Colonne di Eindhoven
Le Colonne di Eindhoven sono state realizzate in occasione dell’ampliamento e della modernizzazione del centro commerciale della città olandese, accanto ai Magazzini Bijenkorf, che ne costituivano il nucleo originario e la cui facciata in ceramica fu realizzata da Giò Ponti nel 1967. L’ampliamento è stato eseguito dallo studio di Massimiliano Fuksas e le colonne di Eindhoven costituiscono il passaggio tra i due esempi architettonici.

Concorso Città Terzo Millennio
Concorso indetto nell’ambito della VII Biennale d’Architettura, rivolto ad architetti e studenti di tutto il mondo, senza limitazioni, sulla progettazione di un città del Terzo Millennio. I progetti durante il concorso erano visibili su un forum in rete.

VEMA
La città ideale , tra Verona e Mantova, all’incrocio tra i due corridoi europei Lisbona-Kiev, Berlino-Palermo, presentata alla X Biennale d’Architettura di Venezia all’interno del Padiglione Italiano

Franco Purini
Curatore del Padiglione Italiano, che ha dato origine all’idea di una “città ideale”, Vema appunto, quale tema conduttore di tutto il Padiglione.

L’incontro con Massimo Mazzone è avvenuto a Viterbo, nel cortile del Palazzo di Donna Olimpia, durante la presentazione in anteprima di Altre Visioni: Libertà, Politica, Territorio, progetto partecipante alla X Biennale d’Architettura per il Padiglione Venezuelano. L’evento fa parte del progetto Cantieri d’Arte 2006 Ridisegnare i luoghi comuni : una serie di interventi d’arte contemporanea realizzati nella città di Viterbo dal 22 settembre al 8 ottobre 2006, organizzato, curato e promosso da Isabella Aquilanti, Paolo Martore, Marco Trulli e Claudio Zecchi dell’Associazione Universitaria Spatrimonio di Viterbo.

Daniela Voso: Oggi ci incontriamo durante la presentazione in anteprima del lavoro che il 12 ottobre porterete a Venezia in ambito della X Biennale d’Architettura dedicata al tema “ Città Architettura, Società ”, e diretta da Richard Burdett. Si tratta del progetto “ Altre Visioni ”, che raccoglie diversi video suddivisi nelle tematiche di Libertà , Politica , Territorio. Da questo lavoro e dalla lettura del vostro sito www.complotsystem.org emerge una ricerca artistica caratterizzata da una forte sensibilità politica, che solleva tematiche quali il conflitto di classe, la guerra permanente e le nuove strategie di controllo. Quello che vorrei chiederti è in primo luogo se hai qualcosa da aggiungere a quanto pubblicato sul sito a proposito della vostra attività e in secondo luogo di esporre più approfonditamente la vostra posizione in merito alle tematiche appena citate.
Massimo Mazzone: Penso, dalla domanda, che il sito l’hai letto, l’hai visitato, l’hai navigato e hai capito esattamente la nostra posizione: una posizione critica e ironica, perchè di questi tempi è difficile non essere autoironici ed ironici, al tempo stesso, senza tuttavia dimenticare di muovere delle osservazioni e puntualizzazioni proprio sul significato di democrazia, di libertà di territorio, di pace, di guerra di società, domandarsi se l’architettura è ancora un’arte. Domandarsi che cos’è l’arte credo sia sempre utile.

D.V.: In che termini ritenete che la vostra operazione possa influire sul piano pratico?
M.M.: Noi speriamo che questa azione abbia una qualche influenza su qualche altro piano. Però, come in ogni dialogo, ciò dipende anche dall’interlocutore e da tanti fattori. Noi abbiamo portato avanti dei progetti utopici, alcuni dei quali, per esempio grazie a Fuksas, sono stati realizzati: sono diventati reali, praticabili, esistenti. Mi riferisco al Museo Tuscolano ; al modello gigante, praticabile, della scultura modello di Eur Floating space ; alle colonne del Piazza Center di Eindhoven , dove si crea un Meeting-Point: una piazza che si chiama “Piazza” in Italiano, in Olanda. Per cui, con un po’ di fortuna, ci sono delle possibilità, tra gli interstizi, di intercettare delle opportunità reali di intervento. Tuttavia il territorio che noi prediligiamo è quello dell’utopia, ma questa predilezione è un po’ anche l’unica chance .

D.V.: Quando parlate di voi ci tenete a sottolineare che non siete un gruppo, pur lavorando insieme, come vi definite?
M.M.: Noi non siamo un gruppo, non siamo un’associazione culturale, non siamo una società, non c’è un manifesto. Complot SYSstem è un processo abbastanza aperto e indipendente, dove ognuno dà il suo contributo: si tratta di architetti, artisti, progettisti, persone interessate al fatto artistico e alla sperimentazione di una dimensione che vuole essere emotiva, proprio per affrontare, scherzando e facendo sul serio, alcuni temi che risultano interessanti.

D.V.: Quindi, voi, come “ processo emotivo”, a cosa mirate con esattezza? Volete suscitare, oltre agli effetti concreti sul territorio quando possibile, qualcosa nelle coscienze collettive, creare pensiero?
M.M.: Non lo so, mi sembra troppo importante come premessa…nel senso: l’opera in genere parla in sè, parla da sè, parla al di là dell’autore: l’interpretazione è libera quindi, non c’è dal punto di vista nostro, di partenza, un’aspettativa certamente, nè di un successo, nè di suscitare uno scalpore, nè un’interesse…Penso che delle cose dell’arte non interessi veramente niente a nessuno.

D.V.: Come vi porrete all’interno della Biennale a Venezia?
M.M.: Ecco per esempio, sul ruolo della Biennale di Venezia: noi presentiamo un progetto in una Biennale. Il direttore di questa Biennale Internazionale è Richard Burdett, che è noto al grande pubblico anche per essere il consigliere di Blair per l’architettura. Ecco noi siamo proprio persuasi che Blair sia il consigliere di Burdett e non il contrario. Noi crediamo, ci pare di vedere, che spesso i direttori di qualunque cosa non dirigono niente, ma sono diretti dalla politica. Cioè attraverso queste commissioni il sistema protegge sé stesso.

D.V.: E quindi in base a questo?
M.M.: In base a questo noi facciamo un’operazione pirata , corsara : uniamo un cartello di sponsor morali , nel senso che non abbiamo ricevuto finanziamenti, e presentiamo un progetto che è ospite del Padiglione Italiano, nel bookshop dell’Arsenale, che poi sarebbe di una nota casa editrice, quindi molto a lato, fuori di ogni patrocinio istituzionale, nonostante la sensiblità, il sincero aiuto che in questa direzione ci ha dato Pio Baldi della DARC. E paradossalmente noi facciamo una cosa ufficiale, proprio nell’ambito della Biennale, con il Padiglione Venezuelano, col quale avevamo avuto un rapporto molto superficiale, che invece si è concretizzato dopo l’inaugurazione di questa Biennale.

D.V.: Cosa pensi del fatto che a Venezia si discuta un tema come questo “Città, Architettura, Società”, in un periodo in cui l’amministrazione della città è oggetto di polemiche interne per l’aumento dei prezzi delle case che sta cusando la fuga dei veneziani dal centro da un lato, e per il discusso progetto del Mose dall’altro?
M.M.: Mi sembra che quello che accade a Venezia, nel senso ai veneziani, non sia interesse di nessuno. La Biennale ospita delle mostre, queste mostre impongono delle domande, spesso vecchie. A parte Fuksas nel 2000 con Piu Etica e Meno Estetica ( Less Aesthetics, More Ethics ndr), che ha avuto delle aperture di orizzontalità: penso ad Acconci, penso a Nannucci, al Concorso: Città terzo Millennio , che è stato un fenomeno rilevante e non solo mediatico . E quest’ultima mostra pone di nuovo il problema: attraversi l’arsenale e finisci con un punto interrogativo, ma la risposta che surrettiziamente viene suggerita è di rivolgersi alle banche, quali depositarie del processo di salvazione…come dire: -Il capitalismo, ci salverà-. Questa è la tesi di Burdett in definitiva: una parata militare retorica, ispirata da qualche avanzo di Guerra del Golfo, cose di questo tipo. Dall’altro canto c’è il Padiglione Italiano con Vema , ed è lo stesso discorso: questa città immaginaria, che nasce sullo snodo infrastrutturale tra il famigerato Corridoio-Uno Palermo-Berlino compreso il ponte, e quello Lisbona-Kiev , che ha causato un mezza guerra civile nelle valli, per la Tav e di cui non c’è traccia ovviamente nella mostra, ma solo un grande plastico. Un’idea interessantissima se l’avesse fatta un ragazzo di vent’anni, così diventa un po’ autoreferenziale con tutto il rispetto che portiamo a Franco Purini. Poi ci sono gli altri eventi: Città di Pietra , Città Porto , dove tra una cosa e l’altra ogni tanto ci sono anche dei pezzi di architettura interessanti, però ecco io trovo tutto molto scollato poi dalla realtà sociale.
Intendo dire semplicemente che il Potere si rappresenta con grandi mezzi, grandi esposizioni, grandi cantieri e quindi c’è una “ urbanalizzazione ” diffusa nelle periferie; poi ci sono queste astronavi aliene che precipitano nel centro storico delle città italiane.

D.V.: A quali ti riferisci in particolare?
M.M.: A tutte: l’Auditorium di Roma, il Maxxi, l’Ara Pacis, ma anche la Stazione di Siena: sono delle operazioni di pessimo gusto perchè tra vent’anni saranno già vecchie.

D.V.: Intendi dal punto di vista architettonico formale o dal punto di vista del legame con il territorio?
M.M.: Il legame con il territorio non esiste neanche oggi. Voglio dire: mentre si costruisce l’Auditorium è la società che lo paga, nel suo insieme, non mi interessa chi sia l’ente banditore: nello stesso momento viene cancellata l’istruzione musicale dalle scuole pubbliche, adesso opzionale, e poi non ci sarà più neanche come opzionale. Quindi se lo stato con una mano cancella l’istruzione artistica musicale, la costruzione di qualunque Auditorium diventa grottesca. Se si promuovessero l’arte, la musica, gli istituti di alta cultura, sul territorio, io vorrei anche un auditorium per quartiere. Poi se lo fa Renzo Piano, ben venga ne sarei felice, sarei ancora più felice se lo facesse un ragazzo di ventisei anni, ma questo non accade.
Il problema è il buco intellettuale della politica che surrettizziamente delega all’ archistar , la soluzione impossibile di una questione che in fondo non lo riguarda. Cioè: l’architetto non ha questa capacità di influenzare delle decisioni sul piano politico, però ha la capacità di mettersi in coda, di diventare ordinato, ubbidiente, e di promuovere un’immagine trasparente, come quella che le banche danno di sé: uffici di vetro, ma impenetrabili. Cioè penetrabili con lo sguardo e impenetrabili con il corpo e anche con la coscienza. È noto quanto queste strutture siano oscure, basta leggere un estratto conto di una banca no? È illeggibile, per cui loro sono oscuri, ma non si presentano fortificati: si presentano con il cristallo.

D.V.: A Venezia interverrete solo nell’ambito della Biennale o avete in programma altri interventi in luoghi non convenzionalmente deputati all’arte?
M.M.: Per il momento no, ma non escludiamo a priori una nostra partecipazione a luoghi di questo tipo. In passato abbiamo fatto dei lavori all’Esc, all’Ex-Mattatoio durante l’occupazione della facoltà di Architettura; nel Campus universitario della Sabanci University di Istanbul. Per noi non è un problema di luoghi, ma di contesto: se c’è un contesto accettabile un posto vale l’altro.

 D.V. : Torniamo al vostro lavoro: voi avete usato media diversi, tra cui il video, come in questo caso.
M.M. : Il video è un’esperienza nauseante. Noi usiamo il video perchè di questi tempi non ti fanno usare altro.

D.V.: Che significa?
M.M.: Non apprezzo la video arte, infatti noi non la facciamo. In questo caso abbiamo soltanto raccolto delle cose. Perchè costa poco, poi la vogliono vedere tutti in cinque minuti dopodichè s’annoiano…giustamente…cioè: la video arte è quella cosa che quando tu la incontri in una mostra vedi quei tendoni neri e te ne vai subito via alla sala dopo, giustamente! Però, il discorso è che con poche migliaia di Euro riesci a mettere insieme un prodotto, e l’interlocutore è contento perchè ha un prodotto. Magari, poi lo porti pure alla Biennale.

D.V.: Come state facendo voi.
M.M.: Certo! Tu prova a portare un dipinto ad olio alla Biennale. In quel caso puoi capire che la democrazia e l’orizzontalità e l’apertura mentale è solo formale, non è sostanziale. Ci sono dei tabù: tu puoi portare delle foto, delle installazioni, delle cose sanguinolente, pornografiche, però se tu porti una cosa bella, fatta ad arte non vai da nessuna parte. Lo slogan potrebbe esser quello de “ la Società dello Spettacolo ”, ma è solo “ Intrattenimento ”. Cioè la pittura, un dipinto lo devi guardare, c’è bisogno di tempo, pensa a Bosch, ti trovi davanti Bosch non è che ti dice tutto in un attimo, puoi guardarlo cinquecento anni ed ha ancora qualcosa da dirti. Un esempio dei nostri interventi sono le Colonne di Eindhoven: più di trecento tonnellate di COR-TEN, su dodici colonne alte 25 mt. tengono un cielo di vetro grande quasi come un campo da calcio, non è un monumento, è temporanea da contratto: tra vent’anni verrà smontato, così non ne rimarrà traccia, se non forse nei video rimarrà il documento di quello che abbiamo fatto: una piazza coperta, in un paese con un clima rigido, ma nell’Europa che si sta scaldando. Magari fra vent’anni quello che oggi e uno shopping center sarà tornato ad essere una fabbrica o una scuola o un altro luogo e si smonteranno anche le nostre colonne e magari le farà un altro che io spero abbia meno di un quarto di secolo.

D.V.: Quindi voi siete per il rinnovo…
M.M.: Noi siamo per il prepensionamento. Di tutti. Dovremmo pensare alla terza età come un periodo d’oro in cui riposare.

D.V.: Progetti futuri? Ne avete in cantiere, ti va di parlarne?
M.M.: Sì, Francesco Cellini, che e il principale motore di questa iniziativa del progetto Edifici concettuali e architetture: i modelli di rappresentazione della città immaginaria e della città reale che viene presentato a Venezia insieme a questa proiezione che si chiama Altre Visioni , di cui questa di Viterbo è l’anteprima, presenta un ciclo di conferenze che si terranno quasi tutte a RomaTre e in altre facoltà in cui interverranno Toni Negri, Baudrillard e altri. Oltre al ciclo di conferenze abbiamo in programma l’esposizione di due mostre in Sudamerica, a Caracas e Buenos Aires in due sedi da stabilire. Si tratta di un Guggenheim di cartone, parodia del celebre Guggenheim di titanio (Bilbao ndr ) e di una città di libri, Complot City , che è questo nostro lavoro in scala da uno a duecento, allegoria dei cinque sensi, fatta di libri, di VHS di profumi, in cui riprendiamo il tema antico dell’ Allegoria dei sensi , molto rappresentato dall’arte laica attraverso i secoli, da Lo spinario, il ragazzo che si toglie la spina dal piede, a certi vasi di fiori fiamminghi, opere nate per un altro pubblico.

D.V.: L’ultima domanda che vorrei fare è sul vostro nome. Da cosa nasce e quanto c’è di sarcastico?
M.M.: Il nostro nome e un gioco di parole: un “com” seguito da un punto, parodia del punto-com; l’S.O.S. diventa S.Y.S.: Save Your Soul, però letto tutto insieme diventa complotto del sistema del complotto sempre degli altri, perchè insomma noi non siamo niente anche volendo, per cui facciamo solo un gioco di parole.

Viterbo 6 ottobre 2006

 

 

Dall’alto:

Complot S.Y.S.tem, Colonne di Eindhoven, Acciaio COR-TEN A e vetro, 12 colonne e tetto di cristallo, h. 24 mt. Piazza Shopping Centre, Eindhoven, Olanda, 1999-2004.

Complot S.Y.S.tem, Complot City, tecnica mista, dimensioni variabili, Casa dell’Architettura Acquario Romano, agosto 2003.

Complot S.Y.S.tem, Complot City, tecnica mista, dimensioni variabili, Torretta Valadier, luglio-agosto 2003.