Le radici
Il costruttivismo nacque in Russia, agli albori delle rivoluzioni del ’17, in un contesto politico-culturale intriso di energie creative e distruttive nello stesso tempo.
Questo movimento artistico pose subito al centro della sua estetica una sorta di apparente riconciliazione con l’oggetto, la materia, frutto di un lungo processo che nella cultura russa post- simbolista aveva mosso i suoi primi passi per voce dei poeti acmeisti da un lato, e futuristi da un altro. Se infatti, dopo la sbornia metafisica fin de siècle, un poeta come Mandel’stam aveva sentenziato che la nuova poesia doveva essere simile alla perfezione di un’architettura una sorta di perfetta architettura (aveva in mente le cattedrali gotiche francesi), e intitolato una delle sue principali raccolte di versi, Kamen’, cioè, Pietra, e da un’altra parte, dal canto suo, Majakovskij aveva composto una tragedia in versi che chiamò Vozvrat Vescej, la Rivolta degli Oggetti (1), mentre la nuova cultura proletaria, che andava formulando le sue linee generali a opera di Sergej Bogdanov e Anatolij Lunacarskij, conteneva in sé gli elementi essenziali per un passo ulteriore verso la conciliazione con la materia (materialità) dell’arte, a tutti i livelli. Non deve dunque stupire il fatto che, all’interno di uno dei principali gruppi costruttivisti, figurasse Osip Brik, già membro dell’Opojaz (la società per lo studio della lingua poetica), che avrebbe costituito uno dei principali filoni teorici del formalismo. Se dunque in letteratura il procedimento diventava uno dei principali temi da indagare per capire l’essenza dell’opera letteraria, la cui materia erano le singole parole, in tutta l’arte emergeva prepotentemente la nozione di struttura. Come ha sottolineato Gerard Conio nella sua monografia sul costruttivismo: “On […] cherchera […] le sens contraignant de la forme qui apparente une fugue de Bach ˆ une cathédrale gotique, la spatialisation de la durèe, les régles du contrepoint dont les rapports avec la tecnique du montage inspireront ˆ Eisenstein des commentaires pènètrants […] On assiste donc dans les annèes vingt ˆ une poussèe vers une sorte d’ecumènisme des arts, qui semble placer, tout d’abord, sous le signe de la sculpture, mais bientôt sous celui de l’architecture, dont le rôle devient prédominant […]” (2).

Il contesto politico-culturale
Il problema dello sviluppo di linee guida per la creazione di un’arte proletaria aveva afflitto molte generazioni di intelligenty e di artisti a partire dagli anni ’60 del XIX secolo, quando le spinte verso una democratizzazione dell’arte e della cultura avevano fatto da contrappunto all’abolizione della servitù della gleba e alla contemporanea comparsa sulla scena di una nuova classe di intellettuali di estrazione non aristocratica. Col nuovo secolo, la crisi progressiva del regime zarista e l’acuirsi dei conflitti sociali, che portarono alla rivoluzione del 1905, fecero sì che all’interno del partito socialdemocratico russo le questioni culturali acquisissero un ruolo sempre maggiore. Si discuteva soprattutto di come avrebbe dovuto essere l’arte del futuro (non necessariamente futurista), l’arte cioè espressione di quella classe sociale che avrebbe dovuto assumere la leadership nella nuova società. Al fine di creare una consapevolezza sufficiente a gettare le fondamenta del nascente edificio proletario, alcuni esuli socialdemocratici, tra il 1905 e il 1906, avevano dato vita a una scuola per futuri quadri del partito operaio nell’isola di Capri. Tra i fondatori figuravano anche Bogdanov (3) e Lunacarskij (4), personalità che avrebbero pesato non poco nella vita culturale della Russia postrivoluzionaria. Il problema centrale era se vi fosse già un embrione di letteratura proletaria e di cultura espressione della vita degli oppressi nelle città neoindustrializzate. Era chiaro che, dal momento che di industrie in Russia ve ne erano poche, ovviamente erano pochi anche gli scrittori, e tanto meno di estrazione proletaria, che erano stati fino ad allora in grado di descrivere quella realtà. L’unico modello di intellettuale del popolo fu identificato in Maksim Gor’kij, ma per quanto riguardava le arti figurative tutto era ancora in via di definizione al tempo della “scuola” di Capri.
Era comunque ritenuta fondamentale l’acculturazione degli operai in tutte le discipline, tecnico-scientifiche ed artistiche. 
A ovviare parte delle problematiche derivanti dalla necessità di superare l’arte borghese, referenziale e rappresentativa, in Russia, nell’ambito delle arti plastico-figurative, furono innanzitutto i movimenti di avanguardia come futurismo, suprematismo, raggismo. Il loro merito consistette, in primo luogo, nel capovolgere tutte quelle certezze e canoni scolastici ereditati dal secolo precedente, e in particolare nell’interpretare lo spirito della nuova era dell’industria e delle macchine. Tuttavia, se l’ideale futurista si sviluppava all’interno di una concezione a cavallo tra l’iconoclastia, il messianismo industriale e l’ottimismo scientistico-progressista, il più tardo costruttivismo, erede di queste esperienze, proponeva un rapporto con la realtà nuovo, diverso e fondamentalmente materialista.

I manifesti 
Non è un caso che uno dei manifesti costruttivisti, quello siglato da Gabo e Pevsner nel 1920, si chiami Manifesto realista: la concezione di arte espressa in questo testo teorico si distanziava abbastanza nettamente dai gruppi precedenti e proponeva la profondità come unica forma di spazio, postulando in cinque punti programmatici cosa non dovesse più riguardare l’arte (5).
Al manifesto di Gabo ne seguirono altri.
Nel 1922, tre membri dell’ Obmochu (Società dei giovani artisti), Vladimir e Georgij Stenberg insieme a Konstantin Meduneckij, organizzarono un’esposizione, che per la prima volta, ufficialmente, si definiva costruttivista, sulla falsariga di un’altra, dell’anno precedente, col titolo più elementare, ma pur sempre emblematico, di 5X5=25, cui avevano partecipato, tra gli altri, la scenografa e pittrice Ljubov Popova e il suo compagno architetto Alexandr Vesnin, uno dei principali artefici del nuovo assetto architettonico di Mosca.
E infatti il successo del movimento non può essere compreso pienamente senza considerare anche la situazione materiale della Russia degli anni ’20.

Il ruolo dell’architettura
Bisogna innanzitutto ricordare che, con la presa del potere da parte dei bolscevichi, la capitale venne trasferita da Pietrogrado a Mosca, che da duecento anni era ormai diventata una città di provincia. Era dunque necessario un ammodernamento della città, in funzione delle nuove esigenze di sviluppo urbano derivanti dal rango di capitale e dalla conseguente immigrazione di popolazione dalle campagne. La capitale dello Stato operaio doveva essere dunque ad esso funzionale, moderna e anche servire da vessillo per il nuovo regime e le idee che veniva propugnando.
Già nel ’18, fu varato il progetto Novaja Moskva (Nuova Mosca), in cui era previsto un grande investimento di capitali per la ricostruzione della città, coprendo un territorio di circa ventimila ettari e rispettando tuttavia la pianta originaria, a cerchi concentrici. Erano così previste nuove infrastrutture, diverse linee di metropolitana, un nuovo stadio, case popolari: Nel 1922 seguì un altro bando, dal nome più ambizioso di Bol’ùaja Moskva (Grande Mosca), che comprendeva un ulteriore sviluppo dell’edilizia a fini abitativi e una parallela conservazione di aree verdi. Naturalmente gli architetti costruttivisti aderirono attivamente a questi progetti, cercando di sfruttare nuove tecnologie, nuovi materiali e la contingenza nel contesto di architetture che fossero in grado di evidenziare elementi quali “il volume, la superficie, le proporzioni, il ritmo, la luce, il colore, il movimento, ecc.” (6).
Tutte caratteristiche che saranno trattate in modo organico da M. Ginzburg nel suo Stile ed epoca, del 1922, manifesto del costruttivismo architettonico, il cui il rapporto spazio-volume viene ancora una volta sottolineato.
Gradualmente l’arte si avvicina sempre più a ciò che sembrava funzionale alle nuove esigenze della società di massa e industriale. Da costruttivismo alcuni artisti passarono al produttivismo, al design. Come ha notato J.C. Mercadè: “La composizione [fu] sostituita dalla costruzione, il quadro dalle forme spaziali, la creazione individuale dalla produzione, l’artista dall’ingegnere o dal costruttore, al fine di trasformare radicalmente e modellare l’ambiente dell’uomo” (7).
Parallelamente si svilupparono le sperimentazioni dei più noti El’ Lisickij e Tatlin, quest’ultimo reso famoso dal suo modello di monumento alla Terza Internazionale, in cui veniva sintetizzata tutta l’esperienza costruttivista: dall’utilizzazione di nuovi materiali, al passaggio dalla forma alla linea come elemento costitutivo ed essenza stessa degli oggetti.
Ma, a partire già dal 1925, le possibilità di creare seguendo principi indipendenti vennero sempre più limitate. Con la presa del potere da parte di Stalin, l’eliminazione costante dei gruppi minoritari e marginali in tutti i campi della cultura diede via via luogo all’appiattimento su una visione del mondo unilaterale e di regime. Il 1934 avrebbe sanzionato ufficialmente il passaggio alla dottrina del Realismo Socialista, alla soppressione degli atelier indipendenti e di personalità non in linea con i dogmi dell’ideologia ufficiale. Così, anche il progetto urbanistico di Mosca venne pesantemente rimaneggiato dai seguaci della nuova guida (8).

NOTE:

[1] Cfr. anche i due fascicoli intitolati “Vesc” (Oggetto), pubblicati a Berlino nel 1921 da El’ Lisickij. Cfr. G. Conio, Le Constructivisme russe, Tome I: Les arts plastiques, L’Age d’homme, Lausanne, 1987, p. 13 sg.
[2] S. Bogdanov (1873-1928), intellettuale e filosofo, membro del partito socialdemocratico, a lungo discusse con Lenin sul ruolo dell’operaio nella società. La teoria di Bogdanov tendeva a valorizzare anche l’attività intellettuale del proletariato che, al contrario Lenin, considerava in primis come organizzabile non solo in modo verticistico. Nel periodo prerivoluzionario B. fondò il Proletkul’t (l’organizzazione proletaria di cultura e istruzione) al fine di promuovere una cultura proletaria indipendente dal partito bolscevico: Naturalmente questa organizzazione non era conforme alla linea del dirigismo leninista e fu presto liquidata.
[3] A. Lunacarskij (1875-1923) fu il primo commissario del popolo per l’istruzione; amico di Bogdanov, nei primi anni ’20 protesse diversi intellettuali borghesi, facendosi garante della libertà di espressione in tutte le arti. Nel 1929 venne rimosso dal suo incarico.
[4] Cfr. M. DE MICHELI, Le avanguardie artistiche del Novecento, Feltrinelli, Milano, 1986, p. 400 sg.
[5] Cfr. GIOVANNA SPENDEL, La Mosca degli anni venti, Editori Riuniti , Roma, 1999, p. 57 sg.
[6] Cfr. J.C. MERCADƒ, Le arti plastiche dopo la rivoluzione, in AA.VV., Storia della letteratura russa. Il Novecento, a cura di E. Etkind, G. Nivat, I. Sterman e V. Strada, Einaudi, Torino, 1990, t. II, p. 891 sg.
[7] Si consideri, per es., il destino della Chiesa di Cristo Salvatore, che i fratelli Vesnin avevano preservato nei loro progetti sulla nuova città, e che invece venne abbattuta per far posto a una “grande” piscina. Dopo la perestrojka, comunque, è stata ricostruita.

 

Dall’alto:

J. Chernikov, Fantasie architettoniche, 1920-30

Tatlin, Monumento alla III Internazionale

Vesnin, sede della Leningradskaja Pravda