La recente pubblicazione del libro di Kabakov intitolato Tre installazioni (Mosca, 2002) illustra alcuni aspetti importanti del ruolo dell’installazione nel contesto della cultura russo-sovietica, mettendoli in stretto confronto con il ruolo della stessa forma d’arte in Occidente. La riflessione teorica viene esemplificata per l’appunto da tre casi particolari di installazione, che ci sembrano essere posti in modo estremamente raffinato in relazione con lo stesso libro, inteso intellettualmente come contenitore di idee e materialmente come simulacro vivente della coscienza storica e culturale dell’umanità. A chi fosse a conoscenza della cultura russa del secondo Novecento, ed in particolare del periodo sovietico e degli stretti legami, quasi simbiotici, con i modelli culturali del regime comunista, non sfuggirà certamente la considerazione del fatto che il libro nella coscienza russa ha sempre voluto simboleggiare un’eroica sintesi delle arti, nell’ambito delle avanguardie storiche così come in quello del postmodernismo (ci sono autori, ad esempio, che scrivono versi su particolari foglietti racchiusi in particolari schedari, che sono a loro volta anche opere d’arte plastica, elementi compositivi della performance che il loro autore metterà in atto al momento della lettura).
La strettissima relazione tra l’opera e i modelli culturologici dominanti viene sottolineato anche dalla critica d’arte Ekaterina Degot’, curatrice del volume di Kabakov, la quale mette in evidenza come per l’artista lo spazio nell’installazione rappresenti un testo. E così i casi particolari delle tre installazioni sono il luogo in cui Kabakov non solo condensa le proprie intuizioni estetiche, ma soprattutto definisce il suo rapporto di uomo sovietico con la realtà materiale in cui è vissuto fino anche a dopo il crollo del regime, e il peso che tale retaggio ha sulla coscienza dell’ex URSS. In questo modo Kabakov arriva alla definizione di installazione totale, scaturita proprio dal rapporto di totale sudditanza intellettuale che lo spettatore russo in un’installazione russa avrà nei confronti degli oggetti che la costituiscono, qui con valore neutro, in quanto omologati e rovinati al contrario dell’Occidente, dove invece essi primeggiano determinando così un impulso soggettivo dell’osservatore. In parole povere in Russia e nelle installazioni totali kabakovianamente intese sarebbe l’atmosfera a dominare su tutto il resto.
Kabakov spiega dettagliatamente in che cosa consista poi questa atmosfera: nella scelta degli spazi psicologicamente evocativi e nelle luci, in un certo senso ponendo in risalto il fatto che in Occidente il libero commercio aiuta il soggetto a spersonalizzare gli oggetti e a far prevalere l’io dell’osservatore, mentre, al contrario, in URSS oggetti impersonali contribuivano a caricare di significato gli ambienti e a rimandare al contesto extratestuale, sovrastando l’uomo.
Non ci sembra casuale, dunque, il fatto che la prima delle tra descrizioni di installazione rappresenti la komunalka, ovvero l’appartamento dove più famiglie o persone coabitavano durante il periodo sovietico. L’installazione qui si intitola 10 personaggi (1988), corrispondenti ai dieci abitanti di ciascuna stanza dell’appartamento.
Troviamo dunque una dettagliata descrizione di tali personaggi, con le loro storie, e loro oggetti. Troviamo dunque” l’uomo che è volato in un quadro”, “l’uomo che ha raccolto le altrui opinioni “, quello “che è volato nello spazio dalla sua camera”, “l’artista senza ispirazione”, “l’uomo basso”, “il collezionista”, “il compositore”, “l’uomo che non ha mai buttato via niente”, “l’uomo che descrive la propria vita attraverso personaggi” e “l’uomo che ha salvato Nikolaj Viktorovich”.
Segue la discussione dell’installazione dal tautologico titolo La mosca con leali (1991), con una struttura organizzata a piramide e quella intitolata Komunal’naja khuknja (1994), dedicata al cuore dell’appartamento condiviso in URSS, la cucina.
L’ambiente gigantesco è organizzato intorno a un grande soffitto da cui pendono moltissime pentole, quasi parlanti, mentre alcuni tavoli senza personalità stanno appoggiati sul pavimento. E’ importante sottolineare che nelle cucine i mobili erano sì in comune, ma gli utensili no. Perciò dovremmo supporre che le pentole appese siano il simulacro dei proprietari. Non è un caso che il testo si chiude con un breve brano, marcatamente concettualista in senso letterario, intitolato Olga Georgevna, la Sua acqua bolle!, dove sono raccolti sapientemente e ironicamente brandelli di banali e volgari conversazioni da cucina di komunalka.
Kabakov qui sintetizza litigi, minacce, gesti affettuosi e banali constatazioni che risultano variopintamente giustapposte in modo ironico alla complessità della vita in URSS e in una casa in comune come ad esempio:
“..Avevamo un gatto così grande e peloso, che amava correre da tutte le parti..
…Gente pazza, quanto dovranno ancora gridare di là?…
….dove fa la parrucchiera, lei?…
…Maria Nikolaevna, dove ha preso delle patate così belle, e a quanto?…
….Inna, lo sai quanto abbiamo bevuto ieri?…Mamma, non ti arrabbiare con me…avevo due scatolette e due bottiglie di vino, Sergej aveva due bottiglie…” Dovremmo forse supporre che siano proprio le pentole della cucina a parlare per i loro proprietari? Certamente Kabakov, in altre parole, ci lascia una interessante testimonianza delle condizioni di vita fisiche e morali nell’ex Unione Sovietica parlando, come già aveva fatto Mikhail Bulgakov nel Maestro e Margherita, in forma indiretta ma molto direttamente.

 

 

 

 

 

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il’ja Iosifovich Kabakov
di Caterina Cecchini

Il’ja Iosifovich Kabakov nasce a Dnepropetrovsk, in Ucraina, nel 1933. Nel 1951 termina la scuola secondaria superiore d’arte e nel 1957 si diploma presso l’Istituto Surikov di Belle Arti di Mosca.
Da allora lavora come grafico e illustratore di libri di letteratura per l’infanzia, un genere molto popolare in Unione Sovietica. Nel 1965 viene ammesso come membro nell’Unione degli Artisti dell’URSS.
Gli anni di lavoro presso le case editrici per l’infanzia come Detskaja literatura e Vesyolye Kartinki contribuiscono alla formazione di un gusto dell’ironia (si pensi che in Unione Sovietica le fiabe per bambini erano spesso composte in versi e scritte da autori di prim’ordine, che per ragioni politiche preferivano lavorare su terreni ideologicamente poco rischiosi). Così anche per Kabakov l’attività in questo settore rappresenta una forma di compromesso con la cultura ufficiale che gli consente di sopravvivere, relegando alla sfera della vita privata tutte le intuizioni artistiche e le sperimentazioni che potrebbero entrare in conflitto con i canoni del sistema socialista.
Negli anni Settanta Kabakov si dedica alla composizione di particolari album (il più noto è Okno, la finestra, pubblicato a Berna solo nell’85) dove gli elementi grafico e visivo si fondono, in direzione di una particolare visione dell’arte che si paleserà più tardi con l’adesione al concettualismo.
Si noti infatti che dal ’68 (anno dell’esposizione organizzata insieme a Erik Bulatov presso il caffè moscovita Sinjaja ptitsa) Kabakov non espone più in patria. Questa interruzione è spiegabile solo alla luce degli eventi politici dell’URSS di quegli anni, quando al disgelo khrusheviano corrispose la cosiddetta fase di “stagnazione” del periodo brezhneviano, contraddistinta dai fenomeni della dissidenza e dell’emigrazione, del samizdat e del tamizdat.
Con l’avvento della perestrojka Kabakov può finalmente avere riscontri anche in Russia e avere degli spazi per confrontarsi direttamente con la propria cultura natia, il suo linguaggio e il suo pubblico, elementi che per un artista concettualista non sono affatto marginali.
Oltre a dedicarsi alle arti plastiche l’artista partecipa anche al dibattito sull’arte, i suoi riferimenti e i suoi codici, una discussione particolarmente vivace nel contesto di un paese come la Russia degli ultimi quindici anni che nel mondo intellettuale si sente in primo luogo erede della cosiddetta scuola strutturale di J. Lotoman.
Così, insieme allo studioso di estetica emigrato in Germania Boris Groys, Kabakov scrive due libri di riflessioni sull’arte, entrambi editi in lingua tedesca: Die Kunst des Fliehens (Monaco 1991) e Die Kunst der Installation (Monaco 1996).
L’ultimo atto di questa riflessione sarà poi costituito dal volume, pubblicato invece in lingua russa, dal titolo Tri intallatsii (Tre installazioni), edito a Mosca nel 2002, in cui Kabakov racconta tre opere sia dal punto di vista dell’artista sia, (pur dichiarando con falsa modestia di non essere un critico), dal punto di vista teorico. 

Finalmente Mosca rende onore a Kabakov
di C. C.

Per tutto lo scorso ottobre a Mosca, presso la Casa della Fotografia (Dom fotografij, ulitsa Ostozhenka 18, metropolitana Kropotkinskaja), si è tenuta una retrospettiva fotografica in occasione del settantesimo compleanno di Il’ja Kabakov.
La mostra, articolata in più ambienti, ripercorreva l’esperienza dell’artista a partire dai primi anni Cinquanta, (quando Kabakov, appena diplomato dall’Istituto d’Arte di Stato Surikov, si manteneva svolgendo l’attività di grafico e illustratore di libri per l’infanzia), mettendo in evidenza tappe più significative di uno sviluppo artistico e intellettuale che l’avrebbero portato ad emigrare in Europa occidentale e a confrontarsi più direttamente con l’arte del resto del mondo.
Al centro dell’ambiente principale dell’esposizione, su un grande schermo veniva proiettata poi un’intervista a Boris Groys, eminente studioso di estetica nato in Unione Sovietica ed emigrato in Germania, dove attualmente insegna all’università, amico di Kabakov e autore insieme a quest’ultimo di diverse pubblicazioni.
La retrospettiva dunque era costituita da fotografie che ritraevano non già le opere dell’artista, ma l’artista e le sue opere, quasi a voler dunque indicare la grande deferenza e il grande riguardo con cui ci si rivolge oggi a Kabakov in patria.
Sono significative a tale riguardo le recensioni della mostra apparse sulle riviste di largo consumo destinate ad informare i moscoviti degli eventi culturali e d’intrattenimento nella Terza Roma. Ad esempio, il popolarissimo time out di Mosca, la rivista “Dosug” (sett. dal 6 all’12 ottobre 2003), non casualmente ha intitolato la recensione della mostra ochistka sovesti (lett. “per sgravio di coscienza”), sentenziando per altro che “la mostra presso la Casa della fotografia costituisce un progetto abbastanza ardito” poiché “all’uomo russo è necessario di tanto in tanto andare in quei luoghi di cui successivamente non dovrà vergognarsi. E i moscoviti sanno che non bisogna vergognarsi di andare alla Casa della fotografia. Persino per Kabakov. Persino a pagamento”. I lettori italiani potranno restare lievemente contrariati da queste affermazioni, ma in Russia per anni gli artisti d’avanguardia e nonconformisti sono stati boicottati pesantemente dal regime.

 

Dall’alto:

Progetto per 10 personaggi

Uomo volato nello spazio

Kabakov mentre allestisce un’installazione

La Cucina della Komunalka

Progetto per la Cucina della Komunalka

Progetto per la Cucina della Komunalka