NOTE:

[1] Si tratta della mostra Fluxus un Freunde – Die Maria un Walter Ashnepel Collection tenutasi a Brema presso il Neues Museum Weserburg dal 5 maggio al 14 giugno 2002.
[ 2] In questo banchetto si ricevono dei gettoni equivalenti al prezzo pagato e si gioca alla roulette. I banchettanti vincono o perdono i piatti componenti il buffet. I perdenti mangiano comunque perchè possono ricevere un aiuto dalla Banca sotto forma di buoni.
[3] Si tratta di Claude e Francois Xavier Lalanne
[4] Wolgang Philipp è un eccezionale pasticcere, amico e collezionista delle opere di Spoerri. Ha realizzato i dolci dei banchetti.
[5] Si tratta di un menu dove le pietanze presentano una divergenza fra aspetto e gusto.
[6] Si tratta della collezione di spezie realizzata nella famosa camera n.13 dell’Hotel Carcassonne a Parigi e descritta nella Topographie anecdotée du Hazard. Acquistata da Pontus Hulten per il moderna Museet di Stoccolma, contiene un barattolo di merda d’artista di Piero Manzoni, artista che Spoerri conobbe nei primi anni “60 a Milano e che ricorda sempre con stima ed affetto.
[7] Si tratta di Pietro Caporrella il fonditore che ha realizzato per lui le opere in Bronzo del Giardino di Seggiano (GR)

Nell’Aprile 2002, Daniel Spoerri ha realizzato all’interno del museo parigino del Jeu de Paume dieci banchetti, scelti fra i più famosi della sua carriera artistica. Ho avuto la fortuna di assistere e partecipare ad alcuni di essi filmando gli eventi. Pur trattandosi di una re-mise en scene ed avendo perso la freschezza della novità, essi hanno mantenuto comunque la loro valenza estetica assieme ad una forte spettacolarità.
L’intervista che segue è stata effettuata qualche mese dopo l’evento, a Seggiano, luogo dove l’artista ha creato un interessante Giardino con opere sue e di altri artisti. In un atmosfera da backstage, ripercorrendo alcuni momenti dei banchetti recenti e passati, si chiarisce l’ambito in cui si è generata l’idea di ripetere questa esperienza, e si evidenzia il ruolo centrale di regista svolto dall’artista.

Seggiano 9 ottobre 2002

Manuela Feliziani: Nel periodo in cui mi sono occupata del Giardino e negli scritti che ne sono seguiti misi in evidenza come ogni esperienza del tuo passato di artista vi trovi una collocazione, quasi esso sia un opera enciclopedica. Fra queste i banchetti, nella loro trasversalità sono, tuttavia, quelli che meglio rappresentano la sintesi della tua poetica.
Provo a tracciarne un percorso nel tempo: dalla realizzazione dei quadri trappola che di essi sono il primo e l’ultimo tassello, ai vari ristoranti, primo fra tutti quello della Galleria J. Senza dimenticare, naturalmente, le ricerche sulla cucina e l’alimentazione effettuate durante il soggiorno greco: esse anticipano la creazione del Restaurant Spoerri e la Eat Art. Infine i banchetti degli anni ’80 ed arriviamo al Giardino dove la ritualità dell’alimentazione viene ricondotta all’ambito naturale.
Ho sempre provato una certa curiosità verso queste tue manifestazioni artistiche delle quali l’informazione scritta o fotografica non esprime appieno la sostanza, tanto che parlando con te nella primavera del 2001, ti chiesi se ne avresti più realizzati. Mi rispondesti di no.                                                                                             Daniel Spoerri: Non volevo più.

M.F.: Ricordo che mi dicesti che a Parigi non eri molto conosciuto sotto questo aspetto per il quale eri invece più noto in Germania dove è nata la Eat Art.              D.S.: È vero a Parigi io non ho realizzato molto, c’è stato nel 1963 il ristorante della Galleria J, poi ho lavorato in Svizzera a Zurigo, a Milano poi a Düsseldorf.

M.F.: Ma questo evento lo hai realizzato solo a Parigi?                                                 D.S.: No, l’ho rifatto a Brema. Io li rifaccio perchè la gente mi chiede di rifarli. In Germania c’è una signora che si chiama (si scosta la camicia e mi mostra la maglietta che indossa, c’è stampata su la pubblicità di una ditta di catering). E lei si chiama Sarah Wiener, ha una macchina di 12 metri di lunghezza ed una grande cucina attrezzata, va dove tu vuoi e realizza banchetti. È specializzata nel menù palindromo.

M.F.: Cosa ha significato per te rifare i banchetti. Li hai rifatti perchè richiesti o perchè c’era una richiesta di opere?                                                                                 D.S.: Tu sai che io vengo dal teatro. Che senso ha rifare un pezzo di Schiller o di Goethe, non so, ma se lo richiedono io lo faccio, costa una cifra abbastanza importante, specialmente con Sarah Wiener perchè lei si sposta con tutta l’attrezzatura per cucinare.

M.F.: A Brema dove l’hai realizzato, in un museo o in uno spazio non pubblico? D.S.: In un museo. A Brema c’era una mostra al Neues Museum Weserburg. Vedi questo è “Oh cet echo!” di Thomkins, è un artista Fluxus, si tratta di una mostra Fluxus [1], e lui si è permesso di spendere, non so, 20.000 marchi, come 10.000 euro per un banchetto palindromo a cui hanno partecipato 100 persone invitate per la sua mostra.
Sarah Wiener è molto cara, costa intorno ai 10.000 euro. Circa 20.000.000 di lire, tutto incluso.

M.F.: Tu fai un menù e lei lo cucina?                                                                            D.S.: Sì. Ci sono banchetti che non hanno bisogno di tanto impegno, quello palindromo è particolarmente difficile, e non potrei farlo fare a tutti. A Parigi l’ho affidato ad un catering molto preparato, invece un banchetto come ad esempio quello dei “ricchi e poveri”, che io chiamo anche “Un coup des de jamais abolira le hazard”. Vuol dire che con un colpo di dadi decidi se farai parte di un tavolo con menù poveri o ricchi. Questo banchetto anche se composto da due menù non è tanto difficile da realizzare.
Ho realizzato dieci menù a Parigi. Ma tu hai questo? (mi mostra un menù).

M.F.: Dei tre che ho filmato ho solo quelli del menu palindromo e di quello cannibale, mi manca quello del banchetto del Noveau Realisme. Non ero a tavola ed essendo, penso, il più affollato, non sono riuscita a procurarmelo. Io ho questo, (gli mostro quello stampato dal museo dove sono elencati tutti in banchetti con le pietanze).                                                                                                      D.S.: Per esempio “Les oeus son fait”[2] è un gioco. È un po’ complicato da fare, questo io non lo farei in un altro luogo che Parigi, “Il Banchetto Cannibale” non lo farei più perchè è dei Lalanne [3] , non voglio rifarlo come se fosse mio.

M.F.: È stato molto divertente.                                                                                               D.S.: Ed anche molto caro da fare. Si deve fare i negativi per riprodurre le parti del corpo umano e loro hanno preso questi negativi. “Oh Cet echo” io lo faccio e anche quello “Nouveau realistes”. Questo si può fare ma serve un buon pasticcere come Philipp [4]. “Le Diner des homonime” è impegnativo per trovare persone che hanno lo stesso nome. Si tratta ormai di una cosa storica, se la gente sa che io li faccio va, a me da un po’ noia. Ho ricevuto da Parigi la rassegna stampa (vedi allegati). Si alza e la cerca. Io l’ho guardata una mezz’ora non di più, mi ha dato noia perchè la gente diceva che abbiamo rifatto le cose rifatto i banchetti, come se fosse una mia colpa. Li abbiamo rifatti perchè me lo hanno chiesto, a me non è che vada più , mi da fastidio, sa un pò di réchauffé è cucina riscaldata.

M.F.: Certamente si perde la freschezza della novità ma penso sia stata comunque una esperienza interessante per chi vi ha partecipato, me inclusa, senza pretendere di rivivere così momenti già passati.
In passato quando si realizzavano i banchetti tu partecipavi alla preparazione di ogni cosa, dalle pietanze all’allestimento della tavola e dell’ambiente o, come in questa occasione eri soprattutto un regista.                                                                     D.S.: Sì, ma non completamente perchè i banchetti erano per tante persone. Per esempio nel menù travestito c’erano 100 persone. Qui hanno lavorato 100 cuochi di scuola alberghiera, i professori erano invitati a partecipare a questo corso, io ho detto facciamo un “Menù travestito” [5] allora abbiamo deciso insieme come farlo ed alla fine l’abbiamo fatto con loro. Nessuno può cucinare da solo per così tanta gente, puoi fare un piatto di spaghetti non di più.

M.F.: Per quanto riguarda invece i quadri trappola che vengono realizzati durante il banchetto, a Parigi c’era una vera equipe che incollava, insomma, che li realizzava. In passato li realizzavi tu?                                                                                 D.S.: Per esempio al ristorante della galleria J, io ero il cuoco ed i critici d’arte erano i camerieri, l’idea era: io sono l’artista e loro devono portare la mia arte al consumatore. Non ha importanza chi incolla perchè il quadro trappola è oggettivo, è una situazione bloccata e io davo anche la licenza di realizzarlo.

M.F.: Invece nel “Banchetto del Noveau realisme”, “L’ultima cena”, come la realizzasti?                                                                                                                                  D.S.: Qui non ero il cuoco perchè si trattava di un banchetto per 500 persone. Si tenne da Biffi a Milano. Si trattò di una grande cucina, di un grande ristorante. Ero l’organizzatore di tutto come a Parigi.

M.F.: Volevo chiederti se questi banchetti hanno subito delle variazioni ossia se sono stati introdotti dei cambiamenti sia in senso sostanziale o senza invece toccare l’idea di fondo.                                                                                                         D.S.: Direi che si tratta di una nuova mise en scene di un pezzo teatrale, si aggiunge o si lascia una cosa ma il senso non cambia.

M.F.: A Parigi, al Jue de Paume non c’erano però solo i banchetti. Questi si tenevano al primo piano. Al piano terra c’era la tua mostra retrospettiva a voler sottolineare le relazioni fra i banchetti parigini e tutte le operazioni artistiche del passato relative alla Eat Art.                                                                                                 D.S.: Certo, ed era una retrospettiva piuttosto costosa. Venivano opere da tutto il mondo. C’erano opere che venivano da Vienna e non volevano prestarle, cosi anche da Stoccolma. Le spezie [6] è la prima volta che le hanno prestate. Era un occasione veramente unica per vedere tante opere insieme. Ma la cosa che mi ha veramente interessato a Parigi è stata la logistica perchè non avevo mai fatto dieci banchetti in un museo. C’erano dieci persone per incollare con Pavel Schmidt come capo degli incollatori, e tutto il personale del Museo che ha collaborato per fare ogni cosa, dagli inviti al resto, è stata una cosa molto difficile. Le tavole che sarebbero divenute quadro trappola preparate nelle tre sale erano cinque per sera. Insomma è stata tutta un’altra cosa rispetto a quando, in passato, io decidevo: ” incolliamo una tavola”. Nei dieci giorni abbiamo incollato cinquantacinque grandi tavole imbandite che sono divenute cinquantacinque quadri trappola.

M.F.: Fare un banchetto in un museo spiazzava il visitatore che è abituato ad entrare in un museo e trovare una mostra. A Parigi tu entravi e trovavi un ristorante di gran lusso.                                                                                                                      D.S.: Un ristorante ma anche un atelier, ogni sera si realizzavano delle opere, e c’era anche la parte museale con la retrospettiva al piano terra e le opere esposte nelle sale adibite a ristorante.

M.F.: L’allestimento del ristorante con le tavole pronte per essere trasformate in quadro trappola l’hai deciso tu?                                                                                    D.S.: Io ho fatto la scelta, naturalmente Pavel è venuto con me al mercato delle pulci dove ho preso tutto ciò che serviva per apparecchiare dai piatti ai bicchieri, io ho deciso tutto, anche le tovaglie, abbiamo comperato per quasi 20.000 euro. Io non volevo tutto nuovo.
Dopo Pavel e gli aiutanti hanno preparato le tavole che erano doppie perchè dovevano venire tolte, ne servivano nuove per le persone che sedevano a quelle che sarebbero divenute quadri trappola. È stato inventato tutto un sistema di sostituzione delle tavole imbandite e portate via rimontando tutto con delle tavole già pronte, e veloci da montare. Si rifaceva il tavolo esattamente come era prima ma con una nuova tovaglia, stavolta bianca, come quella degli altri banchettanti, e nuove stoviglie per proseguire il banchetto.
Quasi trenta coperti ogni giorno (quelli dei quadri trappola) ed ogni sera hanno mangiato 150 persone. Al centro della sala c’erano questi tavoli per gli ospiti, diciamo di lusso, tutti paganti eccetto pochissimi fra i quali tu, che eri invitata. Il direttore del museo è stato molto rigido, solo cinque persone potevano essere invitate, alla fine io ho dovuto trovare anche dei soldi.
La Galleria Henze & Ketterer, loro hanno dato 200.000 franchi svizzeri, vuol dire che loro hanno ora tutte le tavole divenute quadri trappola, ma possono venderle solo dopo la mia morte. Se vendono adesso facciamo fifty-fifty perchè io devo vivere. È un pò come quando si acquistano le case. Tu dai un affitto al mese e se il proprietario muore in un mese fai un buon affare. Io ho comperato una casa così, “Le Moulin Boyard”, vicino Parigi, solo che la vecchia proprietaria, che aveva 70 anni, è vissuta fino ad 89 anni. Se io vivo fino ad 89 anni loro non fanno un buon affare. E’ una galleria che vive oggi delle opere di Kirchner. Sono abituati a fare questo genere di affari.

M.F.: Possono permettersi di investire molto.                                                            D.S.: Ma non è solo una questione di denaro, c’entra anche la fiducia.

M.F.: Penso sia un investimento sicuro. Hanno comperato in blocco perchè è un evento che si è realizzato a Parigi e che non si ripeterà, penso, un’altra volta.                                                                                                                                        D.S.: No, lo penso anche io. Hanno un grande spazio di due piani. Hanno fatto già una mostra, devono farne un’altra, dopo di che faranno anche un catalogo, perchè qui nel catalogo edito dal Jeu de Paume non c’è niente di nuovo.

M.F.: È vero, qui si ripercorre tutte gli eventi realizzati nell’ambito della Eat Art. Pensavo di trovarci le foto dei banchetti anche perchè l’allestimento era proprio bello così come l’evento.                                                                                                   D.S.: C’erano delle pareti enormi da riempire. Ogni giorno dovevamo preparare l’allestimento che cambiava sempre. Le tavole esposte erano diverse, perchè c’erano quelle dei quadri trappola realizzati due sere prima, assieme a quelli pronti per divenire quadri trappola nei giorni successivi. La tovaglia era incollata perchè dopo dovevi collocarci gli oggetti. Per ogni tavola io ho realizzato una decorazione con dei piccoli bronzi.

M.F.: Ma i bronzi sono stati preparati prima, già decisi per ogni banchetto?              D.S.: Sono stato da Pietro, che mi ha fatto 18 piccole sculture poi ho portato anche cose che io avevo qui a Seggiano [7] per fare questo allestimento. A Parigi abbiamo incollato tutto questo. Avevamo già preparato la ripartizione delle stoviglie, in ogni scatola c’era scritto quale banchetto era, ogni cena aveva la sua scatola con tutto l’occorrente. Le tavole tutte di forma diversa erano già al muro, il museo era già pronto per la mostra. Come ricordi i tavoli di ogni sera venivano incollati ed esposti due sere dopo. L’ultimo giorno erano tutti realizzati ed il museo aveva le opere al completo per il vernissage.
Per questo parlavo prima dell’impossibilità, anche in passato, di realizzare tutto io, perchè se devi stare con la gente a parlare fino a tardi, non puoi incollare. Sono stati dieci giorni molto faticosi.

M.F.: Quanto tempo hai impiegato per preparare la mostra?                                       D.S.: Due mesi e mezzo, diciamo tre mesi. Sono stato a Parigi la prima volta in gennaio, poi ho realizzato le sculture, poi Pavel è venuto e ha preso l’occorrente da portare. Siamo stati per due settimane al mercato delle pulci, ogni giorno ed anche in altri mercati per comperare l’occorrente e poi abbiamo finito.

M.F.: Era molto bello l’allestimento dei tavoli, diciamo “normali”, ci avete pensato voi o ha preso le decisioni il museo? Ricordo in particolare dei bellissimi calici colorati, ogni sera di colori diversi.                                                                                   D.S.: Erano vetri di Baccarat, un bicchiere costa 200.000 lire, solo uno, sono i più cari che esistano al mondo. Il museo ha dovuto fare un assicurazione speciale per i bicchieri di Baccarat.

M.F.: Quindi i bicchieri erano noleggiati?                                                                       D.S.: Si, una volta i rappresentanti della ditta sono venuti a mangiare ed io ho colto l’occasione per chiedere al direttore quanti bicchieri potevo usare nei quadri trappola. “Sono tanto cari che non posso usarne, ma per voi sarebbe interessante averne qualcuno nelle mie opere”. Allora lui ha detto che potevo usarne dieci.

M.F.: Chi ha scelto di usare vetri di Baccarat?                                                               D.S.: Il Museo ha fatto prima un vero lavoro di ricerca degli sponsor. C’era una signora mulatta molto gentile che era sempre al telefono per chiedere soldi, e finalmente Baccarat ha detto si, ma a condizione che i bicchieri rotti fossero sostituiti. Dopo si è dovuto pensare ad un servizio particolare per il lavaggio. Solo questo è costava 10.000.000 di lire a sera per prendere le cose lavarle e riportarle. Daniel Abadie (il Direttore ) ha detto “facciamo noi”, ha affittato tre grandi macchine per lavare velocemente e le ha installate nelle sale. Ogni mattina alle sei venivano i disoccupati e per dieci giorni hanno fatto questo servizio. Una volta il tubo dell’acqua si è spaccato e la sala si è riempita d’acqua ed è stato necessario incollare di nuovo il parquet.

M.F.: D’altronde si è svolto tutto in un museo, arredato con materiali adatti ad un museo, per esempio la cucina, ricordo, aveva una posizione centrale, vicino agli uffici, a metà strada rispetto alla sala per i banchetti e quella al piano terra dove era la retrospettiva.
Anche i camerieri erano molti bravi, sono stati istruiti per l’occasione?                       D.S.: Il museo ha consultato cinque o sei catering diversi. Uno di questi, il più famoso di Parigi, ha detto: “É non possiamo farli, ne perdiamo d’immagine”. Abbiamo continuato a chiedere fino che una giovane, che era nuova nel settore, ha detto che era un occasione per farsi pubblicità, ha parlato col direttore ed hanno fatto un prezzo accettabile che è stato pagato dal museo. Per questo il nome del catering non risulta fra gli sponsor.
(Consultiamo il menù preparato dal museo ) Vedi ecco: Baccarat, Philippe Desoulier ha dato i piatti, li ha prestati, poi c’è la galleria Henze& Ketterer e la Pro Helvetia che ha dato 110.000 franchi svizzeri e loro 200.000, l’Air France, come partner, ha pagato i biglietti aerei per me e Barbara. No, non c’è perchè Abadie ha detto: “E noi lo paghiamo se facciamo a metà allora si, altrimenti non ho bisogno di fare pubblicità per loro”.
Devo dire che hanno fatto un ottimo lavoro Hanno preparato tutto prima, lo hanno portato al Museo dentro delle casse, pronto da scaldare al momento.

M.F.: Ricordo che c’era un cuoco, un capo cameriere e 10 camerieri. Erano veramente bravi.                                                                                                               D.S.: I camerieri avevano una educazione incredibile, lo chef controllava persino le loro unghie e diceva: “É anche una bambina la dovete chiamare Mademoiselle”.

M.F.: Sono stati veramente bravissimi. Ricordo delle serate con tantissima gente in piedi in particolare la sera della “Cena Cannibale” al momento che sono arrivati in tavola i famosi “peni di cioccolata” si era creata una tale euforia che molti commensali erano in piedi e si rischiava di urtarli.
Ho notato che ci sono state delle variazioni nei menù rispetto a quelli originali riportati nel menù. Ad esempio nella “Cena dei Nouveau Realistes” i dolci sono diversi. A parte la Tiara Papale di Restany che però era esposta al piano terra nella retrospettiva, ad esempio il dolce di Niki de Saint Phalle è diverso, si chiamava “Le montre liquid”, e non mi ricordo quello di Raysse.                                                                                                                                  D.S.: Di Niki ne abbiamo fatto un altro, forse alcuni non c’erano, penso che abbiano fatto quello che potevano. D’altronde un banchetto è come un opera teatrale. Tu sai io ho iniziato con il teatro, quindi nel rifare un opera si può decidere delle variazioni che però non sono importanti per l’opera stessa, lo spettacolo c’è comunque.

M.F.: Volevo chiederti un altro paio di cose poi finiamo, sono queste: volevo sapere come decidevi quando far alzare le persone per portare via le tavole con le quali avresti realizzato i quadri trappola. C’era un momento specifico o agivi quando lo ritenevi necessario?                                                                                       D.S.: Tu sai che io ero spesso in sala, qualche volta decidevo io, oppure Pavel mi diceva: “E ora è il momento”. Era comunque sempre un momento centrale nella serata, o quando le tavole mi sembravano più interessanti da incollare.

M.F.: Hai mai pensato di realizzare un banchetto nel Giardino tenendo magari presente “Il sogno di Polifilo”?                                                                                               D.S.: No non penso che lo farò mai, penso che metterò altre opere nel Giardino ma un banchetto, no, non credo.

Ringrazio Daniel Spoerri per la sua solita gentilezza e disponibilità nei miei confronti e chiudo l’intervista.

 

Restaurant Spoerri au Jeu de Paume, La tavola con le stoviglie ed resti del pasto è stata portata via per realizzare i quadri trappola che troveranno posto sulle pareti del museo fra due giorni ed i camerieri stanno allestendo il nuovo tavolo per continuare agli ospiti di continuare il banchetto, Jeu de Paume, Parigi, 2002

Restaurant Spoerri au Jeu de Paume, Daniel Spoerri con gli invitati prima dell’inizio del banchetto nel museo trasformato in ristorante, Jeu de Paume, Parigi, 2002

Restaurant Spoerri au Jeu de Paume, Tavolo allestito prima del banchetto, Jeu de Paume, Parigi, 2002

Restaurant Spoerri au Jeu de Paume. Le diner de Nouveau Réalistes – L’ultima cena, Ci git l’espace. Il dessert dedicato a Ives Klein. Gli ultimi ritocchi, Jeu de Paume, Parigi, 2002

Restaurant Spoerri au Jeu de Paume Le diner de Nouveau Réalistes – L’ultima cena, La Palissade des emplacements resŽrvŽsÓ. Il dessert di Raymond Hains. Jeu de Paume, Parigi, 2002