Dalla tesi di laurea Gli arazzi delle turbonavi “Leonardo da Vinci”, “Michelangelo” e “Raffaello”, relatore prof.ssa Elisabetta Cristallini, Università degli Studi della Tuscia, Facoltà di Conservazione dei Beni Culturali, Viterbo 5 Maggio 2004.
Due sono i fenomeni che, nel secolo scorso, e più precisamente agli inizi degli anni Sessanta, hanno rappresentato l’Italia nel mondo sotto l’aspetto sociale ma soprattutto, sotto l’aspetto artistico: gli arazzi e le turbonavi; questi due miti, posti assieme, rappresentano uno fra i migliori connubi del Made in Italy. La “Leonardo da Vinci”, la “Michelangelo” e la “Raffaello” sono state infatti da una parte le migliori navi mai costruite fino ad allora in Italia e, dall’altra, il nucleo di arazzi contemporanei per esse realizzati porta la firma dei più grandi artisti italiani. Nel secondo dopoguerra molti artisti, collaborarono all’allestimento degli interni dei transatlantici, sperimentando l’idea di “sintesi delle arti” cioè la collaborazione tra pittori, scultori e architetti, portando a degli esiti molto originali. Il nascente mondo del design, dell’industria per la produzione di massa, vedeva nel ‘transatlantico’ uno dei simboli di affermazione della nuova Italia sulla scia del boom economico degli anni ’60. Grande attenzione ed interesse sono stati prestati, fin dall’inizio agli aspetti architettonici e decorativi delle navi; ed è per questo che oltre a costituire una parte importante della storia della marina italiana, queste navi hanno rappresentato nel corso del tempo una vetrina delle principali e più aggiornate correnti artistiche ed architettoniche del nostro paese.
L’arazzo che ha saputo conformarsi alle necessità e al gusto di tanti secoli, si è mostrato perfettamente adatto a rispondere alle esigenze e all’estetica del mondo odierno; con questo episodio si è avviata un’attività che continua ancora oggi da parte dell’arazzeria Scassa di Asti, che nel corso degli anni ha realizzato su disegno di artisti contemporanei più di 200 pannelli tessuti con la tecnica del telaio ad alto liccio. L’arazzeria Scassa, ha ripreso in senso moderno lo splendido discorso dell’arazzo, affermando una manifattura italiana puramente artigianale capace di stare alla pari con le migliori maestranze straniere. Ciò che più sorprende nelle opere tratte dai cartoni degli artisti è che una tecnica rimasta volutamente immutata da secoli (tecnica con cui nella seconda metà del 1300 Nicola Battaille realizzò l’Apocalisse di Angers), si vivifichi nell’incontro con le nuove invenzioni stilistiche dell’arte contemporanea, che testimoniano una grandissima sensibilità estetica nell’interpretazione e traduzione ad arazzo.
A considerarli nel loro insieme, gli arazzi diventano estremamente significativi anche perché indicano un’importante fase del gusto oltre che della storia dell’arte italiana. Nella molteplicità delle fonti e delle esperienze – personali, estetiche, ideologiche, di movimento – da cui le opere provengono, si può, infatti, facilmente individuare la traccia di una scelta culturale precisa, che a parte il grande arazzo di Casorati, l’unico figurativo, ha colto lo sviluppo dell’astrattismo italiano. Certamente si trattava di una scelta, tra la fine degli anni Cinquanta e i successivi anni Sessanta, suggerita culturalmente dal grande peso che aveva in quel momento la linea estetica di Lionello Venturi – si pensi proprio al suo sostegno al Gruppo degli Otto, gruppo da cui provengono qui Corpora, Santomaso, Turcato e Vedova – in un’interpretazione della pittura svolta ad accordare “natura” e tensione astratta delle forme. Sulla via intrapresa da Venturi, proprio in quegli anni era emersa la scuola di Giulio Carlo Argan, incline a fissare nella pittura astratta europea l’esito dello sviluppo dell’arte moderna. È in fondo tenendo presente quel clima intellettuale, che assume significato anche la presenza di artisti come Accardi, Perilli, Sanfilippo, e Turcato che nel 1947, avevano dato vita al gruppo di Forma 1, adottando un astrattismo motivato su un impegno civile e intellettuale. Eppure non tutto può essere riferito a quel tipo di tensione “modernista”. C’è, ad esempio, la presenza di sei arazzi di Cagli, di un pittore cioè che attraversati da protagonista i momenti decisivi delle Scuole Romane degli ultimi anni Venti e dei Trenta, si era inoltrato nel suo estroso universo “trasformista”, manipolando spavaldamente immagini indifferentemente astratte e figurative. Così come accanto ad artisti minori c’è la presenza di Giuseppe Capogrossi, artista non più riferibile ad alcun gruppo o momento critico preciso dopo l’emergenza del Gruppo Origine nel 1951. Su tutti colpisce la presenza di Sironi, in una chiave cupa e duramente risentita, formalizzata per modi quasi astratti. 
A intrecciare tutto questo furono le intuizioni di una committenza che aveva colto un elevato grado di accettabilità dell’arte moderna astratta da parte di un’utenza vasta e necessariamente “media” come quella che poteva essere rappresentata dai passeggeri delle navi. In effetti, si proponeva così un tipo di ricezione estetica che esaltava – per via dell’uniformità della tecnica adoperata, e noncurante, per molti aspetti, delle differenti provenienze culturali degli artisti – l’interpretazione decorativa delle opere. Queste navi sono state il luogo di una “artisticità” diffusa, in cui l’arazzo visto come espressione creativa ha trovato spazio, anche e soprattutto in relazione con lo sviluppo delle aspettative e dei gusti del pubblico.
Le vicende collegate alla realizzazione delle opere d’arte per le navi riflettono inoltre i dibattiti presenti nell’ambiente culturale di allora e in particolare le polemiche sull’arte astratta, che in Italia dal secondo dopoguerra non si erano ancora spente. L’eco di queste polemiche, come anche il richiamo al dibattito sulla «sintesi delle arti», sono presenti nello stesso scritto di Argan posto in prefazione al testo di presentazione ufficiale della turbonave “Leonardo da Vinci”. Qui l’opportunità della scelta di opere non figurative venne motivata con la considerazione che questo genere di lavori, per le loro caratteristiche formali e la loro “alta qualità decorativa”, erano adeguati alla tipologia architettonica e funzionale di quegli ambienti, integrandosi e interagendo con le strutture degli spazi interni.
Per esempio, nel progetto del Salone delle Feste di prima classe della “Leonardo da Vinci”, che gli architetti Monaco e Luccichenti avevano realizzato, era stato previsto l’inserimento di sedici arazzi, i cui cartoni vengono eseguiti da artisti contemporanei gravitanti nell’ambiente romano. La commissione artistica, nominata dalla Società di Navigazione Italia e presieduta da Argan, ebbe il compito di selezionare le opere e di scegliere il laboratorio cui affidare l’incarico per la realizzazione degli arazzi. 
Ugo Scassa inviò un campione di tessuto ad arazzo e vinse l’appalto. Scassa eseguì quindi per la “Leonardo da Vinci” sei arazzi di Cagli, uno di Bernini, tre di Corpora, uno di Capogrossi, due di Santomaso e tre di Turcato. Fu questa per lui l’occasione di iniziare un’importante attività come arazziere e una felice collaborazione con Corrado Cagli. Nella pubblicazione della Società Italia gli arazzi erano presentati come opere «che evocano decorativamente temi marini» o, come nel caso dei lavori ancora con riferimenti figurativi di Cagli, che richiamano «il senso del viaggio e dell’avventura». Meno problematica è la traduzione dell’opera di Capogrossi, in ragione della maggiore definizione del segno che non tradisce slanci vitalistici e che si sviluppa sulla superficie pittorica senza subire “alterazioni che non siano d’ordine strutturale”. Il suo grande arazzo declina il modulo ripetendolo sulla superficie con una disposizione ordinata: gli elementi accoppiati simmetricamente formano delle nuove unità chiuse che stanno allineate in tutta l’area del tessuto. Sul piano affollato di segni, il colore non è ancora ridotto alle tinte essenziali, come invece avviene nelle prove pittoriche di quegli anni. Dopo l’esperienza della “Leonardo da Vinci”, l’idea di inserire degli arazzi viene ripresa anche dai progettisti incaricati degli allestimenti interni degli altri due liners della Società Italia: le turbonavi gemelle “Raffaello” e “Michelangelo”, che dal 1965 percorrono la rotta Genova-New York.
Se per la “Leonardo da Vinci”, come si è visto, l’incarico di ideare una parte delle opere tessute viene dato ad artisti informali, per la “Raffaello” la scelta degli architetti è stata di commissionarne un numero ancora maggiore a rappresentanti dell’astrattismo italiano.
Qui, tra il gruppo di arazzi astratti collocati nei locali di prima classe, ci sono due opere di Vedova che si trovavano nella veranda-bar, due elaborazioni vicine nelle forme all’espressionismo astratto, pur mantenendo la carica drammatica dei bianchi e dei neri delle tele precedenti. Sempre sulle turbonavi mostre permanenti di quadri d’avanguardia erano allestite nelle diverse sale di soggiorno di prima classe, nei saloni e nei bar: erano presenti artisti come Burri, Scanavino, Capogrossi, Munari, Dorazio, Rotella, Dova, Afro, Guttuso, Severini e molti altri.
Il mito e la gloria di queste “Città Galleggianti” durarono purtroppo per soli dieci anni, queste navi ora non esistono più, sono state demolite e le opere d’arte che le decoravano messe in salvo (gli arazzi sono oggi conservati in gran parte presso la Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma). Sarebbe stato interessante invece riadattarle ad una sorta di “Musei Galleggianti”, specchio del meglio del Made in Italy degli anni Sessanta.

Dall’alto:

Henri Matisse, La danzatrice creola, arazzo ad “alto liccio” in lana – 265 x 210 cm. Tessitura: Arazzeria Scassa- Asti, Asti – Museo provinciale degli Arazzi Scassa

Giuseppe Capogrossi, Superficie 385, 1960 pannello a olio – 120 x 300 cm. Genova – Collezione della Finmare provenienza: Turbonave “Leonardo da Vinci” Sala Soggiorno prima classe

Mario Sironi, Astratto, 1959 c (particolare) arazzo in lana – 214 x 682 cm. Tessitura: Manifattura MITA Genova Nervi Roma – Galleria Nazionale d’Arte Moderna provenienza: Turbonave “Leonardo da Vinci”

Emilio Vedova, Astratto, arazzo ad “alto liccio” in lana – 160 x 340 cm. Tessitura: Arazzeria Scassa – Asti – Roma – Galleria Nazionale d’Arte Moderna provenienza: Turbonave “Raffaello”

Corrado Cagli, Chimera, 1959 arazzo ad “alto liccio” in lana – 192 x 159 cm. Tessitura: Italia disegno – Asti Roma – Galleria Nazionale d’Arte Moderna provenienza: Turbonave “Leonardo da Vinci”

Felice Casorati, Figure, 1959 c arazzo in lana – 180 x 380 cm. Tessitura: Scuola di Esinio Lario – Como Roma – Galleria Nazionale d’Arte Moderna provenienza: Turbonave “Leonardo da Vinci”

Giuseppe Capogrossi, Astratto, 1963 arazzo ad “alto liccio” in lana – 245 x 600 cm. Tessitura: Arazzeria Scassa – Asti – Roma – Galleria Nazionale d’Arte Moderna provenienza: Turbonave “Michelangelo”

Achille Perilli,  Astratto, 1964 arazzo ad “alto liccio” in lana – 230 x 120 cm. Tessitura: Arazzeria Scassa – Asti – Roma – Galleria Nazionale d’Arte Moderna provenienza: Turbonave “Raffaello”