Massimo Coen ha studiato violino e musica da camera a Roma, presso il Conservatorio di Santa Cecilia (a Roma si è anche laureato in giurisprudenza presso “La Sapienza”), e si è successivamente perfezionato presso il Mozarteum di Salisburgo e presso il Conservatoire Royal di Bruxelles. Ha fondato a Roma nel 1961 il gruppo de “I Solisti di Roma” e nel 1963 il “Quartetto Nuova Musica”, formazioni variabili nel corso del tempo (entrambe le sigle hanno riunito compagini differenti di musicisti), impegnate in intense stagioni concertistiche in Italia e all’estero e nella registrazione di opere sia del repertorio antico sia di nuova musica italiana. Nel 1979 Coen ha cominciato a comporre: al suo primo lavoro Acqua, terra, aria, fuoco per violino e nastro magnetico hanno fatto seguito decine di composizioni per vari organici, inclusa la voce. Tra gli esiti più convincenti della sua poliedrica attività di compositore-esecutore figurano le collaborazioni teatrali con Carlo Quartucci e Luigi Cinque, con i jazzisti Giorgio Gaslini, Massimo, Urbani, Steve Lacy, Bruno Tommaso e infine le molteplici combinazioni con la danza (Coen ha insegnato per circa trent’anni presso l’Accademia nazionale di danza di Roma) per la messa a punto delle recenti opere multimediali.

La storia degli interpreti della musica contemporanea attende ancora in buona parte di essere scritta, malgrado abbia segnato in maniera nient’affatto marginale l’effettivo configurarsi dei linguaggi musicali nell’epoca moderna: all’interno del neoistituito Archivio storico della musica contemporanea di Roma si va costituendo la sezione dedicata agli esecutori della nuova musica proprio per la messa a punto, negli anni a venire, di progetti di ricerca finalizzati alla documentazione del lavoro imprescindibile svolto da questi “ambasciatori” del nuovo.
Nella primavera del 2004 si è inaugurato, presso il Museo Laboratorio di Arte Contemporanea della “Sapienza”, un primo ciclo di Incontri con gli interpreti che ci auguriamo possano costituire una tappa non effimera ai fini della ricostruzione di quella storia taciuta -o appena accennata -di cui s’è detto e, più in generale, ai fini della scrittura della storia delle musiche e delle esperienze musicali del nostro tempo.
Massimo Coen (Roma 1933), violinista e compositore, ha navigato da protagonista attraverso le tensioni e le passioni musicali del secondo novecento: tutte le ha incontrate, conosciute, visitate -alcune certamente amate più delle altre -senza preclusioni di sorta, fino a farsene travolgere per donarsi a sua volta alla composizione grazie ad una tenace vocazione per la ricerca sul suono nelle regioni di confine tra la scrittura e l’improvvisazione. Frutto tardivo e prezioso di una stagione felice della storia musicale romana, quando Roma rappresentava forse il centro culturale italiano più aperto e vitale, [1] Coen è tornato quest’anno al Museo Laboratorio per aiutarci a decifrare la relazione profonda esistente tra la forma e la scrittura delle opere di Domenico Guaccero e il pensiero filosofico-matematico di Pitagora. [2] Il riconoscimento della valenza simbolica -peraltro multipla- dei segni ricorrenti nelle partiture esoteriche di Guaccero (si vedano, in particolare, Variazioni 2, Pentalfa, Variazioni 3) aveva già costituito l’argomento centrale delle conversazioni tenute dal violinista, e dal suo gruppo de I solisti di Roma, nel corso della memorabile mostra Suono e Segno 1958-1978. Suggestioni grafiche nell’avanguardia musicale italiana, un’esposizione di partiture con perfomance esemplificative dal vivo, svoltasi presso il Museo Laboratorio a cura di Simonetta Lux alla fine degli anni ottanta.
Nessuno meglio di Massimo (Coen) ha saputo raccontare la sua storia di musicista eclettico e trasgressivo, dall’impegno maturato nelle più impervie regioni dell’avanguardia musicale italiana (Scelsi, Maderna, Evangelisti, Guaccero, Clementi, Bortolotti), sino alle recenti creazioni realizzate nel segno di un’assoluta trasversalità dei fenomeni dell’arte e della cultura; nessuno meglio di lui ha saputo cogliere con gesto essenziale le esperienze cruciali della sua vita d’artista, ancora vivacemente in corso, in uno scritto di qualche anno fa che qui trascriviamo per intero:

Come interprete ho seguito con grande curiosità l’evoluzione della “nuova musica” dagli anni cinquanta fino a oggi. Negli ultimi venti anni ho vissuto quel processo che viene indicato come “crisi dell’avanguardia”: una crisi del linguaggio musicale legata, a mio avviso, all’attenuarsi delle motivazioni politiche e di protesta rivoluzionaria che erano state alla radice della “nuova musica”.
Parallelamente ho assistito al progressivo disinteresse del pubblico, sempre più ristretto ai soliti “addetti ai lavori”. Come compositore, dal 1979 ho reagito a questa situazione, attingendo ispirazione dalla mia lunga esperienza di “musica classica”, senza rinunciare ad alcuni elementi linguistici propri dell’avanguardia, anzi utilizzando con grande libertà elementi dalla dodecafonia, la quale è giustamente definita da Macculi, nel suo saggio, come tecnica compositiva, non già stile musicale.
Allo stesso tempo (e spesso con ironia e contaminazione) mi sono dedicato al recupero non solo delle mie radici ebraiche (la musica degli ebrei della diaspora, con particolare attenzione alla musica klezmer), ma anche alla ricerca delle radici musicali delle più diverse etnie: la musica popolare indiana, la musica brasiliana, la musica africana, madre di tutti i ritmi, il jazz, l’improvvisazione.
Venivano così a cadere tutti i divieti melodici e ritmici dettati dal credo avanguardista (vietato vietare) e si andava delineando qualcosa che (pur nel mio limitato orizzonte) si potrebbe definire “La musica del mondo”. Voglio ricordare come maestri e compagni in questo cammino almeno quattro nomi: Antonello Neri, Luigi Cinque, Giancarlo Schiaffini e Vittorio Gelmetti, i quali hanno anticipato (anche con supporti digitali) questa tendenza ricca di futuro.
Altrettanto feconda è l’altra ricerca dell‘intercodice, cioè l’incontro della musica con diversi linguaggi: danza, arti visive e poesia. Suonare una scultura, leggere in musica un quadro, vivere la simbiosi tra suono e segno, improvvisare un contrappunto tra un testo scritto (poesia e prosa) e gli strumenti (violino, pianoforte o percussione), leggere un’architettura o elementi della natura come alberi e fiori. Gli esempi si potrebbero moltiplicare, ma il concetto è chiaro: nella cultura dell’immagine (èidolon=idolo) imposta dai media alle masse, e troppo spesso inquinata da esigenze di marketing, la mia è una ricerca intesa a cogliere nel fenomeno artistico o naturale le ragioni più intime del suo farsi, spesso nel momento stesso della creazione.
Sono convinto che questo modus operandi non contraddica l’antico divieto ebraico e islamico delle immagini, anzi sia l’interpretazione più autentica del suo segreto. Certo è che lo spettatore-ascoltatore riceve oggi con grande attenzione e stupore questo messaggio rivolto a tutti (bambini compresi), uscendo così dal ghetto della musica d’avanguardia e dall’ideologia eurocentrica dell’espressione musicale.
[3] Massimo Coen ha studiato violino e musica da camera a Roma, presso il Conservatorio di Santa Cecilia (a Roma si è anche laureato in giurisprudenza presso “La Sapienza”), e si è successivamente perfezionato presso il Mozarteum di Salisburgo e presso il Conservatoire Royal di Bruxelles. Ha fondato a Roma nel 1961 il gruppo de “I Solisti di Roma” e nel 1963 il “Quartetto Nuova Musica”, formazioni variabili nel corso del tempo (entrambe le sigle hanno riunito compagini differenti di musicisti), impegnate in intense stagioni concertistiche in Italia e all’estero e nella registrazione di opere sia del repertorio antico sia di nuova musica italiana. Nel 1979 Coen ha cominciato a comporre: al suo primo lavoro Acqua, terra, aria, fuoco per violino e nastro magnetico hanno fatto seguito decine di composizioni per vari organici, inclusa la voce. Tra gli esiti più convincenti della sua poliedrica attività di compositore-esecutore figurano le collaborazioni teatrali con Carlo Quartucci e Luigi Cinque, con i jazzisti Giorgio Gaslini, Massimo, Urbani, Steve Lacy, Bruno Tommaso e infine le molteplici combinazioni con la danza (Coen ha insegnato per circa trent’anni presso l’Accademia nazionale di danza di Roma) per la messa a punto delle recenti opere multimediali.

 

NOTE
[1] Giovanni Guaccero senza titolo, in Massimo Coen. Live portrait Booklet, MRF Records 005/5.
[2] Cfr. la lezione-concerto, intitolata “Domenico Guaccero, musica matematica filosofia”, tenuta da Coen il 13 maggio 2004 presso il Museo Laboratorio di Arte Contemporanea nell’ambito del corso di Storia della musica contemporanea e d’avanguardia della facoltà di Scienze Umanistiche, dedicato quest’anno al teatro musicale sperimentale del compositore pugliese.
[3] Massimo Coen, La musica del mondo, «Lettera internazionale», XVIII (2001), n. 69, p. 50.