L’introduzione di nuove tecnologie nelle metodologie curatoriali ha aperto nuove tematiche di cui possiamo solo intravedere alcune proiezioni a breve termine.

CRUMB
Curating New Media Art
è il sito curato da Beryl Graham

L’intromissione di alta tecnologia nel sistema espositivo dell’arte contemporanea ha realmente aperto nuove immediate prospettive di cui alcune di difficile comprensione. In primo luogo gli eventi ad alto potenziale tecnologico sono per la loro stessa funzionalità estremamente delicati sotto il profilo del mantenimento. Una mostra ad alto potenziale tecnologico implica un curatore che di queste potenzialità abbia il completo controllo. Si potrà ritenere che basti assumere l’aiuto di un tecnico che possa realizzare quanto richiesto ma in realtà bisogna comprendere che nel problema curatoriale non è pensabile che il responsabile non sappia capire in anticipo quali siano gli ostacoli tecnici posti da un progetto. In primo luogo il curatore deve poter progettare un insieme funzionalmente realizzabile, e naturalmente può essere coadiuvato da interpreti specifici i quali eseguano compiti già preordinati, ma non può in alcun modo delegare ad altri lo schema di base del progetto. La consapevolezza tecnologica fa sì che egli abbia perfettamente in mano la situazione e che possa gestire anche le difficoltà sorte nella sua realizzazione; ma è fondamentale che egli sappia esattamente cosa può essere realizzato con gli strumenti tecnici e cosa non si potrà concretizzare. La conoscenza anche teorica di quanto gli strumenti tecnologici possono fare è quindi determinante per la riuscita dei progetti ad alto potenziale tecnologico. Proprio per questo negli ultimi anni, e con l’avvento delle tecnologie informatiche, in particolare delle reti – sia Internet che le reti locali -, si è andata definendo una nuova figura, il New media art curator. Questo profilo è naturalmente consapevole delle innovazioni insite nella sua figura alla luce della storia recente della cura critica; il curator impegnato in operazioni ad alto tasso tecnologico tuttavia ha dalla sua una maggiore responsabilità allusiva alla riuscita delle operazioni e una differente maturità sociale.
Sono attualmente poche le istituzioni nel mondo che si occupano di queste realizzazioni in programmi scientifici e alcune di queste hanno valutato le possibilità espressive dei nuovi media e l’impatto con gli spazi del comunicare, gli spazi dell’esposizione ed il pubblico. Uno dei problemi inerenti la cura specifica è quello della localizzazione dell’evento espositivo. Se da una parte le nuove tecnologie implicano una maggiore libertà di movimento virtuale, di selezione e di modalità espositive, dall’altra parte questo genere di esposizioni necessita di un contesto specifico per operazioni tecnologiche. I materiali necessari sono essenzialmente e basilarmente delicati per cui la sala espositiva, o lo spazio prescelto, hanno la necessita’ di essere attrezzati preventivamente in modo tale che eventi naturali, quali la luce, la pioggia, l’umidità, il vento o la polvere non arrechino danni alle strumentazioni. È anche vero che eventi di breve durata possono essere realizzati in esterni ma al momento la tecnologia impone una circospezione sulle modalità di esposizione. In questo senso la cura tecnologica ha già imposto un differente approccio con le tematiche metodologiche sulle “location” dislocate. La cura d’eventi ad alto tasso tecnologico impone quindi una struttura recipiente che sia comprovata esplicitamente per l’uso di opere ad alta tecnologia. Qui non stiamo parlando di una realizzazione che implichi l’uso estemporaneo di alta tecnologia, quale ad esempio le video proiezioni. In questo caso specifico basta adeguarsi alla semplice regola per cui le strumentazioni tecnologiche non sopportano l’umidità, la polvere ed in genere gli elementi naturali. Ma la New media art è in realtà qualcosa di più complesso; si parla di New media art quando si ha un massiccio uso di macchine computer, videoproiezioni, schermi e monitor, sensori multimediali, reti di connessioni. Tutte queste apparecchiature consentono la realizzazione di mostre in cui i normali rapporti fra fruitore e realizzatore sono trasformati, a volte addirittura capovolti. Una mostra di New media art presuppone che il punto di vista dell’osservatore sia in continua evoluzione, ma diversamente da una installazione a basso contenuto tecnologico, lo e’ anche il punto di vista dell’autore; spesso questi due punti di vista coincidono irrimediabilmente. La New media art vive in questo corto circuito di osservatore/autore che nelle opere “statiche” era invece un punto di forza per la comprensibilità dell’arte. Quando si parlava di intromissione del fruitore nell’opera d’arte, o della sua partecipazione alla realizzazione, in realtà si definiva un percorso già progettato dall’artista. Nella New media art anche l’ipotesi dell’artista declina e si svapora nei contorni più netti e incisivi del curatore, che rimane l’unico vero garante delle operazioni. Come definito nel programma di Beryl Graham [Cfr. www.crumb.org], uno dei massimi esponenti della cura tecnologica, i confini fra opera e artista non sono così identificabili e non lo sono nemmeno nei confronti del curatore. Questi riveste il ruolo di coordinatore di varie congetture lasciate libere di interagire anche casualmente fra spettatore e spettatore, fra artista autore e pubblico. Un progetto sperimentale realizzato per la serie Laboratorio, presso il MLAC, Click Stream Analysis, ha concretamente delucidato cosa sia possibile fare con le nuove tecnologie. In questo esperimento espositivo una serie di computer in rete, collegati a banda larga e quindi con l’accesso a dati ad alta velocità, proiettavano in “video wall” le immagini sottratte alla rete. Un programma registrava i movimenti sui link precedentemente formattati su una pagina web e il pubblico tramite cursore poteva liberamente girare fra le diverse applicazioni multimediali attive nei computer remoti della rete. La connessione ad alta velocità implicava l’insorgenza di immagini e suoni di grande impatto sulle superfici e sull’ambiente espositivo e queste erano particolarmente forti nell’amplificazione sonora e nelle immagini ingrandite dai fasci delle videoproiezioni. Il fruitore era l’artefice della mostra, ponendosi alla guida della strumentazione. Poteva così fabbricare un’opera relativa ed osservarne il funzionamento. Poteva memorizzare i suoi passaggi e rifarli successivamente e poteva indagare il comportamento di quanti lo avevano preceduto. I link posizionati sulla pagina d’apertura però non erano dei collegamenti qualsiasi, ma puntavano su siti realizzati da noti web artisti. In un caso si trattava di un collegamento ad un’opera acquisita dal MoMa di New York e che poteva essere quindi vista e fruita nel medesimo modo e nello stesso istante della sua sede ufficiale. Ma la particolarità non finisce qui. La mostra che coinvolgeva una decina di artisti di fama internazionale sulla web art è stata realizzata senza averli mai contattati direttamente. Si capisce quindi quali e quante siano le implicazioni socio-economiche che la New media art implica. La dislocazione logica, l’impersonalità, l’impalpabilità e la responsabilità dell’evento hanno connotazioni fortemente differenziate.
Una immagine in M-Multimedia, a cura di Lorenzo Taiuti, MLAC 2003

Mathilde ter Heijne, Mathilde, Mathilde, 2000, installazione al MLAC

Click Stream Analysis, MLAC 2001, visione dell’installazione interattiva