Rosa Menkman (1983) è un’artista olandese che lavora nell’ambito dei new media. Recentemente si è inaugurata a Brescia, alla Fabio Paris gallery, una sua mostra dal titolo Order and Progress curata da Domenico Quaranta, la prima apparizione dell’artista sul territorio italiano. L’artista si è inoltre esibita in una performance al noto Festival di arti elettroniche Transmediale di Berlino, arrivato alla sua undicesima edizione. Nel suo lavoro emerge un rapporto controverso con la tecnologia che porta all’estremo, fino al suo punto di rottura alla ricerca di nuove esperienze. Questo tipo di procedimento, che è strettamente connesso alla disfunzione della tecnologia digitale, è anche conosciuto col termine “glitch”. Da qui nascono video e performance in cui agglomerati di pixel dai colori sgargianti si muovono in maniera fluida; visoni di rara bellezza che derivano da scarti digitali.

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Daniela Cotimbo: Qual è il tuo rapporto con la tecnologia?
Rosa Menkman: Quando ho cominciato a lavorare col computer credo di aver sentito qualcosa che fosse strettamente legato alla paura, non sapevo come usare questa scatola nera (che allora era bianca) né ero sicura di trattarla nel modo giusto. Infatti, se ci penso, mi è stato detto molte volte che la usavo in modo errato. Il che è interessante, visto che ora sto lavorando con gli errori; sto forzando i computer e le macchine in generale a comportarsi in modo scorretto.

D.C.: C’è un errore: il termine usato per descrivere questa estetica dell’errore (appunto) è glitch. Cos’è il glitch in realtà?
R.M.: Il glitch è una meravigliosa esperienza di interruzione che devia un oggetto dalla sua forma ordinaria, dal suo discorso. Per un momento sono rimasta sconvolta, persa e in soggezione, chiedendomi cosa fosse questa nuova espressione; come si è creata? È da considerarsi come un difetto? Ma quando le ho dato un nome, il momento glitch non c’era più… Il glitch non ha una forma solida o una collocazione temporale; esso è comunemente percepito come modus operandi anomalo e inaspettato, una pausa dai molti flussi (che ci si aspetta) all’interno di un sistema tecnologico. Ma come la comprensione del glitch si trasforma una volta che gli si è dato un nome, così avviene nell’equilibrio della “forma glitch” stessa: l’esperienza originaria della rottura viene superata in un momento e scompare in un regno di nuove condizioni. Il glitch diventa qualcosa di nuovo e di effimero, un’esperienza personale. Alla fine, il glitch è meglio inteso proprio come esperienza personale; la sua definizione si plasma a seconda della prospettiva da cui lo percepiamo o tentiamo di definirlo. Di solito inizio facendo una differenza fra una definizione di glitch come problema tecnico, e un’altra sua accezione come evento culturale con un certo significato.

D.C.: In The Vernacular of File Formats, esponi una tesi già affrontata nei tuoi saggi, ossia la possibilità che il glitch diventi un fenomeno esclusivamente estetico. Come ti poni nei confronti di questo rischio?
R.M.: Il glitch si è trasformato dal freddo al caldo. È ovunque ora; in libreria, su MTV e nei club. Mentre la rivista Glitch Designing Imperfection (2009) ha introdotto l’estetica del design glitch nel mondo dei progettisti pivelli, Kanye West lo usa per cantare della sua imperfetta vita amorosa. Qualche volta temo che il glitch sia diventato nient’altro che una vivace e colorata bubblegum che non richiede un profondo coinvolgimento, e non offre alcuno stimolo. Dentro trovo la gomma che continuo a masticare, sperando in nuove esplosioni di sapore. Ma più mastico e meno sento il sapore e più diventa gommosa. Il design glitch soddisfa la categoria media, è uno stereotipo imperfetto, un filtro o una merce che riecheggia un “Il medium è il messaggio” standard, non pone domande, non meraviglia, o ancora non spinge a fermarsi e riflettere sul fatto che si è di fronte a qualcosa che aveva le potenzialità per essere più di un prodotto finito e statico; ma (anche) un processo, una personale esplorazione o anche un elemento narrativo (che spesso riflette criticamente sul medium). Allo stesso tempo, non voglio condannare il design glitch: per me è un’indispensabile faccia della medaglia.

D.C.: Con Order and Progress, hai esordito in Italia con una mostra personale alla Fabio Paris gallery curata da Domenico Quaranta. Quali sono le tue impressioni sulla ricezione degli italiani del tuo lavoro?
R.M.: L’inaugurazione è stata un successo; c’era un sacco di gente di tutte le età, dai giovani appena ventenni agli anziani ultra cinquantenni. Inoltre c’erano alcuni importanti critici d’arte italiani, nuovi media art curator, come Domenico Quaranta, Valentina Tanni e Simona Lodi, è stato un vero onore per me. L’arte glitch è un nuovo genere astratto, così durante l’inaugurazione ho cercato di parlare con la gente per vedere cosa ne pensava; come interpretavano il mio lavoro, cosa piaceva e cosa non piaceva. Durante l’inaugurazione di Order and Progress tutti erano molto aperti e la maggior parte delle persone ha capito da dove venivo, o dopo che ho parlato con loro, o tramite le proprie indagini e l’opuscolo scritto da Domenico.

D.C.: Recentemente ti sei esibita al noto festival Transmediale di Berlino, arrivato alla sua 11 edizione ed uno degli eventi più significativi nel panorama delle arti mediali. In cosa consisteva The Collapse of PAL?
R.M.: The Collapse of PAL era una performance in diretta televisiva che ho realizzato per TV-TV (un programma televisivo nazionale danese) e che ho rielaborato sia in un film di 10 minuti che in 30 minuti di performance audiovisiva. In The Collapse of PAL, la protagonista del film chiamata “The Angel of History” (in riferimento alla figura nel testo di Benjamin) riflette sul segnale televisivo PAL e sulla sua fine. Questa condanna a morte, anche se eseguita in silenzio, è un atto di brutale violenza che ha reso il PAL trascurato e obsoleto. The Angel of History appare in mezzo al video tra le linee tremanti e cerca il segnale migliore. Essa è divisa tra scetticismo e curiosità per la novità conosciuta da un lato, e la nostalgia per la vecchia tecnologia consolidata dall’altro. L’Angelo conclude che, mentre si potrebbe sostenere che il segnale PAL è morto, esso invece esiste ancora come una traccia lasciata sulle nuove “migliori” tecnologie digitali. Il PAL può, anche se la sua tecnologia è terminata, trovarsi qui come una forma storica che i più recenti sviluppi tecnologici hanno ereditato e di cui si sono appropriati. Oltre a questo, l’angelo si rende conto che il nuovo segnale BDV che ha sostituito il PAL è diverso, ma allo stesso tempo intrinsecamente legato. Proprio come nel testo di Benjamin, in The Collapse of PAL, l’Angelo fa un passo verso la “tempesta che chiamiamo progresso”.

D.C.: Quali sono le tue impressioni complessive sul festival. Che futuro ci riservano le relazioni mediali?
R.M.: Generalmente le persone fanno molte domande al festival? Oltre alle domande sul futuro ci sono domande su come preservare il passato; sull’archeologia dei media, sulla cura, sulla conservazione, l’archiviazione e l’apertura. Non ci sono specifiche risposte a queste domande; io penso che il futuro riguarda i differenti modi dei media di affrontare e sfidare queste domande e il come gli artisti saranno capaci di incorporare queste (ed altre) questioni nei loro lavori. Personalmente la gente mi chiede spesso quale sarà il futuro del glitch. Penso sia un argomento interessante perché tocca il cuore della tensione interna al glitch: tra il punto critico di errore e il punto di svolta in cui un risultato inaspettato diventa appropriato ed accettato. Non conosco il futuro del glitch, ma credo (e spero) che sarà un futuro da cui scaturiranno tante domande, alcune delle quali troveranno risposta, altre rimarranno insolute.

Dall’alto:
Rosa Menkman, The Vernacular of File Formats, 2010, still da video. Courtesy Fabio Paris Art Gallery, Brescia

Rosa Menkman, The Collapse of PAL, 2010, still da performance audiovisiva. Courtesy Transmediale festival, Berlino

Rosa Menkman a Transmediale 2011, videoperformance. Courtesy Rosa Menkman’s archive.

Rosa Menkman con Fabio Paris all’inaugurazione di Order and Progress, presso la Fabio Paris Art Gallery di Brescia, 2011. Courtesy Rosa Menkman’s archive.