Progressive Nostalgia, Contemporary art from the Former URSS.
Centro per L’arte Contemporanea Luigi Pecci, Prato
27 maggio – 26 agosto 2007

Difficile resistere alla tentazione di esporre singolarmente ciascuna delle opere presentate nell’ambito della mostra proposta la scorsa estate dal Centro Pecci di Prato sulla produzione artistica dell’ultimo decennio e mezzo nei paesi dell’ex Unione Sovietica, poiché molte di esse offrono diversi piani di lettura e uno spessore estetico, nel senso più ampio del termine, sul quale a fatica si riesce a sorvolare per offrire una lettura generale e complessiva della mostra in questione.
Il dato di partenza sono le intenzioni del curatore Viktor Misiano che vuole individuare nel sentimento verso il passato il dato comune ad un percorso articolato ed eterogeneo che egli stesso suddivide in nove sezioni. La conclusione di Misiano è che “ogni definizione della contemporaneità presuppone un dibattito sul passato”; ognuna delle sezioni si pone in confronto con l’immediato passato: l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche; e lo affronta da un punto di vista sociologico, da un punto di vista estetico, da un punto di vista intimo, politico, storico, sociale; lo ricorda nel passato, lo evoca nel presente.

Di fatto ci si ritrova in un percorso che esprime le problematiche del dibattito contemporaneo poste in atto proprio da queste realtà che si sono affacciate sullo scenario europeo solo dagli anni Novanta, con la ridefinizione degli equilibri geo-politici internazionali; problematiche che si possono riassumere in una parola: identità .
Più precisamente un’identità che si qualifica nel rapporto con l’altro o con la storia; con il nuovo interlocutore: l’occidente, e con la rinnovata classe politica.
Opere che si interrogano tanto su dimensioni ampie, massimi sistemi, quanto sulle esigenze e sui cambiamenti del territorio; una nostalgia che da un lato recupera i simboli del passato e li ripropone nel presente, sollecitando una lettura critica; dall’altro estrae dettagli dal presente, che inevitabilmente sono da leggere rispetto all’immediato passato.
Ed ecco: “Che Fare?”, si chiedeva Lenin.
Olga Egorova, Nikolay Oleynikov, Dmitry Vilensky recuperano l’opera di Viktor Popkov: I Costruttori di Bratsk (1961), un emblema della ricostruzione; o ancora Irina Korina che presenta immagini pubblicitarie private di brand a sottolineare l’inconsistenza del prodotto venduto, rispetto all’immaginario offerto.

Il Pro-Test lab Archive, un progetto portato avanti dalla coppia artistica Nomeda e Gedeminas Urbonas, che in quest’occasione viene presentato con i materiali prodotti nell’ambito di questo processo di riappropriazione degli spazi pubblici. Un intervento che, tra l’altro, è espressione di un’emergenza politica e sociale, comune a tutto il panorama europeo.
Diverso l’approccio del gruppo REP, che prende i codici di comunicazione visiva internazionali, modificandoli e reinterpretandoli, attraverso l’intervento sulla forma, sul senso, sulla dimensione, sulla destinazione: i piccoli e solitari omini che indicano la strada per il bagno, la presenza di un pericolo o altro, diventano unità linguistiche di base in relazione tra loro, e instaurano una connessione di senso logico che si sposta dai corridoi degli aeroporti, dagli uffici e dai centri commerciali e, sovradimensionata, si mostra al pubblico esterno al Centro, quello di passaggio, quello della strada e del territorio (fig. 1).
Ancora significative sono le riflessioni sui confini di Pavel Braila e Aleksander Komarov, dove il primo sintetizza il desiderio di congiunzione, e la tensione verso l’Europa con un intervento di sapore patafisico sul passaporto di alcuni volontari, sul quale ha applicato con la semplice tecnica dello stencil le dodici stelle della bandiera europea. Il secondo invece propone il proprio passaporto bielorusso, invalidato dal troppo utilizzo. Scaduto prima della data di scadenza perché il suo peso ha superato i 35 g. consentiti, a causa dei troppi timbri, dei troppi visti di ingresso, dei troppi viaggi.
The Map of Chingizkhan, or the Fell of the Red Horse, dove Erbossyn Meldibekov propone un fotocollage dove si rappresenta la pelle di un cavallino mongolo, vista dal di dentro, sulla quale sono stati tracciati dei confini territoriali, con del filo rosso, verosimilmente di lana. Si tratta dell’evocazione di una tradizione Mongola per cui i traditori venivano sistemati sotto una di queste pelli, con la carne a contatto, e successivamente lasciati calpestare da altri cavalieri.
La lettura delle singole opere, come della mostra nel suo complesso in realtà è viziata dallo spessore storico, culturale e politico che tali artisti si portano dietro. Uomini delusi due volte. Quello che doveva essere il benessere occidentale si è rivelato nella sua incosistenza e labilità: un miraggio. Questo il peso che noi occidentali ci portiamo dietro per aver promosso la nostra cultura della libertà.

Democrazia, conflitto, tradimento, speranza, confini, propaganda, sono i temi che si delineano nel percorso della mostra, e che vengono affrontati con giocosa ironia dagli artisti più giovani, e con amaro sarcasmo da quelli più anziani, attraverso l’immagine di un passaporto azzurro con le stelle di un’Europa promessa e vicina; quella di un uomo che canta un inno nazionale e dalla cui bocca escono bolle di sapone; attraverso il gioco di fronte ad un supermercato dove si invitano le persone a ripetere l’esperienza di comprare, nel caso l’avessero trovata gratificante, o la cruda serialità della Guerra (fig. 2). Uno scenario dove accanto alla crescita, al progresso allo sviluppo occidentalizzato, restano città deserte e abbandonate, crescono speranze (fig. 3-4) e si fa dell’ironia accostando l’immagine di un’ascia preistorica al concetto di progresso (fig. 1).
Un panorama dunque che oltre allo scenario artistico propone uno sguardo sulla realtà sociale, condizione dalla quale l’artista sembra non poter prescindere, ma rispetto alla quale, temprato da decenni di Socialismo reale, si pone con sarcasmo e ironia.

Dall’alto:

REP, Patriotism. Hymn, installazione, 2007. Particolare dell’installazione 

Koka Ramishvili, War from my window, foto, 1991-1992

Yelena Vorobyeva, Viktor Vorobyev, Photo for Memory. If a Mountain doesn’t go to Mahomet…., photoaction, 2002 

Ulan Djaparov, E la nave va…., Documentazione della Performance, 2’23’’, 2003