Se si volesse definire un valore circostanziato nell’ambito delle pratiche critiche applicate all’arte contemporanea attuale si avrebbe la necessità di usare un’ampia gamma di attributi specialistici, astrusi e complicati. L’arte contemporanea è caratterizzata infatti dal molteplice aspetto formale, è situata in gironi dedicati, a volte dei veri e propri incunaboli conosciuti da esclusive frange di spettatori; è inoltre celata ai più da alti steccati comunicativi che spesso ne fanno un oggetto di culto riconoscibile soltanto per via di faticose ricerche. Descriverla e trattarla necessita linguaggi specialistici, fraseggi annodati. Eppure l’arte si nasconde nel suo divenire ma quando si manifesta e si riconosce come tale è oggetto di sorpresa imprevedibile dal timbro difficilmente classificabile ma di sicuro effetto. La sua imprevedibilità, la sua truce cattiveria, suscita ilarità. Perché l’arte è oggi ironica e disincantata, terribile nella sua cruenta e cinica crudeltà. Come nella reiterazione mimata nelle conversazioni fra amici, il catastrofico gesto d’aggressione armata di Tarantino nelle Iene si consuma in una risata consapevole trattenuta dalla coscienza della sua trasposizione reale, così l’arte contemporanea brucia i luoghi comuni e si manifesta nello sguardo irridente fra autore e pubblico differente. L’arte non scandalizza più nessuno anche se a volte, come nel caso delle opere pensosamente ciniche di Cattelan, suscita polemiche e dibattiti. Non fra gli addetti ai lavori, non nella critica all’arte. Una risata, semmai, ricostruisce il percorso verso la verità di una realtà non più controllabile, non più giudicabile dall’alto delle atmosfere del pensiero. La riflessione critica è inadeguata ad inseguire gli strali pubblici di quest’arte perennemente insonne verso il presente, immersa nel mare della comunicazione globale, consapevole d’inadeguatezza a compiere il passo verso la celebrità, ma ne comprende il graffio.
Le star del firmamento dell’arte sono artisti ignorati alle masse per le quali qualsiasi altro “artista”, fosse anche il parrucchiere delle dive, è un divo. L’artista contemporaneo vive misconosciuto e del suo lavoro la critica non riesce a farne strumento letterario per le masse. Ma l’ironia è la sua forza. L’ironia è allora la sorte critica del giudizio? O è la conferma di una frustrazione comune e mortificante? Possiamo valutare la qualità di un’opera solo perché al suo apparire, nella sua chiassosa brutalità, suscita ilarità alla critica? E solo a questa? In un certo senso è proprio così, al di là di ogni sovrastruttura ben architettata. L’inno anarcoide dell’arte odierna suscita varie gamme di sensazioni, ma sempre proiettate allo sberleffo, con modulazioni che variano dalla smorfia trattenuta dallo sgomento per una verità inconfessabile, alla risata sarcastica e liberatoria. Sappiamo cos’hanno voluto dirci, anche se questa risata risuona sardonica e non è un segno di chiaro divertimento. Semmai la verificabile risposta ad una sopraffazione compiutasi, e inarrestabile, nei confronti della ragione umana. Cosa potrebbe aggiungere la critica con la sua didascalica posa in opera letteraria ad una siffatta risata? E come potrebbe giustificarla senza farne strumento di comicità? Il soggetto è la frustrazione dell’individuo/artista che ha compiuto la sua ricerca verso le radici dell’essere e ne ha trovato il paradosso, un’origine che è definitiva quando siglata nelle immagini e nella composta serietà di chi non vuole comprenderne il senso.
La risata è dell’ironia dell’arte, la smorfia di perplessità è del potere, anche se manifestato nella cerea foggia dell’uomo abbrutito dall’ignoranza e dalla cieca ricerca del dominio. Senza speranza. Senza dialogo. Un’arte che ripete enfatizzandolo lo stereotipo pubblicitario, e mi riferisco alle operazioni concettuali e dissacranti di Jeremy Deller, il quale restituisce un’immagine lapalissiana delle prassi determinanti di potere a cui non si può resistere seriamente. Talmente grottesca la nostra complessa situazione d’esistenza, talmente folle la condizione schiavizzata della normalità quotidiana, avvinta in circostanze insormontabili e banali, da sconvolgerci dal ridere. Una risata che “ci” seppellirà, anche perché probabilmente non vedremo mai un mondo meno folle, meno organizzato con il solo scopo di farci vivere sempre peggio, senza limiti. La risata dell’arte stupisce quando durante il vernissage, nelle ore dell’opening ci si ritrova a ridacchiare perduti in questa consapevolezza, come alla visione di miraggi, solidi e liquidi allo stesso tempo, intangibili. Siamo avvertiti di quest’esistenza di cose, oggetti temibili e vulcanici, scherzi giocati al mondo da parte di artisti che come demoni ilari sembrano cogliere nel paradosso il senso della nostra epoca e del nostro vivere. Ridiamo consapevoli, solidali quando c’immergiamo nella follia delle installazioni di Paul McCarthy, ma sappiamo che il resto del mondo non si scosterà di un solo centimetro per questo. Come Prada Marfa, l’opera installazione, negozio e chissà cos’altro, realizzata con candore dal duo Elmgreen & Dragset su cui si sono abbattuti atti di vandalismo, polemiche, strascichi legali, dibattiti, ma che a noi fa ridere per la sua arguzia, la sua lungimiranza, per come svuoti il senso comune e ci restituisca con un semplice schiocco d’idea l’assoluto fragore e allo stesso tempo l’inutilità di tanta acrimonia. Ci fa ridere e ci fa dannare anche la nostra stessa identità quando vediamo l’oggetto del nostro desiderio, la storia evidenziata dalla cosalità immota del museo, catastrofizzata nella lapidaria sommersione nella sua stessa rovina, dimentica e solitaria. La nostra è, comunque, una storia inesistente. Una follia. Sam Durant in un’opera ha descritto così la realtà della storia made in USA : alberi capovolti, con radici inesistenti. Ed è la storia. La storia dalle radici rinsecchite. Che si riflette nella follia collettiva da karaoke alla Phil Collins, quella che ci fa assumere quantità di informazioni per lo più palesemente discordanti di ora in ora come nel caso degli alimenti che “fanno bene” e che il giorno successivo si scopre “fanno male”, per poi interessarsi ad altro con la stessa voracità insana, schizofrenica.
D’altra parte è ironica la sorte del sistema dell’arte, anzi a volte davvero esilarante, da sbellicarsi dalle risate. Solo il pensiero di ciò che sta nascendo ovunque nel mondo, senza alcun controllo da parte del sistema dell’arte, luoghi dove poter vivere come mi scrive Sarawut Chutiwongpeti dalla Thailandia, artista al 100%. Una risata che ci seppellirà davvero se non sapremo adeguarci a questo mondo espanso dell’arte dove magari non si arriva alla Biennale di Sydney ma si vive e si percepisce il sistema da una fitta trama di relazioni internazionali che possono benissimo sopravvivere d’arte senza alcun intervento esterno. O lottare con l’arte come mi dice Miguel Rojas-Sotelo che a Bogotà, e non a Ginevra, e nemmeno a Milano o a Roma, vive perfettamente e con austera dignità il suo ruolo di artista e curatore, anche se intorno fischiano le pallottole e c’è la guerra per bande a cui non ci si può sottrarre. Da morire dal ridere per quanti non si siano attrezzati per competere con tutto ciò.
La critica d’arte è quindi costretta a diventare una barzelletta? Ma piuttosto seriosa, come se nell’equilibrarsi con l’arte avesse scelto di fornire la chiave più oscura e meno piacevole dell’ironia. Oppure, la nostra critica è sempre più concettualizzata e compiuta da scelte, diradata dentro una risata, ovvero, muta.

Dall’alto:
Pubblicità della galleria Paolo Vitolo su Opening n. 18, Roma 1992

Paul McCarthy
Caribbean Pirates, 2001-2005
In collaboration with Damon McCarthy Performance
Photograph, Pirate Party, 2005
© Paul McCarthy, 2005
From: Paul McCarthy – LaLa Land Parody Paradise
23 October 2005 – 8 January 2006
Whitechapel, London

Phil Collins
Dünya Dinlemiyor, 2005
9th Istanbul Biennial
Photo by Domenico Scudero.

Jeremy Deller, Senza titolo, 2001-2002. Foto a colori. 20,50 x 25,50 cm. 
CREDITS
© Jeremy Deller. Courtesy : Galerie Art : Concept.

Michael Elmgreen & Ingar Dragset
Prada Marfa, Texas
Photo by Rob Hann.

Sam Durant, 
US Historian, 2002
C-Print
127 x 168 cm
Courtesy, © Union London Ltd.

Elmgreen & Dragset
Traces of never existing History, powerless structures, 2001