Note:

(1) M. Gioni, È tutto nella mia testa?, in Il Palazzo Enciclopedico, cat. della 55. Biennale Internazionale d’Arte di Venezia, Marsilio Editori, Venezia 2013, p. 23.

(2) Ibidem.

(3) S. Lux, Doppio registro di César Meneghetti. Arte/realtà, in S. Lux, A. Zuccari (a cura di), César Meneghetti. I/O, Maretti Editore, Falciano (RSM) 2013, p. 24.

(4) A. Zuccari, Antieroica eloquenza degli esclusi, in Ibidem, p. 54.

Partiamo da una considerazione: a differenza delle edizioni immediatamente precedenti, il testo in catalogo del Direttore artistico della 55. Biennale di Venezia è chiaro, esplicativo ed esaustivo circa il concept e i temi che attraversano la mostra e tale chiarezza si manifesta precisamente nella scrittura espositiva, dando vita ad un percorso organico e “parlante” al pari della scrittura critica.

Qualcuno potrebbe pensare che è scontato che sia così, in realtà non lo è affatto: si provi a rileggere il testo di presentazione di Bice Curiger e si capiranno le differenze. Quella principale? La concretezza con cui Massimiliano Gioni mette sul piatto le sue riflessioni, sebbene queste vadano poi ad invadere il campo dell’immaginario e del visionario. D’altra parte, rispetto alle bellissime tele di Tintoretto che restavano mute nel contesto biennalesco, Il Palazzo Enciclopedico di Marino Auriti e il Libro rosso di Carl Gustav Jung sono due oggetti concreti attorno ai quali la mostra ruota in modo effettivo ed evidente.

Uno dei riferimenti più interessanti che appare nel testo di Gioni – che pure cita critici, antropologici, registi, teorici del cinema, a disegnare la stessa costellazione di saperi che pervade la mostra – è quello all’opera incompiuta – pubblicata postuma nel 1881 – di Gustave Flaubert, Bouvard e Pécuchet. Il curatore cita en passant i nomi dei protagonisti scelti dal romanziere francese parlando di Fischli & Weiss, duo svizzero da poco “scompostosi” a causa della morte di David Weiss dai quali Gioni prende anche spunto per il titolo del suo testo, una delle celebri Questions degli artisti (È tutto nella mia testa?).

Bouvard e Pécuchet sono due copisti che si incontrano per caso e, complice un’improvvisa eredità, decidono di trasferirsi in campagna e dedicarsi all’agricoltura, fallendo però nella gestione della nuova attività. È solo l’inizio di una catena di fallimenti che li porterà a sperimentare lavori negli ambiti più diversi, dalla medicina alla chimica, dalla psicologia alla politica, dalla ginnastica alla magia fin quando, stanchi del perenne reinventarsi, i due protagonisti torneranno alla loro attività originaria.

Il riferimento a Bouvard e Pécuchet in relazione a Fischli & Weiss è legato alla vena tragicomica che attraversa il lavoro degli artisti svizzeri, ma anche al dilettantismo che sembra pervadere le loro opere più celebri (come non pensare a Der Lauf Der Ringe Il corso delle cose, video nel quale una lunga reazione a catena trasforma i due artefici in apprendisti stregoni alle prese con fenomeni di più grandi di loro, seppur ben controllati). A questo si associa il tema del fallimento, intimamente legato – in relazione alla Biennale – all’ambizione di “sapere tutto”. Scrive Gioni nel suo testo: «Il Palazzo Enciclopedico è una mostra sulla conoscenza, sul desiderio di sapere e vedere tutto e sul punto in cui questo desiderio si trasforma in ossessione e paranoia. Pertanto è anche una mostra sull’impossibilità di sapere, sul fallimento di una conoscenza totale e sulla malinconia che ci travolge di fronte all’evidente constatazione che i nostri sforzi saranno inutili». (1)

Il concetto di dilettantismo diviene quindi uno dei temi portanti della mostra di Gioni, apparentemente in contrasto – come fa notare lo stesso curatore – con l’ambizione universalistica del Palazzo Enciclopedico, da cui non può che scaturire un fallimento. La mostra della 55. Biennale è anche quella del bricoleur e dell’autodidatta (amateur), è la celebrazione dell’eccezione e dell’eccentrico più che la sistematizzazione totale alla maniera illuminista, così come in realtà la parola “enciclopedico” suggerirebbe. Quindi la Biennale diventa anche la mostra degli esclusi, degli outsiders: artisti esclusi dalle dinamiche del sistema dell’arte, artisti autoemarginatisi dalla vita sociale, o anche, artisti che hanno scelto di lavorare con chi è ai margini della società per dar loro voce e spazio.

Il trait d’union è sempre il potere dell’immaginazione, che costituisce la via di fuga alle difficoltà della vita reale, sconfinando talvolta nel misticismo e nell’esoterismo. E alla base vi è l’idea che l’arte debba essere una visione del mondo, per questo “non arroccata nei suoi linguaggi né autonoma rispetto all’esistenza”: «Isolare l’arte significa consegnarla alla dimensione dell’intrattenimento, lasciarla preda del mercato, ridurla alla tautologia del capolavoro». (2)

In mostra non risaltano quindi dei “capolavori”, piuttosto emergono frammenti di un discorso funzionali a costruire una visione unica, compatta e organica, non di quello che succede nel mondo dell’arte ma di come l’arte e gli artisti guardano e hanno guardato al mondo. Di come, in ogni paese, età e contesto, l’arte ha reso visibile l’invisibile, “compito” affidato alla pratica artistica su cui Paul Klee amava tornare e che ricompare con forza nella mostra di Gioni, da cui anche la centralità affidata al Libro Rosso di Jung. Per dare forma a tale universalizzazione del modo di concepire l’arte, il percorso espositivo si fonda dunque su un sistema di associazioni, assonanze (anche formali), contrasti e corrispondenze, che lasciano leggere bene le convergenze e differenze poetiche, geografiche, generazionali.

Dicevamo dell’immaginazione e dell’immaginario, temi portanti di questa Biennale, e dell’apertura agli outsider, dell’arte e della vita. Tra questi ultimi vanno citati almeno gli esempi di Shinichi Sawada e Arthur Bispo Do Rosario: il primo, autistico, dà vita alle proprie mitologie personali attraverso un bestiario di creta fatto di figure totemiche, tra tradizione popolare giapponese e cultura tribale africana. Il secondo, per anni ricoverato in un ospedale psichiatrico, inventaria meticolosamente ciò che avrebbe dovuto presentare a Dio come degno di redenzione (in riferimento alla visione che gli era costata l’internato) e cataloga sui propri arazzi nomi, navi, profezie, poesie, dando forma e concretezza al proprio universo.

Diversi – ma complementari – i casi in cui gli artisti decidono di indagare il ruolo dell’immaginazione in contesti dove si vive una condizione di emarginazione, sia essa “fisica” (le carceri, gli ospedali psichiatrici) o psicologica. Rossella Biscotti, già presente a dOCUMENTA 13, espone un lavoro che si compone di una traccia sonora e di una serie di sculture monolitiche, minimal agli eccessi, costruite con mattoni ricavati dal compostaggio dei materiali di scarto provenienti dalle celle del carcere della Giudecca. Gli altoparlanti in mostra trasmettono i racconti e i sogni delle donne recluse, costruendo attraverso l’immaginazione fughe fantastiche oltre muri e recinzioni.

Eva Kotátková, nella sua installazione Asylum, ha lavorato invece negli ospedali psichiatrici, raccogliendo testimonianze di paure, ansie, incubi e sogni di ogni genere – quasi a volerne costituire un archivio – e traducendole poi nei frammenti che vanno a comporre il lavoro, una concretizzazione e visualizzazione dell’inconscio che insiste sul mettere in relazione le immagini interiori e quelle esteriori. In questo senso va spiegata anche la presenza di sbarre e gabbie; queste ultime rappresentano per l’artista la barriera più crudele, in quanto permettono di vedere ciò che dalla prigionia è negato, ma al tempo stesso sono metaforicamente il filtro simbolico tra interno ed esterno, mente e corpo.

Ancora per e su gli outsider, il video di Artur Żmijewski, Blindly, racconta il processo attraverso cui alcuni ciechi dipingono con le dita su larghi fogli di carta poggiati sul pavimento; a loro l’artista polacco ha chiesto di disegnare il proprio ritratto e un paesaggio, di rappresentare qualcosa che non possono vedere ma sentire in altro modo o desumere dal racconto delle persone che stanno loro intorno. Il risultato sono forme che esprimono una visione interiore, immaginazione pura che risulta – per forza di cose – indipendente dal bombardamento di immagini contemporanee.

Non è tuttavia solo la mostra di Gioni ad affrontare esclusione e emarginazione, raccontando come l’immaginazione possa costituire una valvola di sfogo oltre che uno strumento per prendere coscienza di sé e del proprio ruolo nel mondo. Nel Padiglione della Repubblica del Kenya l’artista italo-brasiliano César Meneghetti presenta il frutto di un lavoro che ormai da tre anni conduce con Gli Amici della Comunità di Sant’Egidio, persone disabili su e con le quali l’artista ha lavorato nell’ambito dei Laboratori d’Arte della Comunità. I/O _IO È UN ALTRO è il titolo dello special project – a cura di Simonetta Lux e Alessandro Zuccari –, alla sua terza tappa dopo la presentazione della sua fase preliminare al MLAC – Museo Laboratorio di Arte Contemporanea di Roma (gennaio 2011) e in occasione della Biennale Session nel contesto della 54. Biennale di Venezia (ASAC, Archivio Storico delle Arti Contemporanee della Biennale di Venezia, ottobre 2011). Nella sede del Padiglione sull’Isola di San Servolo, Meneghetti ha presentato i ritratti e i racconti raccolti attraverso il dispositivo della videocabina, le cui immagini sono state montate come a costruire una conversazione privata, fatta anche solo di sguardi. La videocabina funziona così come una sorta di confessionale – televisivamente parlando – dove gli intervistati, sempre in dialogo con l’artista, lasciano emergere spontaneamente il proprio vissuto e le proprie emozioni, trasformandola in uno spazio in cui avviene l’esternazione dei propri pensieri e stati d’animo. L’artista porta in questo modo i disabili a prendere coscienza del proprio potenziale, soprattutto creativo, e di dar forma alle proprie idee, alle proprie visioni, ai propri sogni, “infrangendo il confine ambiguo tra realtà e rappresentazione”. (3) Il risultato è un mosaico di espressioni sul quale Alessandro Zuccari costruisce un parallelo con le gallerie di uomini illustri: facendo riferimento a cicli pittorici del primo Umanesimo, Zuccari sottolinea come le persone ritratte da Meneghetti siano exempla veritatis più che exempla virtutis: «Antieroico è il loro modo di presentarsi e anticanonica è la loro bellezza: sono belli perché sono veri».  (4)

Ecco così che le cosmologie personali, le visioni e ossessioni sulle quali è costruita questa 55. Biennale acquistano un significato ancora maggiore se create o rapportate a chi e cosa vive fuori dal “sistema”, a chi riesce a far risuonare le immagini interiori più di quelle esteriori. Il Palazzo Enciclopedico come architettura del pensiero e della conoscenza non esclude nessuno, non potrebbe farlo se la sua vocazione è l’universalità. L’utopia è dietro l’angolo, ma l’affondo è nella realtà, la stessa che l’arte e gli artisti, insider e outsider, si sforzano di raccontare con ogni mezzo e linguaggio.

          Dall’alto:

Peter Fischli and David Weiss, Plötzlich diese Übersicht [Suddenly This Overview], 1981. Argilla cruda, circa 180 sculture. 55. Esposizione Internazionale d’Arte, Il Palazzo Enciclopedico, la Biennale di Venezia. Photo by Francesco Galli. Courtesy la Biennale di Venezia

Arthur Bispo do Rosário. Tutte le opere senza data/ All works undated. 55. Esposizione Internazionale d’Arte, Il Palazzo Enciclopedico, la Biennale di Venezia. Photo by Francesco Galli. Courtesy la Biennale di Venezia

Shinichi Sawada, Untitled, 2006-7. 55. Esposizione Internazionale d’Arte, Il Palazzo Enciclopedico, la Biennale di Venezia. Photo by Francesco Galli. Courtesy la Biennale di Venezia

Rossella Biscotti, I dreamt that you changed into a cat… gatto… ha ha ha, 2013. Particolare dell’Installazione in compost, Arsenale. 55. Esposizione Internazionale d’Arte, Il Palazzo Enciclopedico, la Biennale di Venezia

Eva Kotátková, Asylum, 2013. Installazione con materiali vari. 55. Esposizione Internazionale d’Arte, Il Palazzo Enciclopedico, la Biennale di Venezia. Photo by Francesco Galli. Courtesy la Biennale di Venezia

Artur Żmijewski, Blindly, 2010. Video, 18’41”. 55. Esposizione Internazionale d’Arte, Il Palazzo Enciclopedico, la Biennale di Venezia. Photo Francesco Galli. Courtesy la Biennale di Venezia

César Meneghetti, I/O _IO È UN ALTRO, special project Padiglione della Repubblica del Kenya. 55. Esposizione Internazionale d’Arte, Venezia 2013.