Dalle immagini mito-poetiche di Rovner all’anonimato frenetico dell’identità contemporanea di Gursky: in questo passaggio la coesistenza dei rispettivi lavori negli spazi del Mattatoio proietta il visitatore in una dimensione in bilico tra un tempo assoluto meta-storico – quello di Rovner – ed un tempo presente, ed in ciò sospeso, paralizzato nell’immagine dell’istantaneità – quello di Gursky. Nell’installazione di Michal Rovner – tra i due artisti la sola ad aver concepito un progetto specifico per lo spazio espositivo – l’arena di una lotta senza tempo tra uomo ed animale è ricostruita con una drammaturgia che, nell’ossessione compulsiva che la caratterizza, registra un tempo straordinariamente attuale, eppure esteso, di fatto irriducibile. Quasi un’eco improcrastinabile agli antichi duelli che proprio a Roma nel suo colossale anfiteatro avevano luogo, e che scatenava leggendari scontri tra il pubblico degli astanti che, certo, non sembra possibile immaginare in gesti tutti uguali, in ansie tutte simili come quelle serialmente qui animate. È piuttosto da immaginare che avvenisse e si percepisse proprio l’opposto di queste sagome che reiterano di continuo – deprivate di tratti individuali e di elementi soggettivizzanti – gli stessi gesti, i medesimi movimenti. La camera oscura dell’immagine in movimento diviene lo spazio seducente e solo parzialmente afferrabile dello svolgersi di un dramma. L’estrema sintesi con la quale sono rese le silhouettes delle figure denuncia un intento chiaramente anti-didascalico votato a trattare non del singolo evento ma del tema della tensione, della conflittualità, della paura.
Forse, solo in questo aspetto è possibile rintracciare una comunanza con il lavoro di Andreas Gursky così anch’esso lontano da qualsiasi forma di mero descrittivismo e relazionalità al soggetto. Piuttosto un’umanità anonima, freneticamente partecipe di una qualche attività sia essa legata alla produttività che all’impiego, sempre produttivo, del “tempo libero”. Comunque ritratti di mitologie collettive. Una società globale inscatolata in stereotipi comportamentali e contestuali della quale cogliamo quasi come ne fosse un suo logo, nelle gigantografie di Gursky, l’identità. Quasi paradossalmente un’identità enunciata dalla perdita di tutte le altre identità. Un vuoto pneumatico neanche lontanamente riscattato da quel pullulare di presenze – assenze e che costituisce l’aspetto più conosciuto e significativo dei lavori di Gursky. Un artista particolarmente efficace nel farsi testimone e lucido commentatore del proprio tempo.
Andrea Gursky, Tokyo Stock Exchange  Michal Rovner, fotogramma di Arena Dall’alto:

Andrea Gursky, Tokyo Stock Exchange, 1990                     print 188 x 230 cm

Michal Rovner, fotogramma di Arena, 2002 – 2003 Installazione video