Alessandro Monticelli (1973) e Claudio Pagone (1976) vivono e lavorano a Sulmona (AQ) e a Bologna; nel 1999 creano il sodalizio artistico Monticelli&Pagone, stigmatizzandolo nella sigla M&P. Oltre che in molte collezioni private, loro opere sono conservate nell’archivio ‘Arte del XXI secolo’ della Soprintendenza speciale per l’arte contemporanea di Roma, nell’archivio di arte contemporanea ‘Via Farini’ di Milano e nell’archivio di arte contemporanea ‘Futuro’ di Roma.

Geoffrey Di Giacomo: Inizierei trattando l’ultimo lavoro esposto presso la Galleria Gallerati. Si riferisce ad un test psicologico esaminato in passato da Leonardo Da Vinci e Botticelli e messo in pratica dallo psichiatra svizzero Hermann Rorschach. Esso valutava la personalità di un individuo attraverso l’interpretazione di “disegni ambigui” o macchie nelle quali si identificavano alcune attitudini percettuali di base, mostrando aspetti del modo in cui il soggetto percepisce il mondo. La ricerca propriamente detta del vostro lavoro si auto-riversa in uno stato percettivo del mondo attraverso una deduzione inconscia dell’individuo analogamente al test?
M&P: Nella galleria Carlo Gallerati di Roma sono state esposte tele (mixed media) di grandi dimensioni, lavori fotografici ed un video inedito girato all’Accademia di Belle Arti dell’Aquila in occasione di una performance progettata per una nostra personale. Questo lavoro si basa sul dittico, scelto in quanto immagine doppia: positivo e negativo, maschile e femminile. Doppio ribadito dallo stare insieme del plotter e della tecnica mista, delle grandi superfici bidimensionali e della performance, che si muove tra provocazione e stimolazione psicologica. Sviluppando questo tema, abbiamo cercato tra l’altro l’implosività del pensiero occidentale, con una celebrazione riflessiva del soggetto-oggetto che nel negativo dell’immagine rappresenta la dionisicità rimossa e cancellata dalla coscienza ma presente sotto forma di ombra, all’interno del corpo rilucente in primo piano e di cui costituisce l’inconscio che in quel momento propizia la trasformazione in altro da sé.

G.D.G.: La performance eseguita da Claudio identifica una scelta fuori dal sistema convenzionale, ma poi ricade all’interno di un palcoscenico accademico stabile, perché? Come rientra poi nell’intero progetto e perché questa decisione di attivare un processo performativo che abbia risonanza e stimoli nel Rorschach Test?
M&P: Forse perché crediamo sia ora di allontanare la convenzionalità di/da alcuni luoghi deputati all’arte ed in special modo delle accademie, dove ci siamo accorti che il mondo dell’arte e di quella contemporanea in primis è paradossalmente molto lontano. Questo come tu sai rientra nel nostro lavoro, analizzare attraverso varie rappresentazioni il tema scelto. La performance di Rorschach è stata di forte impatto e ci ha dato nuove visioni per i lavori futuri. Realizzarla poi in un’accademia dove pensiamo non fosse mai stata rappresentato un evento artistico con nudi e soprattutto nudi maschili ci ha stimolato molto, anche per i motivi di cui si parlava prima.

G.D.G.: I lavori indagano le risposte soggettive dello spettatore di fronte a stimoli nuovi e ambigui presenti nella personalità e nell’animo più profondo, cercando, a mio avviso, di delinearne il profilo attitudinale. Quanto c’è di geniale nella follia… purché sia razionalizzata e rientri in una sfera ancora controllabile…
M&P: “Il genio fa quello che può, il talento (follia) fa quello che vuole.” (Carmelo Bene)
Ma più che di genio parlerei di poesia. La follia crediamo sia portatrice sana di poesia e come tale non può essere misurata. Talvolta la si banalizza interpretandola con lucida saggezza ma tra follia e saggezza non c’è, a volte, altra differenza che il punto di vista con cui l’essere umano contempla i propri pensieri.

G.D.G.: Vorrei soffermarmi un momento su questo “crediamo”: Monticelli&Pagone è una sola persona che ha consolidato un’intesa e che riesce ad esibire quegli ingranaggi adatti ad una costruzione perfetta? Se azzardo a dire fusione artistica…
M&P: Forse con-fusione artistica sarebbe più adeguato (ridono)…. A parte gli scherzi Monticelli&Pagone sono divenuti una coppia dopo un continuo e diverso lavoro individuale e varie sperimentazioni a quattro mani, che alla fine hanno portato ad una univoca visione lavorativa e progettuale.

G.D.G.: Quando e come avete deciso di lavorare insieme?
M&P: Circa nove anni fa in modo casuale e caotico. Caso è l’anagramma di caos, non poteva andare meglio.

G.D.G.: Il lavoro svolto e definito come equipe permette una facile gestione esecutiva e evolutiva dell’opera. Per quanto riguarda il pensiero e l’avvento dell’idea le cose potrebbero cozzare nella presa di decisioni. Nel vostro caso c’è una simbiosi del pensiero e una pratica fortemente condivisa. Quale è il vostro punto d’incontro nella realizzazione dell’opera? Cosa scaturisce e determina l’intervento e in che modo esso avviene?
M&P: Avere le stesse idee ed essere in due a realizzarle sembra una cosa apparentemente semplice ma non è sempre così. L’interesse comune che abbiamo su alcuni temi ci porta comunque ad un incontro-scontro nella realizzazione dei lavori ma l’irruenza e la pacatezza dei nostri caratteri trova sempre un punto iniziale dal quale partire e progettare seduti a tavolino con foglio e matita. Spesso l’intuizione dell’uno funge da stimolo per l’altro.

G.D.G.: Mi sembra intendere che nel vostro operato è importante immettere nello spettatore delle sensazioni e vederne gli effetti procurati. Egli, come soggetto autonomo, va considerato similmente ad un test designato e su cui infrangere alcuni parametri psicofisici, captarne le risonanze relazionali del suo stato psico-fisico? Può allora considerarsi la vostra opera, una macchia del test di Rorschach?
M&P: In una recente intervista Lara Favaretto ha dichiarato che a volte l’opera vive di una sorte indipendente ed autonoma, non si cura della presenza ma continua il suo lavoro per inerzia. Questo può succedere ma per i nostri lavori la presenza sensoriale di chi guarda conta molto, se non riusciamo in questo intento abbiamo fallito. I lavori sono realizzati per sensazioni che devono alla fine arrivare a chi li contempla. Noi siamo i primi spettatori, impossibile lavorare senza tenerlo in conto. Nel caso di Rorschack poi si entra in una sorta di allucinazioni per percezioni che possono portare le opere ad osservare lo spettatore in una mutazione che trasforma il visitatore in opera guardante. Ben diverso è l’interrogativo della destinazione dell’opera, a chi è destinata? Ci sentiamo di rispondere con le parole del maestro Giulio Paolini; a nessuno, né all’autore che se ne priva, né allo spettatore che si illude di possederla e valutarla. Ma è proprio questo il dono che rappresenta, così possiamo goderne disinteressatamente, senza formulare aspettative o pretendere risposte.

G.D.G.: La cornice corrisponde ed introduce un confine a mio avviso superato e inesistente dell’Arte. La perdita odierna della regola e limite spaziale soggiorna nel pensiero di chi riesce a relazionarsi davvero con il reale. Il vostro lavoro è una critica in tal senso oppure rappresenta una dichiarazione e volontà di mostrare l’infinito nel finito?
M&P: Siamo in sintonia con quanto da te detto, anche in visione di un nostro, futuro, lavoro di cui tu sai. Molto precise in questo senso le parole di Gilles Deleuze in un breve saggio dove il filosofo prende in considerazione alcuni movimenti creatori del tutto eterogenei, il Romanticismo, il Simbolismo, il Surrealismo; ora – scrive – si invoca il punto trascendente in cui il reale e l’immaginario si compenetrano e si uniscono; ora il loro confine sottile, come il taglio netto della loro differenza. La direzione del nostro lavoro si inscrive per intero nel reale e nell’immaginario, nella “cornice” dei loro rapporti complessi, sempre con le parole di Deleuze “unità trascendente e tensione liminare, fusione e taglio netto”.

G.D.G.: La Carta Igienica del Critico è una pillola difficile da digerire. È una semplice e pura denotazione o è una provocazione lanciata agli addetti?
M&P: Così come con la Venere dell’Immondizia dopo Pistoletto, La Carta Igienica del Critico arriva dopo la Merda di Manzoni. Azioni che mettiamo in atto ragionando sul nostro mondo ma che hanno un grande impatto, diremmo anche sociale, visto l’interessamento che suscitano. Un nostro modo di analizzare e reinterpretare ad oggi opere d’arte che hanno segnato la cultura contemporanea. Con quest’ultima ironica, dissacratoria “carta” cerchiamo di ridimensionare la figura del critico e di alcuni in particolare. Daniel Buren ha detto che “spesso ciò che viene esibito è il curatore piuttosto che l’opera d’arte”. Che dire? Con questo lavoro abbiamo cercato di esibire entrambi.

G.D.G.: Posso certamente affermare che il vostro lavoro non ha una qualifica e non si inserisce in un processo continuativo o ripetitivo di movimenti storici affermati. Percepisco una visione surrealista nella ricerca del pensiero e dell’immaginario, in Rorschach non si può certo negare una proiezione psicologica dell’arte; un concettualismo tipico dell’Arte Povera per quanto riguarda l’esecuzione pratica e la ricerca investita nel sociale e trasportato poi nella scena dell’arte. Un pluralismo di idee e messaggi in evoluzione, privo di un qualunque stampo ma che rilascia una linea di pensiero unico nel vostro lavoro. Il contrasto e decisione di utilizzare mezzi o metodi espressivi totalmente diversi fra loro (fotografia, performance, pittura o disegno, installazioni, video) nasce da un’analisi che contempla le avanguardie del secolo scorso senza abbracciarne nessuna in particolare…
M&P: No, è solo il nostro metodo, la nostra prerogativa di lavoro. Da sempre ogni lavoro che intendiamo realizzare inizia con una fase progettuale classica come il disegno per poi essere analizzata nel prosieguo attraverso tecniche più elaborate fino a quella che diviene l’opera da esporre. E spesso anche le fasi di progettazione disegni, foto, ecc. diventano parte dell’esposizione, cosi come nella prossima personale nella galleria Carlo Gallerati.

G.D.G.: Concluderei dicendo che il curatore è oggi una figura davvero efficace se agisce secondo criteri e principi solidi e onesti. Credo che il lavoro dell’artista che prende piede o si amplia o si relaziona attraverso una condivisione del pensiero del “critico pensatore curatore” possa generare un “qualcosa” fuori dal comune…Lottiamo per una pura affermazione ideologica di interventi inediti.
M&P: Perfettamente d’accordo con le tue parole. Se pensiamo solo a due grandi momenti dell’arte mondiale come l’Arte povera e la Transavanguardia non si può prescindere dalle figure dei “critici pensatori curatori” che sono stati l’anima di questi grandi periodi. Del resto la costruzione di un evento artistico pubblico o privato e simile a quella di un film, un bravo regista ha bisogno comunque di grandi attori, sceneggiatori, scenografi ecc. per generare un evento fuori dal comune come tu dici. Per questo insieme a te siamo pronti per il primo ciak.


Dall’alto:

La venere dell’immondizia, 2008, veduta dell’installazione. Courtesy Fonderia delle arti

Target, 2002, veduta dell’installazione. Courtesy Antonio D’Orazio.

Rorschach re evolution 0041, 2009, tecnica mista su tela, cm 50×77.