Quando Ulisse s’imbarcò nel viaggio verso la sua Itaca, certamente non si aspettava quel che gli Dei avevano in serbo per lui, nel bene e nel male. Le sue imprese divennero leggenda; e il suo errare toccò luoghi pericolosi e sconosciuti da cui egli, comunque, fece ritorno.

In un’epoca come la nostra il Tempo è una nozione sempre più relativa e le informazioni attraversano il globo alla Velocità della Luce; tuttavia, cliccare su “invio” e aspettare qualche minuto per la ricezione di un’e-mail non soddisfa molto: si può essere più veloci. La nuova impresa, il nuovo sogno, è perseguire l’istantaneità di un’azione: azione e reazione nel medesimo istante. Ormai lo spazio in cui siamo confinati è troppo stretto: le mura ci opprimono, le pareti bianche ci annoiano. Cosa c’è al di là del muro? O addirittura al di là del cielo? Forse, si può riuscire ad andare oltre: ad esplorare lo Spazio.

Odyssey, opera “in due Spazi e in due Tempi” di Silvia Iorio, è nata in risposta agli stimoli di un luogo fisico, quello di una mostra: uno spazio espositivo contenuto all’interno di un’istituzione universitaria e, pertanto, soggetto a regole precise.

Il dialogo è avvenuto tra artista e cinque curatori molto diversi tra loro, accomunati dall’interesse per la nozione di Spazio come definita da McLuhan, che sostiene che “gli ambienti non sono contenitori passivi”, ma è proprio la nostra stessa relazione con lo spazio a definirne le dinamiche sottese.

Piuttosto, però, che rivolgersi in toto alla filosofia, si è lasciato che fossero gli artisti a fare da guida: ed ecco com’è iniziato il viaggio di Silvia Iorio e Odyssey: perchè di Odissea si tratta, sebbene di fronte allo spettatore ci sia semplicemente un pannello fitto di interruttori colorati. Alla base dell’opera c’è l’idea di simultaneità di azione e reazione: ma con un elemento nuovo aggiunto o piuttosto sottratto, dislocato: la fruizione. Ogni spettatore è invitato ad attivare un interruttore. Ne segue un altro. Poi un altro ancora… Ma apparentemente non accade nulla. Nessuna luce si accende nello spazio circoscritto, perchè non è circoscrivibile nel luogo della mostra: la Luce sta viaggiando, invisibile, attraverso Spazi non ancora conosciuti.

Il viaggio della Luce accesa dai visitatori durerà un anno: dall’istante della sua attivazione in galleria, ogni impulso sta percorrendo una distanza “immensa” per l’essere umano ma simultaneamente “breve” per la luce – abile più che mai nel viaggiare veloce. Dopo aver attraversato il limite dell’universo conosciuto, ciascun impulso luminoso tornerà indietro per accendere finalmente la relativa lampadina: ma questo avverrà in un altro tempo, in un altro luogo, forse molto distanti da noi: eppure, con la stessa e identica sequenza di attivazione cromatica della Luce, cronometrata da quell’istante in cui il visitatore ha premuto l’interruttore colorato un anno prima.

La traccia luminosa viaggerà nel Tempo e nello Spazio portando con sé anche la memoria della persona che l’ha attivata. Cosa può accadere in un anno? Tutto come niente, in confronto agli ignoti cambiamenti dell’universo.

Silvia Iorio sta tracciando i frammenti di vita e le esperienze di quanti hanno attivato i suoi interruttori, aderendo al progetto. Una volta al mese, in coincidenza con la data e l’orario di inaugurazione dell’opera, l’artista domanda ai fruitori dove si trovino e cosa stiano facendo: per poi ricostruire il loro collage spazio-temporale e collegarlo alla mappatura della loro Luce nello Spazio.

Come e se si concluderà questo viaggio, non è ancora dato sapere. Dopotutto, alla fine, non siamo noi esseri umani tanto effimeri da essere disposti a tutto pur di riuscire a lasciare una traccia della nostra esistenza?

 

Dall’alto:

Achim Borchard-Hume

Silvia Iorio, Odyssey, 2010