Note
1 Achille Bonito Oliva ha recentemente scritto sui quotidiani su questo tema e le sue frasi sollecitano alcuni problemi che possono essere qui affrontati.
2 Si veda in Luxflux Prototype Arte Contemporanea, settembre 2003, Gangemi editore, Roma 2003.
La cura di una mostra d’arte contemporanea consiste in molteplici attività in massima parte di natura pratica. Il modello curatoriale che maggiormente si è affermato in questi anni ha di fatto sganciato la sua operatività dal sistema critico, e questo ha causato una divergenza fra attività critica – analisi e giudizio sulla forma e sull’estetica dell’arte – e attività curatoriale in senso stretto – selezione ed allestimento espositivo [1] -. Il primo a mio avviso è quello sulla possibile gerarchia fra i due generi: è un discorso che attiene ad una visione del mondo poco aderente alle nuove tendenze in atto e meraviglia – ma è una meraviglia simile a quella causata dalle malattie – che sia proprio Bonito Oliva, autore che ha spaziato fra i diversi allestimenti e le letterarie presentazioni a fornirci una lettura ufficializzata che “oppone” sistema curatoriale a modello critico. L’arte contemporanea ha frequentato il contesto politico assumendo in forma di legge non scritta ma rispettata quella di una moralità e di un’etica del giudizio all’interno della quale non possono definirsi gerarchie di qualunque tipo. Allo stesso modo dell’arte contemporanea il contesto della critica, quando si tratti di critica e quindi di giudizio etico e di estetica sulla radice del mondo interpretabile a partire dall’oggetto d’arte, ha sottolineato il concetto di “politically correct” e ne ha fatto dai primi anni Novanta una delle basi solide e teoriche sui modelli espositivi. Pensare quindi che esista una priorità del giudizio sopra ogni cosa e che poi esistano modelli di rappresentazioni dovuti alla professionalizzazione di questo modello è un pensiero illiberale, antidemocratico e di stampo accademico; preraffaellita. Il sistema dell’arte contemporanea non è certamente estraneo alle tendenze sopra descritte, ma un atteggiamento, a volte anche di ipocrita rassegnazione ha sempre frenato queste tendenze. Se noi descriviamo due ambiti, quello curatoriale e quello critico, e poniamo in ciascuno di essi un valore definito in base ad un metodo di rappresentazione, questo valore ci darà di volta in volta il quoziente relativo al modello di rappresentazione proposto; in altre parole se valutiamo il sistema critico con le armi del contesto curatoriale queste ci sembreranno inferiori, ma se valutiamo il contesto curatoriale con i riferimenti del sistema critico le cose si capovolgeranno. La complessità, i non luoghi, l’oblio, il narcisismo e poi ancora teoria della frammentazione, dell’interstizialità e dell’odierno dislocarsi dell’evento artistico ed espositivo non permetterebbero in alcun modo di creare una categoria definita che possa valere in modo ottimale e senza distorsioni per la valutazione del profilo critico o per quello curatoriale. L’ispirazione gerarchica ed antidemocratica, quale spinta radicale e reazionaria in atto nella nostra società, spinta che come vediamo ed appuriamo è trasversale politicamente, ha un suo valore solo in quanto ispirata ad una società fondata sul terziario avanzato in cui l’imprenditoria della produzione di servizi ha il sopravvento sull’azione anche collettiva dei singoli riuniti. Da qui il contesto curatoriale emerge nella sua transitoria ineluttabilità e nella sua pochezza di principi,quando ispirati alla logica manageriale, ma rappresenta soltanto una parte e non delle più esplicative, della ragione curatoriale. Ragione che è anche e soprattutto critica e non potrebbe essere altrimenti. Le sollecitazioni alla separazione servono sostanzialmente per favorire la tecnica insita nel trasformare l’intuito critico o l’istinto curatoriale in emergenze professionali in cui non è necessario stabilire un grado minimo di talento. D’altra parte una cosa è sistematizzare un contesto curatoriale quale quello della contemporaneità, mentre altra cosa è trasformare questa sollecitazione in strumento disciplinare che possa dare sbocchi professionali e creare un livello qualitativo e culturalmente avanzato al contesto sociale. Si tratta quindi di due cose differenti; il contesto curatoriale, come sottolineato da Simonetta Lux è quell’area in cui le analisi teoriche dell’arte si esprimono attraverso la logica concreta degli oggetti mentre il contenuto critico si realizza attraverso l’analisi di questi o di ulteriori soggetti. L’ideazione del MLAC nel 1985, quale centro di ricerca e sperimentazione in cui le due tendenze si integrano senza escludersi deve essere vista alla luce di questa certezza, ovvero che non esistano gerarchie di sorta fra contesto curatoriale e azione critica: che la separazione così netta e gerarchica fra le due applicazioni può solo causare un depauperamento dell’azione artistica stessa. Proprio per questo il programma messo in atto da Simonetta Lux [2] con il progetto del MLAC, e il mio successivo impegno a rendere questo plausibile in forma manualistica, vede alla stessa stregua l’impegno curatoriale e la ragione del giudizio critico impegnati nella definizione del curatore storico critico d’arte contemporanea che deve crescere anche nella convinzione etica del suo agire. L’atteggiamento distorto che vuole la priorità dell’uno sull’altro si riflette inoltre nella convinzione sterile che il lavoro degli artisti sia sotto il controllo critico o curatoriale nella creazione di una aggravante gerarchica in cui questi ultimi sarebbero interpretati come prestatori d’opera occasionali e senza reali motivazioni sociali. E per questo lo scopo del MLAC appare anche quello di riavvicinare l’originario progetto creativo delle Accademie, con l’intervento ed il contributo di quegli artisti che hanno già creato una scuola ed una fisionomia della cultura artistica, quali Sergio Lombardo e Fabio Mauri. La realizzazione di un contesto curatoriale che nasce e si ramifica all’interno anche delle scuole artistiche significa dare credibilità e ragione sociale alle istanze creative da sempre represse nelle scuole di storia dell’arte e che invece possono dar vita a nuovi contenuti critici, assumendo l’ibridazione e la contaminazione come preziosi partners. Da una parte la purezza razziale e razzista dei ruoli e delle accademie, dall’altra il meticciato delle intelligenze creative: a questo punta il nuovo contesto curatoriale e di questo il MLAC con le sue attività è il centro propositivo.