Time and a Half
HaMidrasha School of Art Beit Berl College, Israel
A cura di Doron Rabina, Ben Hagari, Giorgia Calò
MLAC – Museo Laboratorio di Arte Contemporanea
Elenco degli artisti e video presentati in mostra:
Oscar Abosh, Untitled, 2006, Video, 5’5”; Tzion Abraham-Hazan, Salit, 2012, Video, 7’; Boaz Arad, Kings of Israel, 2009, Video, 9’38’’; Guy Ben-Ner, Second Nature, 2008, Video, 10’12”; Nadav Bin-Nun, Poetry Meant to Kill, 2010, Video, 4’30”; Ofri Cnaani, Oasis, 2008, Video, 10′; Ben Hagari, Invert, 2010, Film 35mm, 11′; Tom Pnini, Volcano Demo, 2008, Video, 2’46”; Mika Rottenberg, Fried Sweat, 2008, Single channel video, 2′; Lior Shvil, Kosher Butcher -The Confession, 2010, Video, 9′
L’arte israeliana è politica ed esistenziale (..)
In Italia non c’è un’urgenza di esistere; in Israele invece non si può restare indifferenti (..)
E non c’è dubbio che per vivere insieme non si può governare con la forza. Non c’è vittoria con le armi.
E questo gli artisti lo sanno.
Amnon Barzel

La scelta di proporre la videoarte in quanto forma espressiva rappresentativa del panorama artistico israeliano è l’idea di partenza di Time and a Half, una mostra che nasce dall’incontro della curatrice Giorgia Calò con Doron Rabina, direttore della Hamidrasha School of Art, l’Accademia che fa parte del Beit Berl College, e l’artista Ben Hagari.
La mostra, co-curata da Giorgia Calò, presenta l’Accademia israeliana in Italia attraverso l’esposizione dei lavori di alcuni dei suoi esponenti tra studenti e docenti, anch’essi artisti, restituendo un’immagine completa della ricerca contemporanea della videoarte israeliana nella sua eterogeneità sia generazionale che contenutistica.
I dieci artisti affrontano tematiche estremamente diverse, tuttavia la collettiva che si è tenuta fino allo scorso 27 aprile presso il Museo Laboratorio d’Arte Contemporanea possiede un’organicità che deriva dalla presenza dell’identità nazionale, un legame con le proprie radici che si evince all’interno di tutti i video presentati.
In Time and a Half il fattore identitario come elemento costante nell’arte israeliana è un dato importante messo in luce da Giorgia Calò, sostituito dal leitmotiv della pratica disegnativa in quanto espressione di indagini personali in un’altra iniziativa da lei curata, il ciclo di quattro mostre in corso di presentazione alla galleria Marie-Laure Fleisch, dal titolo About Paper. Israeli Contemporary Art.
In questo caso la scelta è rivolta a sette artiste che non affrontano direttamente tematiche geopolitiche, tuttavia il dato territoriale emerge ugualmente attraverso percorsi non necessariamente legati alla politica ma piuttosto concettuali e introspettivi.
Ciò dimostra l’esistenza di un frangente dell’arte israeliana non coinvolto socialmente e politicamente ma che lascia trasparire un retaggio culturale implicito nella personalità dei suoi esponenti; lo spunto di ricerca interessante in entrambe le iniziative artistiche citate è l’indagine delle forme nelle quali la tradizione ebraica trova espressione.
Un esempio su tutti è il lavoro proposto dall’artista co-curatore dell’esposizione e capo della sezione dedicata alla Video Art dell’Hamidrasha School, Ben Hagari. Egli mette in campo una vera “progettazione del negativo”, come lui stesso ha affermato, in cui l’inversione che non riguarda solo i colori diventa concettuale e interpretativa.
Insegnando ad un pappagallo parole al contrario e osservando allo specchio non il suo volto bensì le spalle di un altro uomo, l’artista, non senza una vena ironica, propone allo spettatore un punto di vista diverso e lascia leggere una speranza quando la notte si presenta tuttavia come un’alba. Attraverso questo procedimento negativo il film di Ben Hagari permette all’osservatore di vedere tutto ciò che è mancante e mette l’accento ancora sull’importanza della lingua ebraica, chiave dell’opera, riaffermando di nuovo la convivenza dei concetti di universalità tematica e specificità territoriale e linguistica.
Come racconta Doron Rabina, “Prima degli anni Novanta in Israele non c’era un vero e proprio mercato dell’arte; proprio per questo molti artisti affiancavano alla realizzazione delle loro opere l’attività dell’insegnamento. In qualche modo questo ha formato un’etica per l’artista che ha sentito come suo compito quello di formare la generazione successiva. Anche per questo l’arte israeliana è molto verbale e molto legata al testo”.
L’Hamidrasha School of Art non è solo una scuola sperimentale e multidisciplinare ma, come racconta Doron Rabina, si delinea come un movimento e come “Una voce da cui nascono diversi punti di vista”. L’arte rompe gli argini, si fonde con la vita e diviene un modo di pensare attraverso cui creare una posizione nel mondo, comprendere e cambiare la contemporaneità.
Se la specificità che distingue molte opere d’arte israeliane si lega al concetto di appartenenza territoriale, il mondo culturale ebraico non si sottrae ad una contaminazione culturale ed artistica inevitabile nel contesto di globalizzazione in cui viviamo.
Come evidenzia Claudio Procaccia, direttore del Dipartimento di cultura ebraica e del Museo Ebraico di Roma che ha preso parte al convegno dedicato alla mostra, questo si verifica su due livelli: tra il mondo ebraico e quello non ebraico, ma anche all’interno nel contesto culturale ebraico stesso che non è monolitico ma diversificato.
Il risultato è un’identità culturale forte ma non cristallizzata, ricettiva nei confronti dei cambiamenti nei quali è coinvolta.

    Dall’alto:

Veduta della mostra Time and a Half (MLAC 2012). Al centro il video di Nadav Bin-Nun, Poetry Meant to Kill, 2010; a destra il video di Tzion Abraham-Hazan, Salit, 2012

Oscar Abosh, Untitled, 2006

Veduta della mostra Time and a Half (MLAC 2012). Guy Ben-Ner, Second Nature, 2008

Boaz Arad, Kings of Israel, 2009

Veduta della mostra Time and a Half (MLAC 2012). Ben Hagari, Invert, 2010

Ofri Cnaani, Oasis, 2008