Sedi. New York, Apexart, 6/9 – 14/10/2006
Roma, The British School at Rome, 10/10 – 8/11/2006
Curatore. Cristiana Perrella
Artisti. Jonathan Monk, Yoshua Okon, João Onofre, Iain Forsyth e Jane Pollard, Mario Garcia Torres, Francesco Vezzoli

Bibliografia / webgrafia.

Daniel Birnbaum, Ritardi e rivoluzioni, in Biennale di Venezia – 50°: La Dittatura dello Spettatore, Marsilio, 2003.
Ilaria Bombelli, Remake Concettuale, in “Flash Art” n. 260, ottobre-novembre 2006, Milano (pag. 73).
Sol LeWitt, Sentences on Conceptual Art, in “Art Forum”, giugno 1967.
Marie-Anne McQuay, Walking After Acconci, 2005; <www.iainandjane.com/press /walkingafteracconci/index.shtml>
Cristiana Perrella, testo di presentazione
sul pieghevole della mostra per Apexart, New York, 2006 (leggibile su <www.apexart.org/exhibitions/perrella.htm>).
Cristiana Perrella,
testo di presentazione sul poster della mostra per la British School in Rome, Rome, 2006.

NOTE
1. C. Perrella,
dal testo di presentazione della mostra.

2. Apparsi in Art Forum,
giugno 1967.

3. M.-A. McQuay,
Walking After Acconci
.

4. Ibid.

Remake, cover, remix. Il cinema e la musica degli ultimi anni sempre più spesso riattingono ad opere del passato per reinterpretarle e farvi omaggio, per rielaborare in maniera critica gli spunti che queste possono fornire e donare loro nuova vita ripresentandole con un diverso e personale linguaggio stilistico. Come nelle cover songs o in certi remake cinematografici, forme di dialogo costruttivo da cui un autore viene stimolato ad aggiungere nuovi significati e distinguersi dal proprio maestro: “una potente forma di ‘ripetizione innovativa’, una ripetizione che produce differenza” (1).
Le nuove generazioni di artisti sono cresciute nella cultura del “tributo” e del riciclo, con i campionamenti e le manipolazioni della cultura hip-hop e della musica elettronica più o meno colta, con rivisitazioni eccellenti e omaggi cinematografici alla Quentin Tarantino, nonché con la legittimazione dell’appropriazione di linguaggi artistici del passato prossimo (quello della modernità, poi delle avanguardie, poi delle neoavanguardie), sempre più insistita soprattutto a partire dagli anni ‘80 con i manierismi citazionisti ad esempio di Sherry Levine.
I temi del cosiddetto Citazionismo erano del resto vicini a certe preoccupazioni degli artisti concettuali, a partire dalle idee di autorialità, della fisicità dell’opera nell’era della sua riproducibilità tecnica e dell’operazione artistica come processo mentale. Per certi giovani artisti neoconcettuali, rappresentati in questa mostra (svoltasi contemporaneamente a Roma e a New York) a cura di Cristiana Perrella, si tratta dunque di rivisitare temi e problemi del Concettuale attraverso una diversa forma di citazionismo, sempre ironico e lucido al contempo ma non letterale, capace di rileggere criticamente opere chiave degli anni sessanta e settanta e di darne una propria versione alternativa sporcata di immaginario pop dell’età del videoclip musicale, con risultati visivi anche molto diversi dall’originale. Come dei veri e propri remix. Qui è il processo di editing che diventa atto creativo, nonché una riflessione sulla natura stessa dell’arte concettuale, sulla sua impersonalità e smaterializzazione.
Punto di partenza e fonte di ispirazione privilegiata dagli artisti neoconcettuali è l’opera Baldessarri sings LeWitt del 1972, un video in cui Baldessarri canta su un motivetto pop un passo tratto dal celebre scritto-manifesto di Sol Lewitt Sentences on Conceptual Art (2) (1969):

“ Una volta che l’idea dell’opera è stata stabilita nella mente dell’artista e la forma finale è decisa, il processo è portato a termine ciecamente. Ci sono molti effetti collaterali che l’artista non può immaginare. Questi possono essere usati come idee per nuovi lavori ”.
Oltre all’aspetto ridondante del citare un artista che parla del procedimento artistico concettuale in un’opera che esemplifica proprio quel tipo di “effetto collaterale”, un tratto che sarà poi comune agli artisti neoconcettuali qui in mostra (definiti con l’ambigua e fuorviante contrazione “ neocon ”) è quello della commistione tra linguaggi assai diversi come quello della musica pop e quello meno accessibile delle teorie artistiche delle neoavanguardie. L’opera intende essere infatti una versione sarcastica dell’utopia di creare una forma d’arte popolare, per le masse: problema risolto divulgando le parole di LeWitt in una forma più orecchiabile.
Assume allora quasi la funzione di manifesto per la mostra Neocon l’opera Sing like Baldessarri (2004), di Mario Garcia Torres, ancora più sarcastica e più ridondante perchè citazione della citazione: si tratta semplicemente di uno schermo per karaoke dove lo stesso passo viene riproposto in versione testo cantabile. Lo spettatore è libero di intonarlo come vuole (ma quanti effettivamente canterebbero in uno spazio espositivo?) e di farlo proprio, ora che non è più l’artista a cantarlo per lui.
Jonathan Monk presenta invece una serie di foto complementare a quella di Ruscha Every Building on Sunset Strip del 1966: anziché tutti i palazzi della celebre strada, Monk fotografa solo le strade che li interrompono, e quindi None of the Buildings on Sunset Strip (1998). Mentre qui lo stile impersonale, anartistico delle foto in bianco e nero delle serie di Ruscha è riproposto fedelmente, nei lavori del duo Iain Forsyth e Jane Pollard l’intervento sull’originale è più evidente. Il primo, Walk with Nauman (Re-performance), del 2006, ripropone un corridor piece di Nauman del 1969, Walk with Contrapposto. Nel video originale, Nauman camminava esagerando il movimento chiasmatico del canone policleteo, portando avanti una gamba e la spalla opposta. Qui, invece, è una ballerina a riprodurre il passo cercando di tradurlo nelle movenze seducenti delle ballerine dei video R&B, sottolineandone l’innaturalità e la forzosità come in una caricatura. Entrambi i movimenti dopotutto sono ispirati a canoni di bellezza convenzionale, che sia quello della statuaria classica o quello dello stereotipato immaginario erotico maschile, che richiede la presenza di ammiccanti donne-oggetto nei video musicali.
I riferimenti all’estetica dei videoclip R&B ricorrono nei lavori del duo, ed è presente anche nell’altro lavoro in mostra, Walking After Acconci (Redirected Approaches) , del 2005. In questo caso è il video di Acconci Walk-Over (Indirect Approaches) ad essere reinterpretato, con il noto rapper inglese Plan B come protagonista di un lungo e nervoso monologo improvvisato davanti alla videocamera fissa. Come Acconci considerava il medium del video il modo più forte per coinvolgere lo spettatore nella trasmissione delle proprie esperienze emozionali, oggi questa funzione può forse tradursi nella forma popolare e accattivante del videoclip e nel linguaggio schietto della cultura hip-hop. Il monologo di Plan B dopotutto è un’efficace trasposizione del flusso di coscienza misogino e pieno di rancore di Acconci. Si tratta dunque di una traduzione letterale del suo video, in un altro tempo, in un altro linguaggio visivo e verbale e in un altro contesto culturale (3), ma ad esso perfettamente sovrapponibile.
Un’altra traduzione/trasfigurazione tramite l’immaginario della cultura di massa è quella operata da The return of Bruce Nauman’s “Bouncing Balls” di Francesco Vezzoli. Letteralmente un gioco di rimbalzi, l’opera a cui si rifà era già originariamente un remake autoreferenziale: il video del 1969 in cui Nauman maneggiava i propri testicoli era un ironico rifacimento del suo precedente video Bouncing two balls between the Floor and the Ceiling, in cui a rimbalzare erano palline di gomma. Ossessionato dalle immagini patinate del glamour da film hollywoodiano o da rivista (si vedano i suoi ritratti con interventi di cucito che raffigurano modelle e celebrità), Vezzoli rimpiazza lo studio dell’artista, tipico sfondo dei video di Nauman, con un maestoso paesaggio montano, e il corpo dell’artista con un muscoloso attore porno chinato e inquadrato da terga, che fa ondeggiare i propri testicoli in ogni direzione. Tutto questo in una drammatica ripresa in slowmotion, resa ancor più patetica dalla colonna sonora di Mozart.
João Onofre si permette di prendere in giro i pedanti documenti esplicativi che accompagnano puntualmente i lavori fotografici di Huebler: non solo descrivendo dettagliatamente, nel suo rifacimento dal titolo Duration, Variation and Location Piece (Unnumbered Extended Version) , l’istante e il luogo esatto dello scatto dell’istantanea, ma aggiungendo anche delle note in cui sottolinea la sua operazione di rifacimento, ad esempio nella scelta di una ragazza che somigliasse in maniera sufficiente a quella fotografata da Huebler. Pignolo fino in fondo nel mettere in mostra la puntualità della sua operazione meta-concettuale.
Mario Garcia Torres, oltre che con l’opera Sing Like Baldessarri, è presente anche con un’opera dal tono piuttosto diverso dalle altre in mostra. Con Today (Latest News From Kabul) Garcia Torres intende completare le notazioni temporali di Boetti con ciò che nelle sue date scritte sul muro (un lavoro del 1970) non appariva: i fatti di cronaca, anch’essi peculiari di un preciso momento nel tempo, e che secondo l’artista vale la pena portare alla vista. Non fosse altro per sottolineare come nell’Afghanistan, paese caro a Boetti, questi siano oggi drammatici come allora. Esempio migliore, tra quelli in mostra, di come quegli effetti collaterali im/previsti da LeWitt possano arricchire un’opera di nuovi significati: “Se per un verso Garcia Torres manipola la storia dell’arte alludendo ad una possibilità che non potrà mai accadere, dall’altra sembra puntualizzare quanto sia in fondo insignificante l’impatto che l’essere umano può avere sul corso del tempo” (4).
Sulla parete di fondo è infine proiettato il video della performance tenuta da Yoshua Okon il giorno dell’inaugurazione della mostra a New York, dal titolo Coyoteria. Il coyote a cui si riferisce Okon è quello della celeberrima performance I like America and America likes me (1974), ma la creatura con cui si trova a convivere è qui un messicano in giacca e cravatta. Il termine coyote è usato infatti in Messico per definire i “galoppini” che sfruttano chi vuole emigrare illegalmente, fungendo da mediatori con le autorità negli Stati Uniti in cambio di denaro. Con una tale visione pessimistica dell’umanità, Okon intende formulare una disincantata riflessione tanto su una situazione attuale nel suo paese d’origine, quanto sull’arte e le utopie di Beuys.
La scarna selezione operata dalla curatrice per questa mostra riesce nell’intento di presentare quei giovani artisti all’altezza dell’impresa, niente affatto facile, di fare di epigonalità virtù, senza scadere in un citazionismo superficiale e fine a se stesso ma sfruttando la loro tendenza alla rilettura come una peculiare ricchezza. Si può infatti dire che in questo genere di approcci critico-analitici all’arte dei decenni precedenti le giovani generazioni diano uno dei loro contributi più interessanti e, paradossalmente, davvero originali. Inoltre, le “ripetizioni produttive” possono avere l’effetto benefico di far reinterpretare le opere del passato con una diversa ottica critica. Si può in effetti leggere nell’ironia delle opere in mostra la volontà di mettere in discussione l’attualità degli stilemi concettuali di fronte alle problematiche estetiche e sociali odierne, e forse anche a quelle della loro epoca. Per i neoconcettuali le semplificazioni schematiche, le foto documentarie e i video in rigoroso bianco e nero, i gesti minimi e gli utopici apparati teorici funzionano oggi solo se détournati, se parodiati, se contaminati con la cultura visuale di massa.
I temi della mercificazione della cultura, della fascinazione delle masse per le immagini patinate e degli stereotipi visivi del piccolo e del grande schermo appaiono infatti nelle opere dei neocon come un’urgenza, come inevitabili conseguenze di interrogativi sull’essenza stessa dell’arte e sulle modalità di trasmissione dei messaggi visivi in un mondo dominato dai mass media, saturato di immagini di ogni tipo. Perché è ovvio: nel mondo della TV e dei consumi queste generazioni ci vivono da sempre, e quelle immagini fungono ormai da filtro per tutto ciò che vedono e producono. Anche per questo mi pare che la definizione di neoconcettuali sia limitante ed anacronistica: troppi e troppo attuali sono gli stimoli per rimanere ancorati a nostalgiche categorie stilistiche, che gli artisti stessi se ne rendano conto o meno.

Dall’alto:

Iain Forsyth & Jane Pollard              Walking After Acconci (Redirected Approaches), 2005
DVD 16:9 – 24’
Courtesy of the artists

Mario Garcia Torres
Today (Latest News from Kabul), 2006
Courtesy Galerie Jan Mot, Bruxelles

Yoshua Okon
Coyoteria, 2003
Videoinstallazione, 30’
Courtesy Galleria Francesca Kaufmann