea di Berlino, Neue NationalGalerie,
58 bandiere, 360 x 250 cm ciascuna
Courtesy Patrizia Mania

Paola Pivi, If you like it, thank you. If you don’t like it, I am sorry. Enjoy anyway, 2007
Courtesy Paola Pivi, Galerie Emmanuel Perrotin, Paris / Miami
Copyright berlin biennial for contemporary art, Uwe Walter, 2008

Ahmet Ögüt, Ground Control, 2007/2008
Veduta dell’installazione alla 5 Biennale di arte contemporanea di Berlino, KW Institute for Contemporary Art
Asfalto, 400 qm.
Courtesy Ahmet Ögšüt; RODEO, Istanbul
Copyright berlin biennial for contemporary art, Uwe Walter, 2008

Sung Hwan Kim, Summer Days in Keijo – written in 1937, 2007, video still
collaborazione musicale con dogr
Courtesy / copyright Sung Hwan Kim

Janette Laverrière, La lampe dans l’horloge
Veduta dell’installazione alla 5 Biennale di arte contemporanea di Berlino Schinkel Pavilon
Collaborazione all’installazione di Nairy Baghramian
Copyright: berlin biennial for contemporary art, Uwe Walter, 2008

Lars Laumann, Berlinmuren, 2008, video still
Video 28 Min., Englisch/Deutsch, Loop, Farbe, Ton / video 28 min, English/German, loop, color, sound
Courtesy Lars Laumann, Maureen Pailey Gallery, London
Copyright Lars Laumann