Sintesi del saggio in lingua inglese presentato nella Parallel Paper Session della NEOTHEMI Conference 2003 “ICT and Cultural Heritage, Theory and Practice”, Università di Helsinki 9-10 settembre 2003 e pubblicato in lingua inglese nel volume omonimo a cura di Seija Karppinen, Universitˆ di Helsinki, 2004.

Introduzione 

Questo saggio, prima di occuparsi della didattica relativa agli argomenti proposti, si interrogherà trasversalmente sulla natura e le estetiche delle immagini fotografiche indagando le radici culturali del guardare fotografico, poi esaminando brevemente i risultati dal punto di vista iconografico, operativo ed estetico. 

Dato che le immagini fotografiche – includendovi anche i film, i video, alcuni tipi di immagine elettronica ecc. – sono il fattore di più evidente plasticità nella cultura visiva contemporanea, in questo saggio si sostiene anche che in un modo italiano di guardare il paesaggio urbano, fotograficamente o meno, siano contenuti vari elementi, oggi contenuti nella concezione globalizzata del fotografico, ma direttamente associabili al nostro Patrimonio Culturale.
Questo saggio è stato presentato presso il dipartimento di Teacher Training dell’Università di Helsinki, perciò ho forzato una certa sintesi sui particolari minuti della nostra storia pittorica; ho inoltre fatto ricorso al montaggio elettronico di numerose immagini inclusi alcuni risultati pratici delle premesse teoriche nei lavori di miei studenti delle università di Roma “La Sapienza” e della Tuscia. A un simile tipo di testo eminentemente visivo posso solo accennare qui, descrivendo sommariamente i set di immagini presentati. 

Immagini della Città
Prima di tutto bisognerà fare qualche tentativo di modificare il nostro punto di vista, passando dalla pratica ordinaria del guardare il paesaggio urbano italiano (sia su riviste o pagine web che nei musei o dal vero), approcciando invece un modo italiano di guardare il paesaggio urbano. 
Ci sarà da capire se qualcuno dei vari “modi di vedere” (v. Berger 1972) applicabili alla visione di una qualunque città, possa corrispondere a un qualche paradigma italiano. Dovremmo delineare tale paradigma e poi procedere a domandarci se esso sia rimasto stabile negli anni o se non abbia vissuto mutazioni e slittamenti verso differenti varianti. Il formarsi e l’utilizzo di un luogo comune sono fatti naturali e non possono significare nulla dal punto di vista nazionalistico. L’esame di questi modi di vedere pur per mostrarne le connessioni con una specifica eredità culturale. 
Stando a W.T. Mitchell (1994: 9), nella tradizione europea della pittura di paesaggio (cioè marginalizzando per un attimo la potente eredita’ estremo-orientale) vi sono state tre principali strade maestre (per il termine “route of reference” si veda Goodman 1976): quella romana, quella francese e quella fiamminga. Quest’ultima fa perno su un’estetica chiaramente riconoscibile e basata sul realismo, il simbolismo, l’accuratezza minuziosa ecc. Mentre la maniera francese, se nel suo periodo italianizzante del XVII sec. (con N. Poussin, C. Lorrain etc.) mostra abbastanza chiaramente diverso gradi di discendenza da un’origine classicista, nella più complessa versione moderna (C. Corot, P. Cezanne ecc.) ha cercato una base estetica aliena dalle definizioni combinando, sulle radici gia’ ricordate, influenze sia inglesi che giapponesi. 
Quindi: la pittura italiana di paesaggio – basata sulla prospettiva naturale, l’ idealizzazione e la costruzione spaziale – dovrà essere intesa come un paradigma che ricomprende sia gli affreschi ellenistici romani di Pompei sia le loro reinterpretazioni rinascimentali, fiorentine o veneziane, su basi geometriche assai piu’ rigorose; tale paradigma dovrà infatti ricomprendere le rimesse in gioco derivative dei modelli antichi: molti revival classicistici infatti – siano del XVII sec. in Francia o del XVIII in America – devono una gran parte del loro DNA al fondersi dei due fondamentali paradigmi prima menzionati. 

Prospettiva italiana 
Una definizione standard della cultura visiva italiana non puo’ non far perno sulla prospettiva (in pittura, scultura e architettura). Possiamo considerare la prospettiva – qui non trattata di per sè – come un costrutto mentale atto a far confondere l’artificio come immagine di un’esperienza visiva naturale. Non proveremo nemmeno ad asserire che ovunque sia in uso la prospettiva li’ siano al lavoro paradigmi italiani; è certo però che una certa somiglianza di famiglia si riscontra innegabilmente tra le arti classiche italiane e i vari e diversi tentativi di cogliere il paesaggio come spazio misurabile e come varietà ordinata di fenomeni. Queste pulsioni rivelano un qual ideale di ordine e grazia, sia essa umana o divina, difficile da confondere con le immagini realistiche e le tranches de vie – in pittura, fotografia e cinema – che devono la propria origine al perpetuarsi di un paradigma fiammingo. 
Quanto alla fotografia, non vi è solo un rapporto tecnico – lo chiameremo operativo – fra le arti prospettiche italiane e i modi fotografici di vedere il paesaggio urbano, ma ancor più evidentemente ve n’ e’ sia uno estetico che uno iconologico. È noto l’uso intensivo, fatto dagli artisti italiani di paesaggio dal XV sec. in avanti, di dispositivi quali la camera obscura e/o la camera lucida, e proprio questi meccanismi ottici sono i precursori dello sguardo fotografico – stando a P. Galassi (1981) – considerato il fatto che l’invenzione della fotografia consiste essenzialmente in un valore aggiunto fotochimico sulla solida base delle migliorie rinascimentali agli antichi saperi di ottica. Lo sguardo fotografico, cosi’ come lo conosciamo, in un certo modo mette in scena la meccanizzazione dei principi prospettici: transitivamente la fotografia potrebbe quindi essere considerata anch’essa un costrutto mentale atto a far confondere l’artificio come immagine di un’esperienza visiva naturale. 
Ma quali sono dunque i paradigmi italiani nella fotografia di paesaggio urbano? Un paradigma italiano è all’opera quando il panorama urbano rivela – nella filigrana concettuale delle immagini -un’idealizzazione/razionalizzazione della scena di città. In simili casi la scena urbana e’ spesso trattata come uno scenario, uno scenario che ospita diversissimi tipi d’azione: razionale o fantastica. E in ciò sta anche lo spazio di slittamento interno allo stesso paradigma visivo italiano. 
L’estetica fotografica deriva – fin dai tempi della fotografia pittorialista – da preoccupazioni squisitamente pittoriche come la composizione, il decoro ecc. E proprio queste sono l’anima della tradizione dell’arte accademica italiana in cui una salda presa sul disegno si fonde con contenuti trascendenti. Dopo il XVII sec. questa tradizione si sposa ad un rispetto della dignità di soggetti umili ed ordinari, del tutto tipico della pittura di genere fiamminga. Un primo scivolamento nell’estetica classica italiana deriva, infatti, da contatti con la cultura visiva ispano/fiamminga, quando le arti italiane post-rinascimentali giunsero ad abbracciare sia un realismo idealizzato (che nei secoli porterà da Caravaggio a Pasolini) sia il neo-classicismo (che dalla famiglia Carracci condurrà fino alla famiglia Alinari). Spesso in questa tradizione allargata si annida una retorica della prospettiva, funzionale alla tradizione teatrale, gemmante dall’eredita’ tardo-rinascimentale dei “quadraturisti” (pittori di soffitti dalle prospettive illusive) tanto quanto dall’arte del Barocco romano. 

set di immagini: Classici italiani di figure e paesaggio Dalle pitture romano-ellenistiche del I sec. a.C. a quelle fiorentine del XV sec. e veneziane del XVI sec.: le architetture – sia contemporanee che archeologiche – sono trattate in modo teatrale mediante la prospettiva. 2o set di immagini: Canoni classicistici del paesaggio all’italiana In alcuni affreschi pompeiani le figure umane stanno come spettatori fittizi e come misura umana, in una scena altrimenti incommensurabile, e perciò irrealistica (benché irreale in quanto mitica). In Annibale Carracci e Claude Lorrain questo stesso canone è rivissuto meticolosamente come un passaporto iconografico per la bellezza. Questo modello è vivo perfino in anonimi fotografi del tardo XIX sec. e nell’opera di Luigi Ghirri: le sue fotografie contemporanee ricreano lo stesso motivo di figure-in-un-paesaggio mostrando sia un’accurata coerenza sia una disturbante ironia. Ghirri usa il contesto paradossale simulando sardonicamente l’estetica classica. 

Proviamo ora ad analizzare i paradigmi italiani del paesaggio urbano fotografico secondo uno sguardo iconografico, operativo ed estetico. 

1. Livello iconografico
È facile riconoscere un panorama creato su basi prospettiche, soprattutto se è un panorama urbano nel quale le architetture divengono un metronomo spaziale. Fra le nozioni connesse alla tradizione iconografica, la prospettiva è divenuta una vera e propria strada maestra concettuale per l’interpretazione della cultura visiva italiana. La prospettiva, nel suoi vari usi geometricamente più e meno legittimi, e’ stata uno strumento potentissimo per ridisegnare letteralmente il mondo e il rapporto dell’uomo con esso. Musei e testi autorevoli testimoniano in modo sovrabbondante questa cultura visiva e il suo contributo alla creazione di un nuovo rapporto fra gli uomini e il loro ambiente di vita. Il Rinascimento italiano è quindi divenuto una specie di metafora di chiarezza prospettica – non senza inapparenti sottigliezze – e di una costruzione coerente e complessa dello spazio. Elementi che oggi vengono letti come tipici della cultura visiva italiana; tanto tipici da esser passati al ruolo di cliché. 

Set di immagini: Classici italiani della prospettiva urbana
Dagli albori della prospettiva tardo-medievale (una veduta idealizzata di Siena di Ambrogio Lorenzetti) ai primi paesaggi urbani costruiti con la prospettiva legittima da Masaccio, dalla celeberrima veduta di città ideale da parte di un autore del XV secolo da Urbino – patria degli studi umanistici sulla prospettiva – fino all’interpretazione peruginesca di tale modello e la piu’ ricca e complessa rielaborazione del proprio maestro da parte del giovane Raffaello. 

2. Livello operativo
La prospettiva nel suo senso più ampio, e nell’accezione concettuale del termine, è il legame tra il Rinascimento e le culture visive fotografiche. La fotografia dei primordi, derivando dall’uso di apparecchiature ottiche come la camera obscura e la camera lucida – entrambe nate per estrarre dalla realtà ottica le linee della prospettiva paesistica – deriva per ciò stesso dalla radice stessa della cultura visiva italiana. Inoltre, come già detto, i parametri d’eccellenza estetica sono stati a lungo fissati sugli esempi dell’arte italiana dal Rinascimento al classicismo seicentesco. Nei primi tempi della fotografia pittorialista questi stessi sono stati i piu’ importanti stilemi di riferimento. Da non dimenticare inoltre la peculiare estetica preraffaellita che anima le arti fin-de-siècle, inclusa la fotografia, e che riporta in voga il primo Quattrocento in modo del tutto organico all’ infatuazione prospettica degli adepti del nuovo medium. 
Per quanto detto prima, il solo fatto di utilizzare meccanismi ottici e di ricorrere all’estetica prospettica significa, perciò, automaticamente far perno concettualmente sulla nostra cultura visiva. Fin quando si parla di modelli italiani dello sguardo, la prospettiva è a fotografia e viceversa. 

Set di immagini: Momenti chiave nello sviluppo tecnico della prospettiva nelle arti Dai disegni di Albrecht Dürer raffiguranti un artista che usa strumenti autocostruiti per ottenere la giusta prospettiva, fino a diversi modelli di camera obscura: da una del XVI secolo ad una grandissima, anche se definita “portatile”, del XVII secolo, fino al diagramma di una fotocamera moderna con linee assai simili a quelle antiche nel mostrare il percorso della luce.

 

Dall’alto:

Fratelli Alinari, Gli Uffizi e Palazzo Vecchio – Firenze, 1860, Stampa all’albume – Fonte: AA.VV., Photography from 1839 to Today. Taschen, Kšln, 1999: 149. © George Eastman House, Rochester, NY

Giorgio De Chirico, Mistero e malinconia di una strada, oliosu tela, 1914, coll. priv. – Fonte: Maurizio Fagiolo Dell’Arco (ed.), L’opera completa di De Chirico 1908-1924 (1984). Rizzoli, Milano, 1999: tav. XIV

Annibale Carracci, Fuga in egitto, olio su tela, 1603, Roma, Galleria Doria Pamphilij – Fonte: C. Briganti, G. Bertelli, A. Giuliano (ed.), Storia dell’arte italiana – vol. 3. Electa-Bruno Mondadori, Milano, 1986: 268.

Luigi Ghirri, Rimini, Italia in miniatura, 1985, C-print – Fonte: Aperture, n. 132: “Immagini Italiane”, New York, summer 1993: 47. © Archivio Luigi Ghirri, Reggio Emilia 

Anonimo (Luciano Laurana / Francesco di Giorgio Martini), Prospettiva architettonica, detta “La città ideale”, 1470-80, tempera su tavola, Baltimora Walters Art Gallery – Fonte: G.C. Argan, Storia dell’arte italiana (1968), Sansoni, Firenze, 1988: 239. © Baltimora Walters Art Gallery

Anonimo, Camera Obscura, Lovanio, 1544, incisione

Schema di funzionamento di una fotocamera, illustrazione – Fonte: John Hedgecoe, Il grande libro della fotografia (1976), Vallardi, Milano, 1983: 170. © John Hedgecoe