“Cosa accadrebbe 
se una donna
dicesse la verità sulla sua vita?
Il mondo
si spaccherebbe in due”
Muriel RuKeyser

 

Inserire la pittura di Frida Kahlo, la straordinaria pittrice messicana, nota alla maggior parte del pubblico come moglie e musa ispiratrice del grande muralista Diego Rivera, in una ben precisa corrente artistica, è un’operazione difficile. La critica ha spesso preferito interessarsi alla sua biografia, così ricca di dolore e sofferenza, e al tormentato rapporto con il marito, che non alla sua pittura. Spesso infatti, si è cercato di individuare nelle sue sofferenze fisiche, la chiave di lettura del suo lavoro, oscurando le coordinate storico-artistiche in cui si colloca la sua produzione pittorica. Il lavoro della Kahlo, così intimo e privato, viene spesso incasellato nel Surrealismo, in quella linea del mondo onirico, in cui lei stessa, forse per comodità, si lasciò etichettare da André Breton, negli anni Quaranta del Novecento. Ma la Kahlo lancia al mondo un messaggio personalissimo.
Definire lo stesso Surrealismo come movimento unitario, è quasi impossibile, ma proprio per l’abitudine della pittrice di esporre l’interno del corpo umano o di ridurlo a porzioni separate, rimanda alle teste decollate, alle mani o ai torsi cavi, visti spesso nei dipinti Surrealisti. La sua visione della vita, si differenzia essenzialmente dal mondo dell’onirico: “Non ho mai dipinto sogni, ho dipinto la mia realtà”.
Una realtà, la sua, di un realismo brutale e violento, di una vita spezzata dal terribile incidente che la vide coinvolta nel 1925, dalle cicatrici e dalla presenza della morte, tratto essenziale della cultura dei Mexica. In nessun altro luogo al mondo, si sviluppò una religione di stato dove arte, architettura e liturgia erano così totalmente dominate dalla violenza, dalla morte, dalla malattia.
Con il terribile incidente, Frida perse tutti i sogni e gli ideali che possono celarsi dietro una ragazza di diciotto anni. Dovette accettare il fatto che sarebbe rimasta semi-invalida per tutta la vita. Il dolore, la sofferenza fisica, il vedere la morte costantemente vicina, alimentano in lei una sensibilità particolare. 
Ma la pittura della Kahlo non esisterebbe senza il Messico. Frida è pienamente consapevole e partecipe della sua cultura. Anche il coinvolgimento nell’ambito del sociale, deriva dalla profonda simpatia che la pittrice nutriva per la gente messicana. In lei tutto è precolombiano. Lo scrittore Carlos Fuentes la definisce una “Cleopatra sfiorita”, un’immagine che bene sottolinea la sua bellezza enigmatica e senza tempo.
La Kahlo si ritagliò un personaggio brillante, pittoresco, teatrale. Le lunghe gonne, che mascheravano le sue malformazioni, i gioielli, grandi e colorati, i vestiti delle donne dell’istmo di Tehuantepec, parte del Messico del sud, le più fiere e coraggiose tra le messicane, le fanno assumere quello stile originale che verrà definito “etnico-chic” da riviste come “Vogue”. Diviene lei stessa simbolo della sua cultura; aveva ben presente che per non essere emarginata, da invalida, doveva stupire, colpendo il pubblico sulla cosa che era loro più cara, la tradizione.
Dietro i dipinti della Kahlo, c’è Guillermo, l’adorato padre fotografo, ci sono le incisioni satiriche di Josè Guadalupe Posada, c’è il retablo della chiesa messicana, ex-voto dipinti da mani umili e devote, che la pittrice collezionava; ci sono infine i maestri del Rinascimento italiano, e la pittura tedesca, che lei preferiva.
A tutto questo bisogna aggiungere Bosch e Magritte: sono loro ad insegnarle che la fantasia richiede un tocco di pennello realistico. La Kahlo aveva una vasta cultura, ma tutto ritorna al suo Paese, dove ogni cosa è arte, dal più umile utensile da cucina, al più superbo altare barocco.
E poi la storia messicana. Sono gli anni della Rivoluzione. Il Messico è un paese nato dalle ferite lasciate dai Trecento anni del viceregno spagnolo, dalla dittatura di Porfirio Diaz e dalla Rivoluzione portata avanti da Villa e Zapata. Sono anni, quelli in cui vive la Kahlo, che vedono sorgere in Messico un nuovo programma sociale e culturale, che apre le braccia al progresso, e che vede come protagonisti proprio i coniugi Rivera. È intorno alla Casa Azzurra, che ruotano i maggiori personaggi del Novecento: Trozsckj, Breton, Siqueiros, Orozco. Quello che tutti gli artisti stavano scoprendo, era che il Messico ha una cultura intatta, dove il passato è ancora presente.
E se la Rivoluzione fu un successo culturale, è perché produsse donne come Frida Kahlo e uomini come Diego Rivera. Lui ha dipinto la storia messicana, ma l’equivalente interiore, è dominio di Frida.
L’attenzione pittorica dell’artista, è essenzialmente focalizzata sul soggetto che meglio conosceva: se stessa. I suoi autoritratti, colpiscono lo spettatore per l’intensità dello sguardo, regale, sprezzante, sicuro, ed è questa l’altra Frida, quella che la Kahlo aveva creato, quando in realtà era una maschera che nascondeva quella falsa sicurezza di cui la pittrice si armava spesso. Ironicamente Frida è sia il soggetto che l’oggetto del suo sguardo, spietato e sottile. La sua opera appare “scomoda”, disturbante, spesso ricondotta al suo immaginario iconoclasta, caratterizzato da nascite e morti sanguinose, feti, cadaveri e organi smembrati. Né la pittrice rifuggiva dal dipingersi in maniera realistica e poco femminile, evidenziando i suoi difetti, rappresentando se stessa in modo insolente con in mano una sigaretta e lo sguardo deciso, o vestendosi in modo anticonvenzionale. Le sue pennellate, estremamente controllate, la rappresentazione di piccoli dettagli, creano un forte contrasto con i temi violenti delle sue opere. Frida creava immagini in cui era sicura di poter esistere; un’esistenza fatta soprattutto di sofferenza.
La riproduzione dettagliata di alcuni oggetti, come le bluse e le camicie tipicamente native, con un’attenzione esagerata per i capelli, spesso arrotolati con variopinti fili di lana, era un modo per comunicare al mondo informazioni sulla sua cultura.
Mescolando elementi di arte nativa e cattolica, mito e simbolo, la Kahlo riflette molti degli aspetti dualistici, che stanno alla base della religione messicana.
La figura straordinaria di questa pittrice, negli ultimi anni è tornata alla ribalta, grazie alle due mostre recenti, quella di Roma nel 2001, e quella del 2003 di Milano, oltre al film di produzione americana; segno che il mito Kahlo, affascina e stupisce ancora oggi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Dall’alto:

Albero della speranza, mantieniti saldo, 1946, Olio su masonite

Autoritratto come Tehuana, o Pensando a Diego, 1943

La casa blu di Coyoacan

Le due Frida, (1939), Olio su tela

Il Cervo ferito, 1946