Sabrina Mezzaqui è nata a Bologna nel 1964, vive e lavora a Marzabotto. Ha partecipato a numerose mostre collettive, tra le ultime (In)visibile (In)corporeo , presso il MAN di Nuoro nel 2005 e, nello stesso anno, Ti voglio bene: from Italy with love , Raid Projects a Los Angeles. Le sue ultime personali sono state C’è un tempo alla Galleria d’Arte Moderna di Torino, Sottolineature presso la Galleria Continua di San Gimignano e Quando le parole atterrano presso la Galleria Minini di Brescia.

Bibliografia: Mariangela Gualtieri, Sabrina Mezzaqui, Elena Volpato, Sabrina Mezzaqui. C’è tempo, Hopefulmonster Editore, Torino, 2006; Sergio Risaliti, (a cura di), Moltitudini-Solitudini , Maschetto Editore 2003; Sabrina Mezzaqui , gli Ori s.r.l., Pistoia 2002.

Vernissage della mostra “Apocalittici e integrati”, MAXXI – Roma.
Giovedì 29 marzo 2007, ore 19.00.

Giorgia Calò: Ci incontriamo oggi al Maxxi in occasione dell’opening della mostra Apocalittici e integrati. Mi parleresti del lavoro che presenti?
Sabrina Mezzaqui: Quest’opera si intitola Il senso dell’ordine, come un libro di Gombrich sulla decorazione ed è infatti un lavoro sulla decorazione. È tutto giocato su una griglia elementare: un foglio protocollo a quadretti su cui ho copiato centinaia di schemi usati per tessere. Quindi in realtà è un lavoro, anche concettualmente, abbastanza semplice. C’è un rimando chiaro ed esplicito sia alla decorazione che alla manualità lenta, che è propria anche della tessitura. È stato un lavoro lunghissimo, i disegni sono di più di quelli presentati in questa occasione, sono 250 e per realizzarli mi sono fatta aiutare da amici, perchè altrimenti sarebbe stato un lavoro interminabile.

G.C.: Ritornando alla mostra in oggetto e al titolo, ti senti più “apocalittica” o più “integrata”? Nel senso che abbracci l’idea dell’uso dei mezzi di comunicazione di massa credendo nelle loro potenzialità oppure hai una visione apocalittica per cui prendi le distanze dall’universo delle immagini medianiche?
S.M.: È una domanda difficile, penso che siamo tutti un pò integrati, anche se personalmente ho una visione abbastanza apocalittica della realtà che ci circonda.

G.C.: A proposito di Umberto Eco. Il 14 marzo 2007 hai inaugurato nello spazio Punctum, insieme a Cesare Pietroiusti, la mostra Giochi dialettici , centrata sull’idea del dialogo come “opera aperta” verso un esito indefinito. Mi vuoi parlare del lavoro che hai presentato Le parole tra noi leggere (2004) e come si è interposto con l’installazione sonora di Cesare Pietroiusti Una giornata qualunque ?
S.M.: Anche in quel caso è stata la risposta ad un invito. Mi è stato chiesto quel lavoro che sarebbe stato affiancato ad un opera audio di Cesare Pietroiusti. Quindi questa mostra è stata la risposta ad un invito che ho trovato interessante e curioso.

G.C.: Ho trovato un sodalizio perfetto affiancare le due opere, la tua e quella di Pietroiusti, una percettiva l’altra uditiva…
S.M.: Si, questo è merito della scelta di Alexandra e Giulia. Sono loro che hanno immaginato questo connubio.

G.C.: Per la realizzazione di questa opera hai usato un materiale comune, direi povero: le pagine dell’omonimo libro di Lalla Romano che hai trasformato in 500 piccoli cubetti, seguendo la tecnica dell’origami soffiato. Per questo hai lavorato sull’edizione economica, preferendola proprio per la caratura leggera delle pagine. È corretto affermare che hai rielaborato il libro della Romano sia nella sua qualità di oggetto che nella sua valenza simbolica?
S.M.: In un certo senso è quello che ho fatto. Ho già realizzato altri lavori con i libri e di solito funziona così: cerco di rendere visivamente, quindi immediatamente a livello percettivo, qualcosa che ha a che fare con il contenuto del libro, di renderlo formalmente.

G.C.: Cerchi di trasformarlo, di cambiargli natura? Quando ho visitato la mostra ho detto ad Alexandra: “ha trasformato la prosa in poesia”.
S.M.: In realtà la prosa di Lalla Romano è molto poetica, è una qualità della sua scrittura. In particolare per questo libro il titolo è, secondo me, un titolo bellissimo. E questa forma mi sembra la più adatta a raccontare in un altro modo le parole del titolo.

G.C.: Avvicinandosi all’opera si possono scorgere alcune parole del romanzo che non solo acquisiscono nuovi significati ma, attraverso una elaborazione e rielaborazione delle parole, diventano esse stesse immagini. L’opera quindi, in un gioco di rovesciamenti, si rivela anche mediante la proiezione evanescente di un’ombra.
S.M.: Si, questo è uno di quegli aspetti casuali che scopri durante l’allestimento. Le parole tra noi leggere è stato esposto la prima volta in galleria a San Gimignano e durante l’allestimento siamo rimasti sorpresi dal manifestarsi di quest’ombra leggera ed evanescente quanto l’opera.

G.C.: Perché, in questo lavoro come in altri (penso a Il senso dell’ordine e a Le mille e una notte , ad esempio) metti in gioco il senso del fare manuale, fortemente intimistico, spesso proprio attraverso materiali fragili?
S.M.: È vero che il fare manuale ha qualcosa di intimistico, però non voglio che si esplichi come un mio particolare intimismo, in quanto è sì una pratica manuale, ma molto semplice. Sono progetti che potrebbe fare chiunque con un po’ di pazienza e un po’ di disciplina, e difatti molti lavori sono frutto di collaborazione con altre persone.

G.C.: La Letteratura rimane l’oggetto privilegiato della tua ricerca artistica sia come mezzo che come messaggio, citando la nota tesi di McLuhan secondo cui “il medium è il messaggio”. La scrittura nei tuoi lavori viene recuperata, trasformata, evocata, creando un rapporto parallelo tra arte figurativa e letteratura…
S.M.: In realtà dietro c’è una personale consapevolezza che i linguaggi non sono divisi, siamo noi che creiamo delle categorie. Penso che nella nostra vita non esista una divisione così categorica di questi diversi linguaggi, li attraversiamo tutti simultaneamente. Ci sono delle immagini che vengono dai libri; ci sono dei libri che, invece, portano subito una descrizione poetica di quello che vediamo e viceversa.

G.C.: Ma è corretto dire che tu usi il romanzo, le parole, i passi dei libri come se fossero un mezzo, uno strumento di lavoro?
S.M.: La cosa che io sento molto è che le parole hanno una valenza simbolica fortissima. Tutto ha una valenza simbolica forte se siamo in grado di leggerla.

G.C.: Su iniziativa delle curatrici Giulia Giovanardi e Alexandra Gracco Kopp l’esposizione è accompagnata da un confronto teorico tra te e Pietroiusti. In questo testo/dialogo parli del Tempo, altra tematica a te cara, inteso però come intermezzo. Scrivi: “…a me interessa il tempo che c’è in mezzo, e forse anche prima e dopo, alla nascita e alla morte. Nella ripetizione mi piace soffermarmi, quando ci riesco, sulle differenze sottili che ci sono sempre”. Questa è l’idea del tempo all’interno del tuo lavoro. E la tua idea personale del tempo?
S.M.: Questa domanda me la fanno spesso, ma io non so cosa rispondere! Non credo di avere un’idea personale sul tempo, non so cosa pensare del tempo. Diciamo che il lavoro è una pratica esistenziale in cui si palesa questa idea, che mi attraversa ed esce fuori sotto forma di lavoro. Io non so cosa dire del tempo, è una parola così aperta e così piena, e a volte anche così vuota. La frase che hai citato si riferiva al testo precedente di Cesare in cui lui parlava della morte e io ho risposto che di solito cerco di pensare al “qui e ora”.

G.C.: Continuando un percorso a ritroso, nel dicembre 2006/gennaio 2007 hai presentato alla GAM di Torino la mostra C’è un tempo . In quell’occasione hai esposto una serie di lavori inediti e due opere giunte in prestito da collezioni internazionali. Il titolo della mostra è tratto da un passo del Vecchio Testamento (Qoelet – Ecclesiaste) che è stato da te riletto e ricostruito attraverso le parole scritte nei libri sacri di tutte le religioni. Anche il confronto con le culture altre, ideologicamente così diverse, è uno dei leit motiv della tua ricerca artistica. In merito alla mostra hai dichiarato: “Vorrei che la mostra fosse fatta in fondo di null’altro che di tempo di lettura”. Ritornano quindi il Tempo e la Letteratura , soggetti imprenscindibili del tuo lavoro.
S.M.: Hai detto una parola secondo me fondamentale. Hai detto: “fra culture ideologicamente così diverse”. Io credo, nella mia ingenuità, che ci siano delle differenze di tipo ideologico che tendono a presentare le differenze sotto forma di scontro. La cosa sorprendente se leggessimo i Testi Sacri, è che scopriremmo dei pensieri comuni. Questa per me è stata una sorpresa leggendo i Veda, il Corano, il Libro Tibetano dei Morti… Sono tutte visioni diverse, ma c’è un filo comune che è fatto anche di parole. La parola tempo , per esempio. Tante risposte alla domanda sul tempo si trovano in questi libri. La ritualità è un modo di sottolineare il tempo.

G.C.: Non abbiamo ancora avuto modo di parlare dei tuoi video in cui ricorre la tematica dell’immagine-tempo, un tempo fatto di attese, gesti ripetuti, tempi dilatati. Un tempo quasi ipnotico. Penso ai video Carezze (2001), 2004-2006 , Senza titolo 2006 . Me ne vuoi parlare?
S.M.: Io uso il video perchè è una tecnologia semplice che mi serve per afferrare delle immagini che mi catturano, proprio nel loro darsi semplicemente. Questa è la tecnologia più semplice per registrarle. Mi viene in mente che nella mostra a Torino, C’è un tempo , i video presentati erano 3, intervallati: uno all’inizio della mostra, uno al centro e uno alla fine; erano in effetti tre modi di presentare tempi, anche di fruizione, diversi. Il video 2004-2006 è caratterizzato da immagini che ho fotografato in tre anni, per cui anche il montaggio è lentissimo. Un’immagine al mese per tre anni dello stesso paesaggio, 36 immagini che si dissolvono lentamente una nell’altra, quasi che sia l’occhio a suscitare la trasformazione. È noiosissimo da guardare.

G.C.: È una visione un po’ paranoica del tempo?
S.M.: Il video presentato al centro del percorso espositivo (Senza titolo , 2006) è una ripresa in tempo reale della pioggia. È proprio il fatto di cogliere un istante, qualcosa che succede in quel momento lì, che può catturare la nostra attenzione. L’ultimo video, Un giorno, è la ripresa di un’intera giornata con tutte le sue variazioni atmosferiche: la luce, le nuvole… montate in soli sei minuti. A me piaceva che la mostra fosse intervallata con momenti di attenzione sulle cose con dei tempi diversi: uno lentissimo, uno istantaneo, uno velocissimo.

G.C.: Hai quindi ricostruito i tre tempi: passato, presente e futuro.
S.M.: Può essere un modo di vedere il lavoro…

G.C.: Cosa pensi del sistema dell’arte contemporanea in Italia? E riscontri delle differenze tra lo scenario artistico italiano e quello internazionale?
S.M.: In questi ultimi anni si parla di “sistema” quindi di qualcosa di inevitabilmente chiuso, che teoricamente dovrebbe funzionare. Probabilmente le differenze tra lo scenario italiano e quello internazionale ci sono, ma io non ho fatto esperienze particolarmente lunghe all’estero. Per conoscere una situazione culturale bisogna vivere in un Paese. Potrei dire delle cose banali, che funziona meglio all’estero, ma comunque anche lì c’è un sistema. Quello che trovo interessante in questa domanda sarebbe proprio mettere in discussione le basi, come funziona non solo il sistema dell’arte ma tutto il sistema della nostra cultura occidentale, ma mi rendo conto che sto dicendo qualcosa di utopistico, o apocalittico forse…

Dall’alto:
I giusti, ricamo su mantello indossato, 1 m circa di altezza x 2,5 m di diametro, 2004, Courtesy Galleria Continua, San Gimignano, Italy, Ph. Ela Bialkowska

Le parole tra noi leggere, 500 origami soffiati di carta stampata (Lalla Romano, Le parole tra noi leggere , Einaudi): cubetti ognuno di 2,5 cm di lato appoggiati su vetro di cm 100 x 100, 2004, Courtesy Galleria Continua, San Gimignano, Galleria Punctum, Roma

Le mille e una notte, 1001 perle, righe di libro (Le mille e una notte, edizione araba in 4 volumi) arrotolate, colla, filo 75 m ca, 2004, Courtesy Galleria Continua, San Gimignano, Italy

Il senso dell’ordine, 150×200 cm, 2002

Senza titolo, 16 fogli a quadretti intagliati a mano, 70×70 cm cad, installazione 400×400, 2006, Galleria Massimo Minini, Courtesy Galleria Massimo Minini. Foto Andrea Gilberti

Fuochi, Dvd sonoro, 6 minuti; haiku in perline intessute, 17×41 cm. 2006, Courtesy galleria Massimo Minini. Foto Andrea Gilberti