La scelta del Commissario e artista Adel El Siwi di declinare una immagine dell’arte egiziana da mostrare in occasione della 53ª Biennale appare evidente nelle opere del padiglione, tra le grandi sculture di Askalani, in cui la monumentalità si combina ad un materiale effimero e leggero che sembra per sua natura porsi in antitesi al concetto stesso di monumentalità, e le ampie tele di El Siwi, dove la grande dimensione risulta appunto “leggermente monumentale”.
Scartato, anzi allontanato all’ultimo momento dalla Biennale del 2005, per le sue posizioni troppo critiche nei confronti della politica culturale egiziana portata avanti dal Consiglio Supremo della Cultura di cui era membro fino alle polemiche dimissioni, Adel El Siwi torna nel 2009 come Commissario del Padiglione Egiziano, portando con se Ahmed Askalany, scartato anch’egli all’ultimo momento nel 2005.
Il Commissario è una figura complessa e inquieta; vissuto a lungo negli Stati Uniti e a Milano, si trasferisce in Egitto ormai artista a tutto tondo e si dedica alla produzione delle sue tele scure su cui segni quasi opalescenti formano linee curve che sembrano suggerire sagome e forme. Parallelamente all’impegno nelle arti visive, El Siwi è attivo nel campo della traduzione; è sua la traduzione del trattato di pittura di Leonardo Da Vinci in arabo e la produzione di progetti editoriali di arte contemporanea.
Di diversa generazione e formazione Ahmed Askalany, classe 1979, il quale, formatosi come ceramista, raggiunge una sua tecnica che guarda più alle arti applicate che alle “tecniche artistiche alte” pur non abbandonandole, spaziando dalla ceramica, al vetro, alla raffia intrecciata, al bronzo, al gesso, alla pietra, sempre alla ricerca di un soggetto e di una scelta iconografica sincera che colga il movimento, che ne sintetizzi la “monumentale semplicità”. Insieme calato nella contemporaneità delle ricerche delle arti visive contemporanee e della tradizionale iconografia e cultura della sua terra, trova una sua lingua in parte povera ma sintetica ed espressiva, figure umane ed animali, fermate in preghiera o in corsa, nella quotidianità cristallizzata della scultura.
Legati entrambi anche se con diverse modalità all’Egitto, al suo passato e presente, utilizzano linguaggi differenti e differenti appaiono anche la lettura e la reazione di fronte alla presenza in Biennale.
In occasione della 53 Biennale di Venezia, qualche settimana prima dell’inaugurazione, ho chiesto ai due artisti che rappresentano l’Egitto di spiegare il progetto presentato a Venezia, il significato che per entrambi ha la presenza alla Biennale e qualche aspetto tecnico legato alla produzione artistica.
Le risposte che leggerete di seguito testimoniano e delineano le ricerche peculiari di entrambi gli artisti, ma anche le loro emozioni e aspettative.

Maria Giovanna Tumino: Quale è stato il percorso formativo che l’ha portata alle arti visive?
Adel El Siwi: Sono un autodidatta, che è sempre stato appassionato di arte in generale e di pittura in particolare. Durante gli anni universitari, in cui studiavo medicina, ho seguito alcuni corsi liberi alla Facoltà di Belle Arti del Cairo, poi ho avuto la fortuna di incontrare dei veri maestri, artisti che hanno condiviso con me la loro esperienza e mi hanno insegnato molto, prima Hassan Soliman, in Egitto, poi Renzo Ferrari quando sono andato a vivere in Italia. E poi mi sono formato sui testi, guardando i lavori degli altri artisti e leggendo i grandi teorici come Leonardo e Paul Klee, per me importanti al punto che li ho in seguito tradotti in arabo.
Ahmed Askalany: Ho sempre pasticciato con la terra e il gesso, fin da bambino, nel paese dell’Alto Egitto da cui provengo. Dopo gli studi secondari sono arrivato al Cairo, cercato gli artisti che lavoravano la terracotta e la ceramica per stare con loro e imparare il mestiere. Mi sono formato così, lavorando fianco a fianco con chi ne sapeva più di me.

M.G.T.: Può descrivere il lavoro che presenterà in occasione della Biennale di Venezia?
A.E.S.: Si tratta di un lavoro in cui cerchiamo di ritrovare quell’energia collettiva che secoli fa in Egitto ha potuto diventare un riferimento per l’umanità, portando a termine grandiose realizzazioni sia concrete che spirituali, e che non ha perso completamente la sua spinta verso la creazione, malgrado le difficoltà e gli impedimenti del presente. Dal cuore della vita quotidiana egiziana, luogo dell’energia che non riesce più a convogliarsi in realizzazioni permanenti, dal muoversi della gente e delle cose, nascono dei monumenti immateriali, fragili ma possenti come colossi, forme al tempo stesso riconoscibili e ambigue, ibride ma autentiche. Nella pittura in particolar modo insisto sul racconto, che si esprime con una verticalità solenne, ma solcata da piccoli aneddoti che suggeriscono avventure possibili, sentieri di pellegrinaggi verso terreni non sacri. L’eccezionalità del monumentale con il suo aspetto eroico ospita il suo antagonista, che lo mina e lo provoca dal suo interno, senza però distruggerlo. Al suo fianco la scelta del tondo, sottolineando la geometria esterna del lavoro, accentua la presenza della pittura in quanto tale, concentrata sul suo centro invisibile ed emblematicamente distante dal contesto reale.
A.A.: Il lavoro per la Biennale è la naturale continuazione della mia ricerca di sempre. Ho pensato a personaggi e animali ingigantiti e stilizzati che si presentano come masse vuote, apparizioni fragili. Sono sculture realizzate a partire da tecniche semplici, simili all’intreccio dei capelli di una bambina, con foglie di palma del loro colore naturale montate su scheletri di ferro, immagini prese dalla mia terra, dalle sue tradizioni ma anche dal suo quotidiano pacifico.

M.G.T.: Che importanza riveste all’interno della sua poetica la tecnica che utilizza?
A.E.S.: La tecnica aiuta le idee a manifestarsi, evolve e cambia con me nel fare e per fare, non l’ho mai sopravvalutata.
A.A.: La tecnica e ciò che voglio dire, attraverso di essa sono una cosa sola. Quando concepisco e voglio sviluppare un’immagine, posso farlo solo tramite un particolare tipo di materiale e non un altro. Le mie forme sono semplici, hanno bisogno quindi di tutto il rigore che viene dalla giusta scelta di una curva, o di un materiale appunto.

M.G.T.: Essere invitati ad una biennale rappresenta in qualche modo un riconoscimento a livello istituzionale del suo lavoro di artista, che importanza ha all’interno della sua ricerca il riconoscimento/il successo di pubblico e mercato?
A.E.S.: Più aumenta il riconoscimento più si fa dura la sfida a mantenere alto il livello di qualità del lavoro che si presenta. È forse ciò che mi interessa maggiormente nella visibilità, lo stimolo che ne deriva: continuare ad esprimere ciò che è dettato dalla propria interiorità senza piegarsi alla dittatura del successo, alle richieste subdole del mercato che ti vuole fissare in un’immagine chiara e riconoscibile.
A.A.: Non avrei mai immaginato, neanche nel sogno più roseo, di essere un giorno invitato a partecipare ad una Biennale, Venezia poi… Certo fa piacere, incoraggia a continuare, a non mollare mai. Lo stesso per il favore del mercato, sapere che riesci a mantenere dignitosamente la tua famiglia con il tuo lavoro d’artista, che non sei costretto a fare pezzi commerciali per vivere, beh… ti dà la carica.

Dall’alto:

Askalany, Those who pray, 2009
Iron and palm leaves, 300 × 80 × 60 cm each figure

53 Biennale di Venezia, Padiglione Egiziano, ingresso veduta parziale delle opere di Ahmed Askalany e di Adel El Siwi.

53 Biennale di Venezia, Padiglione Egiziano, salone, veduta parziale delle opere di Ahmed Askalany.

53 Biennale di Venezia, Padiglione Egiziano, salone veduta parziale delle opere di Ahmed Askalany e di Adel El Siwi.