Molte donne in passato sono state al centro in quanto oggetto dell’arte o oggetto dell’artista, come in questo caso di Pascali. E molte donne oggi sembrano al centro della scena concettuale dell’arte – artiste oggetto di se stesse in quanto artiste appunto, ma anche in quanto metafora (o paradosso) reale della azione e ruolo dell’arte in questi tristi frangenti tra oriente ed occidente.
Interessante, decisivo, il contrasto tra quanto vedeva e ci diceva Pascali, diciamo nel decennio 58/68, e quanto possiamo più oltre vedere, toccando figure o immagini o azioni attuali nella stessa tematica di identità non solo inaccettata, ma francamente proprio distrutta.
Chiamiamo “censura di identità” non soltanto quelle identità e femminilità che vengono dichiaratamente cancellate (Pascali; ciò che ha “fatto” Saddam delle donne “inglobate” nel partito Baath o integrate, ma anche quelle azioni od opere che nel darsi sono o una simulazione di identità (diversa) per provocare la maieutica ripugnanza (la artista turca/romana Sukran Moral) o il concettuale svelamento di un problema in campo (la artista polacca Joanna Rajkowska).
Dicevo della enorme differenza. Infatti Pino Pascali, il cui progetto deve essere a mio avviso di non oltre il 1964 (anno delle armature presentate da Tornabuoni Arte a Firenze (1993) e forse risalire agli anni della Accademia, come allievo alla cattedra di scenografia Toti Scialoja ed amico di Alberto Boatto (che poteva averlo introdotto al libro sulle macchine celibi di Michel Carrouges,uscito nella metà degli anni 50), parrebbe muoversi qui in un ambito di angst postinformale e comunque di una cultura dell’angoscia sessuale quale era quella dell’epoca (nascono solo nella metà degli anni sessanta gli anticoncezionali , aprendosi così il mondo della libertà erotica ed amorosa, che non molto più tardi si sarebbe richiuso sotto il terrore dell’AIDS). Non è casuale che la Vergine e la Gorilla non appaiano in scena. Tuttavia il gioco e l’ironia si muovono in più punti, con anticipazioni del teatrino di frutta e di altre meccanizzazioni di oggetti domestici e quotidiani, che esporrà a Firenze a metà degli anni ’60.
Ma che cosa e quanto di simbolico o teorico trasporta questa Vergine di Pascali? Ed in genere il “femminile”? Diciamo, come ho avuto modo di scrivere qualche anno fa,in un saggio dedicato a un taccuino di suoi disegni inediti, che il femminile trasporterà (cioè dopo questa invenzione celibataire) per Pascali il tema stesso della “creazione” e dell’arte: tanto è vero che non è solo del tutto pratico il fatto di aver realizzato “La gravida” insufflando come Dio “fiato” nel palloncino che dal retro della tela gli consentiva di realizzare il pancione estroflesso (ben diverso, dalle tele gobbe di Burri, e dalle tele sagomate di Enrico Castellani). (Qui per amor di filologia debbo dire che è indifferente il fatto che a soffiare materialmente fosse stato il suo assistente di allora Eliseo Mattiacci).
Dicevo, per tornare al suo taccuino,ultima cosa lasciata piena di progetti inediti non potuti realizzare, che il femminile funziona in lui come metafora della creatività stessa almeno fino a questi fogli ultimi del taccuino. Nel taccuino poi, che è invece un vero e proprio decalogo della procedura creativa di Pino Pascali nel momento della sua massima maturità – il 1968 appunto-, ci appare come uno “scambio” di marcia. E’ un taccuino in cui funziona l’automatismo del segno/disegno e della parola che si inseguono associativamente. Nel farne la descrizione/e nel fare la trascrizione completa delle parole “germinali”(come le chiamavo), mi resi conto che la loro rilettura piena e la riflessione attivavano e sollecitavano un moto dell’immaginario “Una forma di impercettibile trasgressione del luogo significante “conforme”, indubbiamente analogo a quello “cercato”, metodicamente praticato e in modi sempre diversi “regolato” dall’artista stesso. In particolare il primo foglio (che poi ha dato il nome a tutto il mio saggio): “tutta la storia è da creare”, è un “racconto del processo di invenzione, nei gradi delle sensazioni reali e fisiche dell’uomo nella natura, al loro ordinamento “mentale”, cui seguirà la “cristallizzazione” nell’opera realizzata. “E’ come tutta la storia di come nasce 32mq di mare circa, esposto nella mostra ambienti” Lo spazio dell’immagine” di Foligno (luglio-ottobre 1967). Si legge:
tutta la storia da creare (cancellato) e, accanto, (cerchiato), ogni tanto (cancellato)calpesto la terra vera con i miei piedi (cancellato) l’acqua piovana ricopre le mie orme dal mare (cancellato) il riflesso del sole mi acceca turchinando in mille puntini (cancellato)mille puntini iridescenti turchinano nelle palpebre chiuse degli occhi (cancellato).
Si legge quindi in colonna:
la terra si specchia nell’acqua
le trasparenze vere
le trasparenze finte
l’acqua monta
a pelo d’acqua
il colore dell’acqua come profondità plastica
l’acqua ricopre
poi:
quadrati mentale e una freccia indica lo schizzo di una griglia già modulare di 6 quadrati (nei cui riquadri sono indicati i colori bianco verde blu).
Essa è inclinata su una superficie marina, di cui si vede in sezione il fondale irregolare (e c’è scrittio acqua e non mare): il sole è in alto a destra: sole. Tra il sole ( la fonte luminosa naturale), il mentale che è l’arte è l’interferenza: è un pensiero che taglia il naturale per poi oggettualizzarsi: tale pensiero sarà 32 mq di mare circa: con l’opera realizzata l’arte inizia il suo viaggio, come dice Pascali in OLIMAN (cfr. f6, dis.):come linguaggio oggetto/linguaggio galleria/linguaggio totale (riinizia il processocreativo, l’atto di libertà)” (Simonetta Lux, Parole di segni di Pino Pascali Ragioni di un catalogo, in PINO PASCALI(1935-1968), Pac, Milano, 1987). Qui voglio dire che questo artista, dando l’incipit del processo creativo e conoscitivo nel fisico e nel sensuale(per poi passare nel mentale, nell’oggettualizzazione, poi nel sistema del sociale, ed infine nel linguaggio totale) perviene a quella centralità che oggi tutti riconosciamo di matrice corporea/sensibile ai processi conoscitivi e quindi creativi ed artistici, e che non poteva venirgli che da quel gesto fisico (insufflare la forma della donna) e da quell’attenzione alla fisicità/concettualità del femminile – che proprio le società e le culture dittatoriali e religiose, come abbiamo visto nei regimi nazisti, fascisti, comunisti ed oggi islamici, espungono.
Non è un caso che più di tutti le donne artiste ,in modi diversi, siano riuscite in questi ultimi decenni e anni e mesi, di deregulation di alcuni dei residui regimi di cui cui sopra, abbiano con grande acutezza messo in scena non tanto la parità, quanto la identità stessa erotico, sessuale,omosessuale, sociale, infrangendo i confini reali e linguistici, simulando ruoli o appartenenze di classe tabù. La finta “libertà” comprata ed “allestita” da Saddam Hussein, sul corpo e sull’anima delle donne di partito o affiliate, le modalità degli ingredienti delle maschere fatte loro indossare,resta a mio avviso il campo , il buco nero da esplorare della psiche dell’uomo politico e del maschio di oggi.

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Dall’alto:

Pino Pascali, particolare de Il Supplizio, 1964

Joanna Rajkowska, Bevande, 2000

Sukran Moral, Dolore, performance 1999