“Bau Bau Bau Abbaia l’Autorità Pubblica. Attenti al cane che ha il potere . Ridete addosso al loro potere: votate Provo! Vota Provo, ti farai delle risate. (Naturalmente il voto di una persona cosciente vale il doppio)”

(Matteo Guarnaccia, Provos. Amsterdam 1960-67: gli inizi della controcultura, AAA Edizioni, Bertiolo 1997)”.

 

In Europa, in Giappone, negli Stati Uniti, fra la metà degli anni Cinquanta e il 1959, anno che in un certo senso consacra questa tendenza, nasce l’happening e con esso l’arte si fa azione, pura pratica comportamentale che determina una stretta sempre maggiore tra prassi artistica ed esperienza concreta, tra arte e vita. Naturalmente “forme embrionali” di ciò che dal 1959 comincia ad esser definito happening, esistevano da decenni e i tentativi di fondere l’arte con la vita quotidiana sono parte integrante di tutto il patrimonio delle avanguardie storiche del Novecento: Udo Kultermann designa con il termine “intermedia” i vari fenomeni e le forme espressive che puntano ad un superamento della tradizionale contrapposizione fra arte e vita, così come delle delimitazioni fra le arti.
Allan Kaprow, considerato uno dei “fondatori” dell’happening, pur non presentandone lo sviluppo come un’evoluzione propriamente lineare, lo inserisce nell’ambito delle arti figurative, scorgendone un ampliarsi delle accumulazioni di materiali eterogenei in assemblaggi tridimensionali e in ambienti progettati per essere vissuti dal pubblico, secondo un percorso storico che porta dalla pittura all’environment e all’happening inteso come collage di frammenti di realtà naturale o artificiale, presi dal loro contesto e inseriti in un nuovo sistema di rapporti. 
Negli anni dal 1956 al ’58 Kaprow aveva studiato con John Cage alla New School for Social Research di New York, trovando ispirazione nel clima sperimentale e interdisciplinare nato fin dal 1948, anno in cui inizia l’insegnamento del compositore e del ballerino Merce Cunningham al Black Mountain College. Sull’esempio di Cage, che trovava la musica nei suoni quotidiani dell’ambiente circostante, Cunningham aveva introdotto, dal 1950, le procedure casuali e l’indeterminatezza in una nuova pratica di danza, proponendo anche che tutti i possibili movimenti naturali come camminare o strisciare fossero interpretati come danza. 
Anno chiave della loro collaborazione è il 1952: Cage, che aveva appena creato il suo famoso “silent work” 4’33” (il primo interprete dell’opera, David Tudor, sedeva al pianoforte per quattro minuti e trentatré secondi muovendo silenziosamente le dita), propone in uno stesso spettacolo un quadro di Rauschenberg, un balletto di Cunningham, un poema recitato da Richards e Olsen ed un pezzo suonato al piano da Tudor, creando un precedente per numerosi eventi degli anni a venire. Non si tratta però a tutti gli effetti di un happening, dato il mancato coinvolgimento del pubblico che nell’happening deve essere necessariamente sottratto al suo ruolo di passività ed immesso in un rapporto attivo con l’evento artistico; nell’happening lo spettatore, come semplice osservatore, non esiste più. 
Rispetto a manifestazioni come gli environment, la performance o i concerti Fluxus quindi, l’happening necessita sempre della partecipazione del fruitore che viene posto simultaneamente di fronte a nuovi tipi di codici espressivi, sollecitato ad esprimere una reazione sia fisica che psicologica rispetto all’evento; i partecipanti, con la loro presenza, si muovono nell’ambiente, si fondono con esso ed essendo impossibile distinguerli dagli attori diventano attori essi stessi. Un rapporto nuovo fra arte e pubblico, allora, si stabilisce solo a partire da quel momento e dalla possibilità, per gli spettatori, di introdurre dei mutamenti nell’opera, da quando, cioè, essi non “consumano” più, passivamente, ma partecipano alla sua realizzazione. L’azione è immediata, dal carattere spontaneo ma non del tutto improvvisata e si oppone a quella teatrale per la scelta dei luoghi di rappresentazione, per il non professionismo dei partecipanti e, soprattutto, per l’indeterminatezza che presiede al suo svolgimento. 
Il termine happening entra nell’uso corrente nell’ottobre del 1959 quando Allan Kaprow lo inserisce sul biglietto d’invito all’azione 18 Happenings in 6 Parts alla Reuben Gallery di New York: gli inviti, che consistevano soprattutto in buste di plastica contenenti piccoli collages di carte, fotografie, legno, frammenti dipinti e figure ritagliate, includevano l’affermazione “you will become a part of the happenings; you will simultaneously experience them”. La rappresentazione era suddivisa in sei parti contenenti ognuna tre happening simultanei; durante gli intervalli tra gli atti, gli spettatori cambiavano stanze e posti a sedere assistendo e prendendo parte di volta in volta ad un accumularsi illogico di eventi visivi, sonori e olfattivi. 
L’apparente mancanza di significato anche in successive opere di Kaprow come Courtyard, Coca-Cola, Shirley Cannonball? e A Spring Happening, trovò riflesso in molti altri happening del tempo, portando comunque artisti come Al Hansen, Dine, Oldenburg, Whitman, a sviluppare una propria iconografia per gli oggetti e le azioni dei loro lavori. 
Allan Kaprow ha inoltre dichiarato che non è auspicabile la ripetizione di un happening ma nel momento in cui ne stabiliva le linee guida, anche con il suo libro Assemblage, Environments and Happenings del 1966, lo aveva già accantonato per azioni più semplici che successivamente chiamerà Activities. Alla fine degli anni Sessanta quindi, l’artista abbandona l’uso del termine da lui stesso forgiato, che giudica degradato dall’uso, e ne adotta un altro, volutamente neutro, concentrando la ricerca sulle relazioni psico-sensoriali tra individui, sui problemi della percezione e sull’osservazione di particolari aspetti della vita quotidiana. Ma è evidente la differenza tra un happening di Wolf Vostell o di Jean-Jacques Lebel, fatto di eventi complessi, multipli, “barocchi”, e queste Activities, che si sviluppano secondo uno schema ricorrente di quattro punti, soggetto-partitura, riunione preliminare in studio, performance simultanea di piccoli gruppi e dibattito conclusivo. 
Nonostante la diversa struttura e le differenti sensibilità delle azioni, i media li inclusero tutti nella generica definizione di happening, indicando con il termine un gran numero di attività, talvolta anche le performance di danzatori come Simone Forti e Yvonne Rainer, che avevano entrambi lavorato con Ann Halprin in California, o le azioni – “sotto forma di monologhi totalmente aggressivi e di una violenza rara” – della scuola viennese che, in quasi tutti i casi, coinvolgono lo spettatore solo in maniera indiretta, attraverso una sua eventuale catarsi, e non con una partecipazione attiva. 
Il comune denominatore di queste diverse attività era comunque il desiderio di confondere l’arte con la vita e di dare all’azione una continuità basata sulla sintesi, sulla visione d’insieme dell’arte suddivisa in settori; in America era essenzialmente la città di New York, nei suoi loft, gallerie “alternative”, bar, ad ospitare queste manifestazioni nei primi anni Sessanta, manifestazioni che in Europa si svolgevano già per la strada e si differenziavano, fin dall’inizio, per l’osservazione della realtà politica e sociale; ciò che mancava all’happening americano invece, era proprio il confronto con questa realtà. 
Il maggior successo nell’uso della tecnica dell’happening per scopi politici c’è stato, nella seconda metà degli anni Sessanta, con i Provos olandesi, gruppo non-violento, antiautoritario, ecologista e no-global ante-litteram, composto da “nottambuli, arrotini, avanzi di galera, semplici simoni stiliti, maghi, pacifisti, mangiatori di patatine fritte, ciarlatani, filosofi, portatori di germi, stallieri reali, esibizionisti, vegetariani, sindacalisti, babbi natale, maestri d’asilo, agitatori, piromani, assistenti dell’assistente, gente che si gratta e sifilitici, polizia segreta ed altra plebaglia del genere”, accanto a personaggi come Robert Grootveld, Simon Vinkenoog, Roel Van Duijn, Rob Stolk, Bart Hughes, pioniere degli esperimenti con l’LSD e autore di sedute di trapanazione della scatola cranica per aprire il terzo occhio, e Constant, fondatore del gruppo Cobra ed ex-membro dell’Internazionale Situazionista. 
La provocazione e la ridicolizzazione delle autorità furono il metodo di azione politica dei Provos che diedero vita a pratiche creative di disobbedienza civile e lanciarono messaggi contro l’asservimento della popolazione ai modelli di consumo, contro l’inquinamento, la violenza e l’autoritarismo di qualsiasi natura. Per rendere le città più umane e vivibili, elaborarono i cosiddetti “progetti bianchi”, il primo dei quali, il “piano delle biciclette bianche” del 1965, prevedeva la socializzazione di un certo numero di biciclette messe a disposizione della cittadinanza di Amsterdam: bici gratuite, senza catene, che chiunque poteva prendere, usare e lasciare a piacimento. Il consenso è immediato, un numero elevato di cittadini risponde ai loro appelli, si reca nei luoghi di raccolta offrendo le proprie biciclette, ma un segnale ulteriore del successo del piano è la conseguente risposta delle autorità che reagiscono sequestrandole e adducendo, a giustificazione dei sequestri, una presunta istigazione al furto, essendo le bici incustodite. Ma i Provos, maestri nella manipolazione dei media, ringraziano la polizia che, non restituendo più “le biciclette ai legittimi proprietari, i cittadini di Amsterdam, e quindi, di fatto, rubandole”, spinge l’opinione pubblica a solidarizzare con loro. 
Un numero crescente di sostenitori è attirato nelle loro file e sempre più persone affluiscono nelle piazze di Amsterdam ai loro particolari happening che solitamente culminano in festeggiamenti mistici il cui caotico svolgimento richiama puntualmente la polizia. 
Con il matrimonio tra la principessa e futura regina Beatrice e l’ex hitlerjugend Claus Von Amsberg, la popolarità dei Provos oltre l’Olanda raggiunge il punto culminante: l’opposizione alle nozze di casa reale che termina il giorno del corteo con il lancio di candelotti fumogeni arancioni, era iniziata dal 1965, l’anno precedente al matrimonio, quando la foto di Claus Von Amsberg in impeccabile uniforme nazista, accompagnata dalla scritta “Claus, Persona non Grata” e firmata Provocazione N. 2 viene riprodotta su migliaia di volantini distribuiti per Amsterdam. 
Provocazioni di questo tipo, secondo Martin Damus, autore dello storico testo Funktionen der bildenden Kunst in Spatkapitalismus, hanno avuto più successo proprio perché attuate da non-artisti e da persone non conosciute come tali: “azioni artistiche – organizzate da artisti e galleristi – non oltrepassano l’ambito del lecito, dell’estetico, e rappresentano un attacco non politico, ma simbolico, mentre i volantini vanno oltre la rappresentazione simbolica convenzionale, come la preparazione di un “attentato” al vicepresidente americano con candelotti fumogeni e “bombe” al budino. La polizia interviene, in queste azioni non artistiche, ed in proposito si può essere di parere diversissimo, a seconda di come si considerano le attuali strutture sociali capitalistiche. Ne è una dimostrazione l’azione, ufficialmente qualificata come scherzo goliardico, con cui, nel novembre 1971 fu rimossa e nascosta la grande lancetta dell’orologio della chiesa votiva al Kurfurstendamm, il rudere emblema di Berlino ovest”. Rimane comunque comune ai Provos olandesi ed agli artisti autori di happening il rifiuto di un comportamento integrato nei meccanismi della società capitalistica e finalizzato a produrre semplicemente “una merce”; quando l’agire puro (artistico e non) diventa opera d’arte invece, tutto si gi
ustifica nella partecipazione all’evento.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Dall’alto:

Volantino elettorale della lista 12 dei Provos per le elezioni comunali del 1966

Allan Kaprow, Yard, 1961. (Foto: Fabrizio Garghetti)

Wolf Vostell, You, 1964. (Foto: Peter Moore)

Manifestazione Provos con le biciclette bianche ad Amsterdam, 1966. (Foto: Cor Jaring)

Un happening di Robert Jasper Grootveld nella K-chiesa (il tempio anti-fumo), 1962. (Foto: Ab Pruis)