Proseguono allo spazio Punctum con energica vitalità i dialoghi tra artisti su tematiche tangenti, quasi dei duetto in relazione. Nell’ultima proposta espositiva è la prospettiva dell’introspezione a essere chiamata in causa dalla curatrice Virginia Villari attraverso i lavori di Laura Palmieri e di Valeria Molaioli. Entrando ci si imbatte in fogli vibranti di luce e trasparenze che occupano uno spazio apparentemente circolare scendendo dall’alto. Instabili schegge di fratture ancora composte mantengono debolmente il loro assetto originario in situ avendo perduto però per sempre il tessuto originario che le compattava. Sono i vetri rotti di bottiglie e quant’altro rinvenuto nel paesaggio urbano dei propri luoghi, il proprio isolato, nei quali è inciampato lo sguardo di Laura Palmieri e dei quali si è appropriata attraverso degli scatti fotografici, degli “a fuoco” sulla loro natura irrimediabilmente compromessa dalla rottura. Sospese al soffitto, queste immagini fotografiche di vetri rotti, conservate dentro a cartelline trasparenti, fluttuano a contatto con l’aria e con i movimenti di chi vi si avvicina. Materiali poveri, d’impiego quotidiano, che costringono a depositare l’attenzione su quanto normalmente ci disinteressa e non riesce a catturarci. È l’interstizio estetico che da sempre accompagna la ricerca e la poetica di questa artista, è il suo filo conduttore qui prestato ad uno scavo nell’io profondo.
Frammenti di un vivere caduco, vetri di bottiglia lasciati distrattamente nei luoghi del vissuto, si prestano infatti a metafora di un viaggio nelle proprie emozioni, nella fragile vulnerabilità del proprio e dell’altrui essere. Un percorso straziante nella condizione precaria dell’esistenza è ciò a cui ci invita l’artista stessa raccontandoci nel catalogo l’esperienza della fragilità, della malattia, della morte. La recente morte del padre è stata infatti la condizione nella quale è nato questo lavoro. Entrare dentro al dolore, percepirne le dimensioni e l’irrevocabilità è un’esperienza capace di trasformare il nostro incedere nel mondo, mutarne le coordinate, allontanarne gli orizzonti. La perdita di un affetto è sempre subìta, è l’indelebile ferita del lutto. Questi “cuori di vetro”di Laura Palmieri ci parlano, emozionandoci, di destini spezzati la cui traccia di memoria è nella loro sensibilmente tattile e visiva precarietà.

Procedendo verso il fondo della galleria, c’è l’installazione ambientale di Valeria Molaioli ed appare subito chiaro che è allora il rapporto con le proprie radici – nel caso di Laura Palmieri, il padre, nel caso di Valeria Molaioli, la madre- il vero trait-d’union di questo incontro tra due artiste.
Valeria Molaioli ha presentato infatti un’installazione ambientale, nella quale un grande albero dai rami secchi si plasma tra il pavimento e le pareti a costituire quasi un nido. Nido di memorie, delle proprie e altrui origini, albero genealogico che alle estremità dei suoi rami indica dei nomi, nomenclatura delle origini, di una dinastia, di molteplici conseguenze. Qui l’ambiente è pittorico e artificiale ad un tempo. Foresta incantata contrassegnata dalle presenze dei nomi che hanno costruito il lento procedere dell’identità d’appartenenza. Struggente epilogo di una presa di coscienza sul sé che è anche condivisione pubblica della propria intima natura. “Madre” è un invito a ridisegnare il perimetro della propria identità nei confini certi di chi ci ha preceduti. È la dimensione terrena che ci accoglie nel suo ventre rassicurandoci.

Tra la terra e il cielo, l’elemento maschile e quello femminile, in un gioco di specchi nel quale si è tentati di riconoscersi e perdersi. Forse è questo il più evidente collante tra le due installazioni, che nelle diversità linguistiche con le quali ci appaiono, condividono proprio il segmento del porsi sul crinale della nostra stessa esistenza, tra precarietà e stabilità, tra il vivere e il morire.

Laura Palmieri, Cuori di vetro, 2006, 30x 43 e 43×30, foto digitale su slide+plastificato