Il 9 novembre 2009 si è celebrato il ventennale della caduta del muro di Berlino che per 28 anni, dal 1961 al 1989, aveva tagliato in due non solo una città, ma un intero paese.
Tra le tante conseguenze di questo evento storico, che ha cambiato definitivamente la geopolitica mondiale, oggi si menziona anche un fenomeno chiamato Gentrification.
Gentrification Berlino, video di grande interesse, realizzato da Lella Antinozzi e Claudio Marson e prodotto per Rai Storia, proiettato lo scorso 5 novembre al MLAC – Museo Laboratorio di Arte Contemporanea dell’Università “La Sapienza”, a cui ha seguito un interessante dibattito, spiega sapientemente questo fenomeno di radicale trasformazione urbana, dalle inaspettate conseguenze socio-economiche.
Ma la gentrificazione non è da ricondurre solo alla realtà berlinese. Tutte le grandi metropoli occidentali (e non solo) sono state colpite negli ultimi anni da questo fenomeno che vede una borghesizzazione dei quartieri popolari, quelli che una volta erano abitati da operai ed artisti.
A Roma, se tutto ciò ha toccato parzialmente luoghi storici come San Lorenzo, quartiere universitario e residenza di artisti dalla fine della guerra (la cosiddetta Scuola di San Lorenzo) coadiuvati oggi dal sostegno della Fondazione Pastificio Cerere, ciò si rileva ancor di più in quartieri come ad esempio il Pigneto, dove si stanno progressivamente addentrando gli interessi speculativi che determinano incrementi vertiginosi degli affitti e del costo della vita.
Interessante per l’argomento in oggetto è andare ad indagare come un luogo intriso di storia, l’ex ghetto ebraico di Roma, sia uno dei posti più “gentrificati” negli ultimi anni.
La parola “ghetto”, triste simbolo di segregazione, è diventato un ossimoro presentandosi oggi come un centro di aggregazione di personalità e spazi che rendono questo posto tra i più frequentati dalla borghesia romana.
Ciò che resta del Portico d’Ottavia, fatto restaurare da Augusto in nome della sorella, e su cui si erige la Chiesa di S. Angelo in Pescheria, sede delle prediche coatte durante il ’500, è ben poco. Con l’apertura del nuovo millennio questo luogo, dopo una riqualificazione ed interventi di recupero urbano promossi dal Comune di Roma, compreso il Tempietto del Carmelo (nel 2005) ed una ristrutturazione di quasi tutti i palazzi circostanti che hanno fatto salire alle stelle gli immobili, diventa ora palcoscenico e residenza preferita di attori, registi e giornalisti. Un quartiere costituito da una vip class che modella l’ambiente urbano, dove si può incontrare Mara Venier che compra la carne nella macelleria Kosher, Andrea Giordano che fa colazione nello storico bar Totò, il “tronista” Francesco Arca che passeggia mano nella mano con la fidanzata/attrice Laura Chiatti.
L’ex ghetto è divenuto inoltre un pullulare di ristoranti, wine bar e paninoteche kosher che si susseguono lungo via del Portico d’Ottavia, circuendo l’unica pasticceria storica, “Boccione”. I nomi dei ristoranti “Ba’Ghetto” e “La Taverna del Ghetto” vogliono ricondurre l’immaginario collettivo al luogo di insediamento. Tuttavia, pur essendo locali rivolti principalmente alle persone di religione ebraica che rispettano le regole della kasherut, sono in realtà ambienti costruiti intorno alle esigenze degli amanti della cucina araba. Infatti, oltre ad ispirarsi alla cucina giudaico-romanesca, preparano soprattutto cibi orientali.
In compenso pochi mesi fa è stato chiuso un luogo che aveva poco a che fare con la cultura ebraica ma estremamente importante come spazio dedicato all’attività creativa ed artistica: il centro sociale Rialto Sant’Ambrogio, stroncando così un percorso politico e culturale che lo vedeva uno degli ultimi centri sociali attivi in città.
Di rilevante importanza è inoltre la nascita di gallerie d’arte contemporanea che circondano letteralmente l’ex ghetto. Nei primi anni del 2000 le sorelle Bonomo chiudono la galleria trasteverina in comune per aprirne due autonome, una in via del Gesù e l’altra (la galleria Valentina Bonomo) in via del Portico d’Ottavia 13, dedicata alle ricerche nazionali ed internazionali di artisti di chiara fama, alle installazioni e alla fotografia. La galleria risiede all’interno di un antico monastero sconsacrato, chiamato fino a prima della ristrutturazione in maniera spregiativa “il portonaccio” per la fatiscenza e il degrado in cui si trovava, oggi uno dei luoghi più raffinati della zona, il cui ultimo piano è occupato dalla splendida casa dalle immense finestre arcate “a giorno” della giornalista Lucia Annunziata.
Nel 2007 aprono ben altri tre spazi espositivi: in via Santa Maria del Pianto la galleria Chiari inaugura la nuova location con una mostra antologica di Alberto Sughi per poi proseguire l’attività espositiva con mostre di Luciano Ventrone, Alessandro Kokocinsky, Georges De Canino. Con la galleria Edieuropa, Raffaella Bozzini si trasferisce dal quartiere Parioli nel cinquecentesco palazzetto di Piazza Cenci, proseguendo la ricerca del padre, l’editore Lidio Bozzini, verso l’arte astratta.
In via del Portico d’Ottavia 7 apre, dopo Torino e Milano, il terzo spazio di Ermanno Tedeschi che presenta la sua scuderia multiculturale composta da artisti di diverse religioni e nazionalità, con uno sguardo particolare all’arte israeliana.
Nel 2008 Pio Monti trasferisce la galleria di Via dei Chiavari (Il Buco) a Piazza Mattei, una delle piazze più belle di Roma grazie alla presenza della Fontana delle Tartarughe. Per inaugurare il nuovo spazio Pio Monti fa realizzare appositamente delle opere dagli artisti/amici Nicola De Maria ed Emilio Prini. L’attività espositiva prosegue poi con artisti dal calibro di Vettor Pisani, Joseph Beuys e Luciano Fabro.
Via del Portico d’Ottavia è legata a Piazza Mattei da Via della Reginella, vero e proprio punto di aggregazione dell’arte e dell’artigianato. Qui si trova la libreria/galleria Louvre, nonché gli studi di scultori, pittori e corniciai.
In una di queste storiche palazzine a tre piani, ora completamente ristrutturate, alcune delle quali adibite a bed and breakfast, nacque mio padre. Era il 1946, gli ebrei sopravissuti ai campi di concentramento ripresero possesso delle loro abitazioni dopo che, nella mattina del 16 ottobre 1943, i nazisti disposero i camion con cui furono deportati. Quel luogo che li aveva ghettizzati forzatamente da secoli, era diventato dopo la guerra l’unico posto a cui sentivano realmente di appartenere, seguendo un meccanismo psicologico perverso dettato dalla dipendenza e dal ricordo.
Tornando alle gallerie d’arte contemporanea c’è da chiedersi quale sia l’effettiva presa nei confronti dei residenti nell’ex ghetto, il reale rapporto di penetrazione nella città di Roma e nel quartiere in particolare, e come siano percepite le mostre e gli eventi al di là della comunicazione agli addetti ai lavori. Insomma la domanda da porci è questa: un luogo come l’ex ghetto di Roma, dove i muri, i sanpietrini, le fontane parlano una storia centenaria, può divenire un luogo glamour, modaiolo nonchè centro culturale preconfezionato, senza perdere la sua reale entità? Il luogo in cui centinaia di famiglie ebraiche vennero prelevate forzatamente può essere oggi lo stesso, residenza di galleristi e “vip” di ogni genere, sede di ristoranti, wine bar e pub? Quando si percorrono quelle strade ci si ricorda ancora della deportazione o dell’attentato alla Sinagoga compiuto dall’OLP il 9 ottobre 1982?
Come amante e studiosa dell’arte contemporanea, credo sia importante porsi anche queste domande.