Il Drawing Center di New York ha presentato, dal 23 Gennaio al 6 Marzo 2003, la mostra di Giuseppe Penone The Imprint of Drawing, curata da Catherine de Zegher, direttrice della galleria. L’artista, proveniente dall’esperienza dell’Arte Povera ha esposto a New York lavori che ribadiscono la comune essenza che unisce uomo e natura, elemento fondamentale della sua poetica artistica.
La prima opera visibile una volta entrati nel Drawing Center, è l’enorme disegno Spine d’Acacia (Fronte)[Acacia Thorns (Forehead)], realizzato incollando reali spine d’acacia sulla tela bianca, disposte in modo da ricreare le linee della fronte dell’artista stesso, linee che apparivano spezzate e dinamiche, quasi a voler porre in evidenza il flusso energetico che accomuna corpo umano ed elementi naturali, per cui le forme si mescolano e si fondono l’una nell’altra, lasciando solo le tracce di un’identitarietà intuibile dietro il visibile.
La serie di dieci disegni dai quali è tratto il nome della mostra newyorkese, L’Impronta del Disegno, mostrano le impronte dell’artista (un dito per ogni opera) che emergono da una sorta di mappa di venature realizzata in grafite, le quali ricordano le venature dei tronchi degli alberi, le vere e proprie impronte digitali di un albero. Queste impronte sembrano la memoria di un contatto fra corpo e materia e di una presenza che lascia di sé l’elemento identitario più animalesco, più naturale, privo cioè dell’elemento culturale, che viene dato attraverso l’arte. L’impronta è come una traccia sul mondo, il tentativo di estendere il proprio corpo nello spazio della galleria e nel mondo, alla ricerca della forza originaria che unisce uomo e natura, che pervade le linee del disegno, le quali rimandano, reversibilmente, a venature della pelle e degli alberi, così come in Palpebra [Eyelide] sembrano tracciare un sistema vascolare che potrebbe appartenere a foglie, o ricordare le radici di un albero, o semplicemente le pieghe della pelle umana.
La pelle dell’uomo è la pelle della natura, le vene si fondono con le venature, in una ciclicità data anche dai materiali utilizzati: la carta, la grafite, il carboncino.
Penone afferma che quando il dito tocca una qualsiasi superficie, la superficie della pelle si deforma, assumendo la forma del materiale toccato: toccare è scambiare la propria identità con quella dell’oggetto, è perdere una parte della propria identità, il cui ricordo rimane impresso nell’opera.
Mentre l’uomo si affanna quotidianamente a rimuovere le impronte lasciate dietro di sé, a cancellare le tracce del proprio passaggio/scambio, quasi tentando di recuperare la perdita avvenuta attraverso il tatto, le opere di Penone ne conservano la memoria.
L’identità è in esse spogliata dalle identitarietà culturali che regolano il vivere quotidiano, per diventare natura e nello stesso tempo acquisire una nuova connotazione culturale attraverso la dimensione dell’arte, aperta alla significanza, libera da convenzionalità, luogo di scambio, anche per l’osservatore che saprà camminare lungo le linee del disegno, farne parte.

  Dall’alto:

Palpebra, 1977, nello studio dell’artista.                              Carboncino su fibra e gesso cm350 x 1500

Rovesciare i propri occhi, 1970, fotografia
39,5 x 29,5, collez. dell’artista

Studio per Aderire agli alberi, 1968,                             inchiostro su carta, cm 30 x 40, collezione dell’artista

Alpi Marittime, 1968, albero, filo di zinco, piombo

Continuerà a crescere tranne che in quel punto, 1968, inchiostro su carta, cm 30 x 40