Un’ampia monografia e una mostra di documentazione nella sede della Fondazione La Quadriennale di Roma a Villa Carpegna interrogano l’esperienza storica del gruppo padovano di arte programmata mettendone a fuoco la complessità di significato.

Le parole chiave dell’esperienza del Gruppo N – gruppo costituitosi con Alberto Biasi, Ennio Chiggio, Toni Costa, Edoardo Landi e Manfredo Massironi a Padova tra il 1959 e il 1960 e scioltosi nel 1966 – sono da individuarsi certamente in concetti come lavoro collettivo, arte programmata, anonimato dell’autore, antimercificazione del prodotto artistico, partecipazione del pubblico al farsi dell’opera. Concetti non tutti particolarmente praticati negli ultimi anni, probabilmente anche perché forieri di una rivoluzione di metodo e di senso nel fare arte e nel produrla all’interno della società che possiamo ragionevolmente definire dissestante, e sulla quale non ancora a sufficienza, a mio avviso, si è posta l’attenzione.
Ora, a cinquant’anni di distanza dalla costituzione del Gruppo N, credo si debba essere oltremodo riconoscenti a quanti, dal curatore Volker W. Feierabend, all’autrice dei testi critici Lucilla Meloni, hanno messo mano ad uno dei capitoli meno considerati dell’arte italiana, quello concernente l’attività dei gruppi di ricerca cinetico-visuale e programmata, realizzando, in aggiunta alle precedenti ricognizioni sul gruppo T e sul gruppo MID, questo prezioso volume edito dalla Silvana editoriale e commissionato dalla Fondazione VAF che ci restituisce con un taglio cronologico e anche tematico le vicende del Gruppo N. Un tassello in più che concorre a ridisegnare una mappa dell’arte italiana della seconda metà del ‘900 che in questa sua angolazione è stata parzialmente oscurata dalla storiografia. L’occasione della presentazione di questo volume si è accompagnata nella sede della fondazione La Quadriennale a Villa Carpegna ad una mostra documentaria sull’attività del gruppo che rende bene conto di come il portato della comunicazione fosse parte integrante a tutti gli effetti dei processi di produzione del collettivo.
Il potenziale eversivo sotteso alle ricerche portate avanti dal gruppo non si è esaurito certo esclusivamente nelle diverse fenomenologie percettive alle quali si è dato vita ma si è spinto oltre interrogando il sistema di relazioni che l’arte mette in gioco nel suo complesso. Questo snodo è, a onor del vero, una delle questioni ancora oggi più controverse ed anche quella che lascia il campo a valutazioni per certi versi divergenti e che la natura stessa degli ambiti considerati consente di aprire. E, cioè se si possa scindere l’analisi della produzione di opere dalle premesse sulle quali le ricerche e le sperimentazioni presero l’avvio.
All’interno di questo stesso volume sul Gruppo N, Volker W. Feierabend assume una posizione di sostanziale dissenso nei confronti di una lettura politica della questione: “L’arte cinetica italiana fu, è vero, espressione di intenti artistici rivoluzionari, ma non fu arte della rivoluzione – scrive -. Il tentativo di caricare di significato politico le opere cinetiche è destinato a fallire a priori, data l’esplicita neutralità contenutistica della loro offerta estetica e percettiva”. Una prospettiva di lettura legittimata, certo, soprattutto nell’accezione formalista di considerazione delle opere, ma che proprio nel suo porsi in questi termini prospetta la possibilità di letture diametralmente opposte e non per questo meno probanti. Lucilla Meloni suggerisce, in effetti, un’interpretazione più incline a considerare l’intera vicenda sotto l’egida ideologica dalla quale prese le mosse fin dall’inizio il collettivo, insistendo particolarmente sull’aspetto “etico” come carattere delle stesse “instabilità” e dei contrasti sviluppatisi tra i componenti del gruppo. Infatti, “la fortissima tensione etica che percorre tutta l’esperienza di gruppo, sottoposta dai suoi componenti ad una autocritica continua che ne indicava limiti, difficoltà e contraddizioni, è uno degli aspetti che rende così importante la storia del gruppo padovano, all’interno della quale, nello svolgersi di questa dialettica, etica e critica si incontrano”. Una tangenza difficilmente sottraibile al senso complessivo dell’operativismo del gruppo. La questione del metodo seguito è a priori, rappresenta il preliminare di tutto ciò che rese possibile questa vicenda di gruppo, e non sembra in alcun modo sganciabile dall’ermeneutica che la concerne. L’essere “contro” non è messaggio meno efficace per il sol fatto di non essere didascalico. Il filo rosso che lega le diverse esperienze contrassegnate dalla produzione di oggetti cinetico visuali è il substrato di fondo, quello stesso che aveva fatto dichiarare al gruppo in occasione della partecipazione al XII premio Lissone del 1961: “(…) i loro oggetti studi e quadri nascono da esperienze difficilmente catalogabili, perché al di fuori di ogni tendenza ‘artistica’ (…) rifiutano l’individuo come elemento determinante della storia dell’esperienza della fattività e ogni perfezione che non nasca da un innocuo bisogno di ‘regolarità’ rifiutano ogni feticismo religioso-morale-politico. Difendono un’etica di vita collettiva (?)”. Frasi che racchiudono una incontrovertibile e ineludibile presa di posizione a voler essere impegnati nelle cose, nella società, correndo il rischio di intercettarne tutte le sue contraddizioni e idiosincrasie.

 

Dall’alto:

Veduta dell’allestimento della mostra documentaria sul Gruppo N. Fondazione La Quadriennale di Roma, Villa Carpegna, Roma 19-24 maggio 2009.

Veduta dell’allestimento della mostra documentaria sul Gruppo N. Fondazione La Quadriennale di Roma, Villa Carpegna, Roma 19-24 maggio 2009.

Il Gruppo N – Alberto Biasi, Toni Costa, Manfredo Massironi, Edoardo Landi, Ennio Chiggio – studio in Piazza Duomo, Padova, 1962.