Chiara Passa è un’artista romana riconosciuta a livello internazionale, ha esposto in numerosi musei, gallerie e festival di New Media Art, in Italia e all’estero. La sua ricerca, fin dall’inizio della sua attività, che risale alla fine degli anni ’90, è incentrata sulle nuove tecnologie: animazioni digitali, installazioni video interattive, net-art, progetti pubblici site-specific. La sua indagine artistica parte quindi dall’uso delle nuove tecnologie, ma la tecnologia è per lei solo un mezzo di espressione, non il fine dell’opera. Un’attenzione particolare infatti è rivolta allo spettatore, ai meccanismi sensoriali ed emotivi che l’opera interattiva digitale innesca nel fruitore. Altro aspetto di ricerca è il concetto di spazio, di architettura; molti lavori di animazione digitale puntano alla costruzione di spazi altri, di nuove dimensioni in cui lo spettatore diviene fruitore e con il suo intervento trasforma e muta il contesto e l’ambiente digitale che lo circonda.

Gabriella D’Argenio: Lo sviluppo tecnico ha da sempre influenzato le idee e il lavoro degli artisti. Con le nuove tecnologie digitali si sono aperte nuove possibilità espressive. La tua ricerca va di pari passo con il progresso tecnologico, ma che valore dai alla tecnologia e alla tecnica nel tuo lavoro?
Chiara Passa
: La tecnologia mi affascina in termini di produttività artistica, l’adopero per comprenderne l’intrinseco linguaggio. Sperimento in maniera rigorosa e personale sulle molteplici possibilità che essa continuamente mi offre. Ovviamente dalla tecnologia dipende la mia intera opera che, costruita al computer, non può prescindere da essa perché nasce, vive e comunica attraverso i nuovi media. La tecnologia, riguardo all’arte, per me, non ha valore se diviene esclusivamente lo sfoggio della potenza del mezzo tecnologico privo di messaggio.

G.D.: Le nuove tecnologie, le opere interattive, la net-art, hanno trasformato lo spettatore passivo in fruitore attivo dell’opera. Infatti l’osservatore non contempla più il lavoro dell’artista, ma partecipa attivamente permettendo all’opera di esistere grazie alla sua stessa presenza. La critica però da tempo dibatte sulla questione che l’interattività nasconda comunque un ruolo passivo dello spettatore, il quale reagisce ad una struttura predeterminata dall’artista. Che funzione dai tu a questa interattività?
C.P.: Già dagli anni Cinquanta, il concetto di happening che vede la compartecipazione di autore e spettatore, annuncia l’arte interattiva. Le possibilità d’interazione nell’arte interattiva crescono di pari passo con lo sviluppo delle tecnologie digitali. Lo spettatore contemporaneo deve allenarsi (come il giocatore per i videogame) a fruire l’arte interattiva che è trasmessa tramite energia cibernetica (elettronica), cioè molto rapidamente. Sicuramente avrà bisogno di fruirla varie volte rispetto, per esempio, a un’opera di arte cinetica che, pur essendo trasmessa attraverso energia elettrica, si manifesta e si evolve in modo più lineare e comunque meno rapido. Nella mia opera il ruolo del fruitore è totalmente attivo e partecipativo: egli ha la possibilità di associarsi al processo creativo e così diventare co-autore dell’opera attraverso livelli d’interattività metaforici e sempre mutevoli. L’opera interattiva è, per definizione, un insieme di possibilità, un processo più che un’opera, che viene creato di volta in volta proprio dal visitatore che appunto, in questa occasione, si trasforma attraverso combinazioni di scelte consapevoli e casuali, in “partecipante”. L’interattività veicola lo spettatore attraverso un percorso di conoscenza e apprendimento emozionale dove la propria soggettività viene messa in discussione proprio dalle scelte che di continuo effettua attraverso l’opera.

G.D.: Una certa arte digitale predilige l’aspetto sorprendente e ludico nell’utilizzo della tecnologia. La tua ricerca include questi aspetti, ma li supera per una riflessione più profonda sullo spazio, sul tempo, sul senso stesso dell’essere nell’era digitale. Quali saranno, secondo te, le prossime tendenze della New Media Art? La realtà virtuale, con i suoi sistemi immersivi, produrrà un miglioramento dell’esperienza estetica o si assisterà al prevalere degli aspetti sensazionali e di intrattenimento su quelli riflessivi, percettivi e sensoriali?
C.P.: La mia arte coinvolge lo spettatore spingendolo a confrontarsi con un’altra spazialità, un altrove digitale che è ormai la nostra quarta dimensione spazio-temporale, impossibile da ignorare. Sicuramente i sistemi immersivi produrranno un miglioramento dell’esperienza estetica in termini di simulazione… ma, come diceva Magritte: “Questa non è una pipa” ma un’immagine di una pipa. Per quanto riguarda la realtà aumentata, come ho già scritto per Augmented Irreality, essa mette in luce il paradosso di come la realtà aumentata e simulata, in verità, la diminuisca, sottraendo e modificando i livelli reali, e aumentando l’irreale nella nostra dimensione reale… e quindi: “Let’s entertainment!”.

G.D.: Parliamo ora nello specifico dei tuoi lavori. Da diversi anni porti avanti progetti paralleli: animazione e video installazione interattiva, progetti di net-art e site-specific. Quali progetti hanno ottenuto più riscontro di critica e pubblico, e secondo te perché?
C.P.: La mia opera combina vari mezzi: l’animazione e la video installazione interattiva, i progetti d’internet-art e gli spazi pubblici in cui installo opere site-specific. Sinceramente non saprei dire quali opere hanno riscontrato più successo. Ho esposto e realizzato quasi tutto, principalmente fuori Italia. Forse direi che le video installazioni interattive e partecipative hanno coinvolto il pubblico in prima persona e perciò sono state maggiormente apprezzate ma è molto seguito anche il progetto di blog-art ideasonair.net, che ha vinto l’eContent Award nel 2008, per la categoria e-culture.

G.D.: Ideasonair è un’opera di net-art, in cui condividi su un blog i tuoi progetti artistici, mettendoli a disposizione di qualunque artista voglia realizzarli. Si tratta di un’opera in divenire, in sintonia con l’idea di condivisione del sapere. Ti consideri per certi versi un’artista hacker?
C.P.: Ideasonair.net è un progetto di blog-art che ho creato per servire gli artisti. Il sito mette a disposizione idee per la realizzazione di opere di new media art. Quindi: “Cari artisti, architetti, poeti, designers, critici, curatori e amanti del mestiere; se siete a corto d’idee, questo è il sito che fa per voi!. Qui le idee dall’hyperuranio sono scese in terra e hanno trovato un luogo o meglio un super-luogo, una factory virtuale, dove sono elaborate e messe a disposizione”. Ideasonair.net ha una teoria particolare sul concetto d’idea, la sua percezione e condivisione. Infatti, pensa che le idee siano nell’aria e la terra girando le sparga in vari punti. In questo modo, per esempio, un’identica idea può essere percepita e catturata allo stesso tempo sia a Roma sia a New York. Ideasonair.net si propone di esercitare una sorta di entropia tra le idee producendone sempre delle nuove e catalogandole. Le idee appaiono nel blog in tre differenti fasi. La prima fase è puramente preliminare e intuitiva, riguarda l’idea al suo stadio iniziale. La seconda fase vede i vari elementi dell’idea entrare in contatto tra loro. Questa fase si può considerare, come direbbe Freud ‘daydream stage’. Nella terza e ultima fase l’idea si presenta pronta da sviluppare. I titoli delle idee a disposizione nel blog contrassegnano le tre fasi con rispettivi colori: rosso quando l’idea è alla fase iniziale, arancione quando è ‘daydream stage’ e verde quando è pronta per essere sviluppata. Usando Ideasonair.net, l’artista non ha più bisogno di combattere per alcun copyright, copy-left, copy-down, o diritto d’autore, proprio perché Ideasonair.net condivide con tutti le proprie idee. Non sono un hacker ma una persona molto ‘aperta’… e quindi Ideasonair.net è un’opera d’arte concettuale in progress e rende evidente il concetto di opera d’arte aperta. Morale della favola: l’idea è l’opera d’arte e si può trasmettere, proprio come il pensiero!

G.D.: Le recenti videoinstallazioni interattive Augmented Irreality e Meta Motus si inseriscono nella serie da te definita Live Architecture. In questa serie di opere ti concentri sul concetto di spazio. Questo viene modellato e trasformato. Lo spettatore, infatti, attraverso i propri movimenti, modifica l’ambiente circostante. A quale tipo di stimolo è sottoposto il pubblico e che tipo di sensazioni e riflessioni cerchi di suscitare?
C.P.: Live Architecture è una serie di videoinstallazioni interattive site-specific pensate per riprogettare sinteticamente spazi architettonici interni ed esterni. Le installazioni multimediali, mostrano luoghi dinamici – per questo da me definiti “Live” – che si muovono autonomamente, oltre la propria funzionalità. L’installazione Meta Motus si sviluppa tutt’intorno allo spettatore, e mostra un ambiente in continua trasformazione. Meta Motus reagisce alle azioni e movimenti che l’utente produce liberamente nello spazio. Ogni movimento è catturato da un sistema di video-camera-tracking e convertito in coordinate geometriche che attraverso vari pattern, rimodellano l’intero spazio architettonico. Augmented irreality è una videoinstallazione interattiva che si sviluppa su tre pareti e il pavimento. L’opera (che ho costruito con Artoolkit in Quartz Composer e Metasequoia) pone lo spettatore all’interno di un software 3D, collocandolo specificatamente nella visuale: ‘finestra-telecamera’. L’utente attraverso l’uso di matrici (aventi vari pattern) stampati su quadrati della dimensione di un palmo di una mano, può manovrare, spostare, rimpicciolire, rimuovere ed interagire a 360° gli oggetti tridimensionali che incontra sugli assi cartesiani x, y e z del simulato software. L’ambientazione ricrea un appartamento tridimensionale in costruzione, che lo spettatore stesso contribuisce a personalizzare attraverso i propri movimenti. Anche Augmented irreality, come altre videoinstallazioni della serie Live Architecture, si basa sul concetto di “super luogo”, dove quest’ultimo è autonomo e performativo. La videoinstallazione fa riflettere sull’idea di irreale/virtuale e di come i nostri corpi nello spazio reale si relazionano sempre più con questa sorta di dimensione/esperienza. Augmented irreality mette in luce il paradosso di come la realtà aumentata, in verità, la diminuisca, sottraendo e modificando i livelli reali, e aumentando l’irreale nella nostra dimensione reale.

G.D.: Over the limbo è invece una videoinstallazione in cui l’utente si trova immerso in un mondo irreale, “abitato” dagli avatar di Second Life, con i quali si trova costretto a relazionarsi. Il riferimento a Second Life e l’immersione del fruitore in questo spazio altro, estraneo sia allo spettatore che all’avatar, mi sembra veli dell’ironia. É realmente presente questa componente ironica?
C.P.: Over the limbo è una videoinstallazione interattiva e nasce con l’intento di connettere, fondere e far interagire il mondo virtuale di Second Life con il mondo reale, in un’unica nuova dimensione. L’installazione trasforma un ambiente tangibile in un ‘limbo’ che mette in discussione la condizione sociale degli spettatori, poiché essi si trovano assieme agli avatar allo stesso tempo e condividono un unico spazio neutrale al di fuori di Second Life. Over the limbo forza gli utenti a confrontarsi con un’estensione digitale da cui scaturisce una nuova visione spazio-temporale. In questa dimensione, i paesaggi dissolvendosi si sovrappongono e gli utenti possono dialogare in tempo reale con gli avatar. Universo e meta-verso appaiono intrappolati in una sorta di linea di confine, in una dimensione surreale visibile in scala reale oltre lo spazio e il tempo. La componente ironica è presente forse nel concetto di “trappola-limbo-parete” che è lo spazio-anti spazio di connessione tra utenti e avatar.

G.D.: Interventi come Art Calling Digital Stories e Street Art-net cercano invece di avvicinare il pubblico all’arte digitale. Nel primo caso, il fruitore è chiamato ad ascoltare, attraverso telefoni pubblici sparsi per la città, delle registrazioni in cui si racconta di artisti ed opere di net-art. In Street Art-net hai sostituito alcuni nomi di strade con indirizzi web di net-art, sovrapponendoli alle targhe. Lo spettatore, all’interno di un taxi, è coinvolto così in questo viaggio virtuale (nel web) e reale (per la città) e attraverso un pc è invitato a visitare gli indirizzi relativi alle opere che gli si presentano durante il viaggio sulle targhe. Come mai questa esigenza divulgativa delle opere web?
C.P.: L’esigenza nasce dal fatto di voler divulgare la net-art e l’arte digitale nelle sue molteplici forme. Art Calling Digital Stories ha il compito di avvicinare la gente all’arte digitale in maniera semplice e diretta. Art Calling-Digital Stories propone alle persone in strada di ascoltare storie di new media art attraverso telefoni pubblici. Le storie scritte e registrate da me raccontano i più interessanti artisti, eventi e opere sull’arte interattiva dagli esordi ai giorni nostri. Un po’ diversa è Street Art-Net, azione Psico-Geografica che mira a sostituire tutti i nomi delle principali strade cittadine con indirizzi web di opere di Net-Art. Semplicemente affiggendo fogli di carta sulle targhe delle strade, Street Art-Net vuole promuovere e avvicinare l’arte digitale alla gente, unendo il mondo reale con quello virtuale attraverso una esperienza Psico-Geografica. Infatti, comodamente in taxi, lo spettatore attraversa la città leggendo gli indirizzi web sulle targhe stradali e attraverso il pc installato nel taxi scopre e visita le opere di net-art strada facendo.

G.D.: Secondo te la net-art è ancora poco valorizzata?
C.P.: Sì, certo. La net-art, soprattutto in Italia, non ha ancora oltrepassato quello status di curiosità che la caratterizza e perciò rimane una sorta di fenomeno sub-culturale. Non se ne parla in termini storici, nonostante l’interessamento di molte istituzioni e musei importanti nel mondo e nonostante siano passati più di dieci anni dalla sua nascita. Poi c’è il problema del mercato che non la considera minimamente perché è la più effimera delle arti ma d’altra parte sempre riproducibile e quindi, dal punto di vista del mercato dell’arte, non commerciabile.

G.D.: Hai abbandonato le animazioni digitali per l’interattività. Perché questa scelta?
C.P.: No, non ho abbandonato le animazioni, ho solo dato la priorità alle videoinstallazioni interattive che mi entusiasmano maggiormente e i progetti net-based, come l’ultimo appena uscito, The Widget Art Gallery, una galleria virtuale in un Widget che espone progetti di arte site-specific relazionati allo spazio particolarissimo che li ospita.

G.D.: Ultima domanda, progetti futuri?
C.P.: Tutti nel ‘cassetto’ ma a differenza dei sogni, ne tiro fuori sempre due o tre insieme per realizzarli… senza pause, altrimenti il cassetto esplode!

Dall’alto:

Augmented irreality, video installazione interattiva, tempo variabile, 2010.

Speaking at the wall, installazione interattiva, 3 video proiezioni che reagiscono alla voce dello spettatore.

Ideasonair.net, 6 idea: Essential language.

Meta Motus, video installazione interattiva, tempo var., 2010

Over the limbo, video installazione interattiva, tempo var., 2009.

Art calling digital art stories, public art project, 2005.

The widget art gallery, net-based artwork, 2010.