Asmara è una piccola capitale densa di fascino modernista. Una città dal volto europeo voluta dall’innesto della progettualità architettonica italiana che ne voleva fare la capitale sud dell’impero coloniale. Di questo disegno fallimentare rimangono solo le tracce affascinanti e splendide in una città che sembra ripetere il destino dell’antica Amarna. La particolarità di questo agglomerato monumentale moderno consiste nella sua insolita conservazione. Amplificata dalle qualità del popolo eritreo l’idea della conservazione, che assume qui quasi un connotato morale e di dignità civile, ha consentito la permanenza intatta di tutti gli edifici e gli arredi storici che non siano stati danneggiati dalla sanguinosa guerra rivoluzionaria. Gli italiani avevano costruito la strada che da Massawa, città arabesca, calda, bianca, caotica ed equatoriale sul Mar Rosso si inerpica sino all’altopiano di Asmara a quota 2.400 s.l.m. Questa strada, fitta di tornanti e precipizi temuti dai camionisti per via dei riflessi del sole e delle tormente di nebbia sbocca direttamente e quasi dal nulla nel centro della capitale futuribile e moderna, costruita in stile asciutto e deciso, dai colori cromatici tonali, dall’impianto stradale geometrico. 
Dopo le sanguinose disfatte ed i terribili trascorsi militari, di cui la strada reca ancora le memorie, l’altopiano si apriva come una sorta di paradiso in terra. La natura africana qui modifica i suoi statuti e si vive in una eterna unità climatica rotta a tratti dalle piogge. Nel giro di 24 ore si alternano le quattro stagioni. La primavera albeggia. Mazzogiorno è l’estate, la sera una foschia autunnale si leva dai prati. La notte è quasi inverno e ci si muove dentro pesanti giacche imbottite. Probabilmente questo deve aver motivato buona parte delle energie impiegate dalle maestranze italiane chiamate a costruire il nuovo volto imperiale della città. In questo disegno certamente visionario non c’erano piani distruttivi: diversamente dalle altre città Asmara possedeva già quel suo accento di irato distacco e di semplice rassegnazione alle cose del mondo. Un atteggiamento che per certi versi risulta simile a buona parte degli italiani giunti lì. Il temperamento locale è per certi versi simile a quello del sud Italia, ma diversamente da questi gli Eritrei hanno uno spiccato senso della cultura. La pulizia e lo splendore coloristico di queste regioni appariva al progettista di allora il binomio perfetto per la realizzazione di uno scenario vitale della modernità. Con leggero paternalismo si lasciava che l’impianto fosse costituito e connesso col tessuto cittadino con le sue stesse regole. Il progetto modernista italiano applicato era quindi esattametne ideale; si posavano volumi e si calibravano le luci, ma si lasciava intatto l’impianto strutturale ampliandolo. Proprio qui troviamo in perfetto stato di conservazione l’idea della magniloquenza e della chiarezza che era nelle intenzioni costruttive del modernismo italiano, e della sua radice numerico frontale di desinenza latina, qui avviata in fase già post sperimentale e con risultati molto simili a quelli di Latina e di Sabaudia.

Sempre in Harnet Avenue il prodotto sintetito di questo carattere razionale sdoppiato fra curva e angolo retto è nel palazzo disegnato da Vitaliti nel 1944, rimasto incompiuto, in cui si ripetono le tensioni minimali della Casa del Fascio di Terragni. Si tratta di uno degli edifici definitivi del carattere storico di Asmara. Le linee modulari del geometrismo anni Venti dell’architetto Sclafani, ne danno conferma nel palazzo della Casa del Fascio in stile eclettico poi incorporata in una facciata in puro stile razionalista. 

La chiarezza del campanile a torre, idea futurista di Sant’Elia risulta finemente tradotto nella Cattedrale Ortodossa di Nda Mariam, realizzata dal Gallo dal 1920 al 1938 con impianto a doppia stilizzazione che ripete la struttura basilare dei nativi, in pietra scura su cui si innesta il longone verticale bianco poi ampliato dalla perfetta simmetria. Simmetria che costituisce il nodo simbolo del carattere di questa città insieme al profilo arrotondato. La struttura fissa del disegno gemetrico sarà dagli anni Venti in poi il motivo dominante 

Sebbene fortemente limitata nella sua struttura la casa di Nakfa Av. Ostruita da Cappellano domina per la chiarezza di intenti e la definizione del progetto. Si trattava davvero di realizzare nel profondo cuore dell’Africa un modello chiaro di abitazione futurista, dove il disegno poneva delle precise indicazioni allo sguardo. Sebbene la datazione sia abbastanza tarda, 1937, la casa di via Nakfa segna decisamente lo sviluppo delle linee architettoniche nell’edilizia di tutto il decennio successivo. 

In particolare, le abitazioni residenziali con impianto curvilineo e asimmetrico, d’una asimmetria che può esistere solo in quanto distorsione di una esatta simmetria, creano gli sviluppi più originali delle costruzioni di quegli anni. La caratteristica inserzione delle luci all’interno di lesenature tipiche del disegno di Pagano incamerano griglie vetrate dall’asciutto schematismo e dal rigido geometrismo. 

La casa fronteggia col suo spessore l’ingresso principale della città per chi arrivi dal mare. A poche centinaia di metri si erge la limpida facciata del Cinema Impero, che negli anni non ha perduto il suo carattere decantato dal sole, della luminosità delle linee rette con una ridimesione a due ordini di altezze, la prima costituita dal portico aggettante e la seconda dall’alzato ufficiale su cui emergono i caratteri stilizzati dell’Impero. Matrice futurista limata ad una luce aperta e mai striata. 
Il disegno a squadratura geometrica assume connotazioni etiche, disegnando una distanza comportamentale che è anche tratto caratteriale della popolazione indigena. L’innesto di questi principi non fu visto in quegli anni come un segno impositivo. In un certo senso per l’identità africana ciò rapresentava una sorta di ritorno con differenti velature cromatiche, che attecchirono bene. 
Il Cinema Impero di Mario Messina, del 1937, riassume buona parte del disegno essenziale e le modalità modulari: la lesenatura aggettante, il riquadro degli inserti, la simmetrica sezione aurea applicata anche alla scrittura, di cui si evidenzia il carattere scultoreo; la vocazione scenografica scatolare, semplice nei suoi volumi anche allusivi; la linearità delle strutture. Un disegno quasi classico. 
Di questo classicismo la città è pervasa. I palazzi seguono arrotondamenti che fluidificano le ombre sino a renderle incroci di penombra in pieno sole. La ampie balconature sono rimaste come nelle intenzioni semplici rampe di luce spesso vuote.

Ma il monumento architettonico che maggiormente caratterizza e simboleggia la città di Asmara è la mirabolante stazione di servizio Fiat Tagliero, costruita da Giuseppe Pettazzi nel 1938. La stazione segnava il triciclo di strade nell’innesto dei quartieri indigeni. Era un marchingegno futurista posato all’incrocio delle vie e accompagnava con le sue ali – pensiline l’ingresso ai mercati ed alle zone commerciali e istituzionali della città. L’edificio che ha conosciuto un notevole declino durante gli anni dell guerra recente è adesso in avanzata fase di recupero.

Nel periodo successivo alla posa progettuale della moderna città di Asmara cresce la necessità di impiantare edifici per singoli nuclei familiari. Il periodo della ville unifamiliari ha inizio con Villa Grazia nel 1942 nel pieno del conflitto mondiale. L’edificio posto a ridosso della zona centrale in quella che nei piani di sviluppo sarebbe divenuta la zona ad espanzione residenziale viene disegnata da Vitaliti e completata nel 1942 con sviluppo delle tendenze futuriste e neoplastiche.
Il corpo del solido si divide in due moduli sovrapposti. Il primo dà la carattestica forma neoplastica tradotta da un portico stretto e un alzato asimmetrico su due ordini finestrati. Più incassato si erge il frontone levigato dal movimento futurista della curvatura dinamica. Questo diviene slancio anteriore da cabina ferroviaria, fusoliera d’aeromobile, cabina di comando di una nave. Il dinamismo dell’aggettato è potente. Sembra che sia proiettato fuori da un solido ancora più potente. Come di consueto l’edificio reca i timbri caratteristici dell’epoca. Uso del semicerchio, lesenatura evocativa del tratto a matita, luci realizzate in moduli geometrici ben delimitati e disegnati.
Asmara ha vissuto poi anni di relativa calma, sino agli anni Settanta, la rivoluzione e la guerra d’indipendenza. Da qualche anno una pace vacillante ha permesso di far conoscere, archiviare e testimoniare l’identità di questo gioiello architettonico nascosto dalla storia. La sua particolare conservazione, non esente da decadimenti ed usure, permette di vivere le sensazioni spaziali ideate nel suo progettarsi e costituisce un patrimonio raro e potente di ciò che è stato il modernismo africano.

Dall’alto:
Oreste Scanavini, Cattedrale di Santa Maria, 1922 – 1923;
Interno dell’Ufficio Postale, progetto di Oduardo Cavagnari 1916;
Aldo Vitaliti, 1944;
Cattedrale ortodossa di Nda Mariam 1920-1938;
Roberto Cappellano, Casa di NaKfa Av., 1937;
Edilizia residenziale a sud della città;
Mario Messina, Cinema Impero, 1937;
Un edificio di Asmara;
Fiat Tagliero di Giusepe Pettazzi, 1938;
Villa Grazia di Antonio Vitaliti, 1942;

Foto di Domenico Scudero