visita nel palazzetto affrescato di Gentil Virginio Orsini, 1540 circa

“Una giornata particolare”
progetto/festa curato da Dragika Cacic con la collaborazione di Viviana Normando

Antico e presente dell’arte sul lago
Artisti contemporanei ad Anguillara Sabazia
il primo LHOOK on the lake
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La giornata, il 20 luglio 2003, ha avuto inizio con un appuntamento alle ore 17,00 nella piazza del Comune davanti all’ingresso di Palazzo Orsini residenza di caccia e di svago del Capitano d’armata della flotta pontificia contro i turchi Gentil Virginio Orsini, committente di un ciclo di affreschi nella loggia e in due sale di rappresentanza dell’edificio, di grande bellezza e particolarità. Gli affreschi recentemente riscoperti grazie alla storica dell’arte Alma Maria Tantillo, all’epoca direttrice dell’Istituto Centrale del Restauro, che ha promosso l’intera opera di svelamento e ripristino condotta da Walter Schiavone. Guida prestigiosa all’opera è stata la giovane storica dell’arte Viviana Normando, anch’essa autrice di studi sul contesto culturale. La visita ha d’eccezione il fatto che artisti e critici contemporanei vadano ad incontrare la pittura antica, peraltro in questo caso di eccezionale qualità: tra il 1535 ed il 1541 sono stati eseguiti da artisti riconducibili alla Scuola di Raffaello, a quelli che hanno decorato le stanze di Castel Sant’Angelo a Roma, nonché a quelli gravitanti intorno alla figura di papa Paolo III Farnese. Oltre alle pitture della sala del fregio marino e del fregio Orsini, e la rappresentazione degli schieramenti delle due battaglie affrontate contro i turchi dalla flotta pontificia, colpisce nella loggia, tutta decorata con raffinatissime grottesche, l’autoritratto del Capitano Gentil Virginio Orsini, rappresentatosi in uno dei pilastri con abito contadino come a conclusione della storia di una vita. Promotrice dell’incontro la storica dell’arte e critica Simonetta Lux, con la collaborazione per la comunicazione di Dragica Cacic Soskic.
Nell’idea della Lux di una contiguità tra passato e presente, dell’antico con il contemporaneo, questo primo incontro doveva svelare la possibile simultaneità del tempo e dello spazio. Il progetto è infatti poi proseguito con tre eventi: la messa in opera di un progetto mai realizzato di Pascali, le performances di Uemon Ikeda e di Ilia Soskic.

 

 

 

 

 

 

 

 

                                

        foto di Laura Palmieri                    foto di Angelo Cuccotti                  foto di Angelo Cuccotti

                        Ilia Soskic, Entsheidungs problem/Problema senza possibilità di soluzione, performance

 

Entsheidungs problem
di Emanuele Vigo

Il problema senza soluzioni proposto da Ilia Soskic per la serata di performances realizzata ad Anguillara ha una sua naturale ascendenza nell’idealismo tedesco ed è proprio all’immagine di un Beuys etereo, dal cappello di feltro, che Soskic attinge la sua ragionevolezza. In pratica la realizzazione consisteva nel bucare con un coltellino un pesante sacco di sabbia, di circa ottanta chili, appeso al soffitto con la conseguente trasformazione del sacco in una sorta di clessidra. Non si tratta solo di tempo “perduto” tra il soffitto ed il pavimento, ma anche di una sintesi simbolica tra l’assenza di significato dell’opera contemporanea e la sua traduzione in oggetto di grande complessità attraverso l’ “interferenza” del gesto, dell’azione, della personalità stessa dell’artista. Il problema senza soluzione così come restituitoci nella filosofia di Wittgenstein si trasforma in ideale agito dalla personalità dell’artista sotto forma di esistenzialismo ideale.

                                       Pino Pascali, progetto per l’opera mai realizzata Plastico dei liquidi, 1967 circa

 

 

Pino Pascali: messa in opera del
progetto per scultura “plastica del liquido” (estate 1968)

Per la prima volta è stata realizzata questa scultura costituita da otto travi immerse nelle acque del lago ancorate ciascuna con un peso a fondo: la diversa ampiezza della catena o filo di ancoraggio e la relativa trazione dal fondo hanno determinato una diversa emergenza e differente inclinazione sulla superficie dell’acqua. Aveva scritto già nell’87 Simonetta Lux, curando l’edizione di un taccuino di disegni inedito del suo amico artista Pino Pascali, “È la risposta inquieta metafisica, calda, alle strutture primarie americane”.
Realizzata sulla riva anguillarese del lago di Bracciano per la cura di Simonetta Lux, la messa in opera di “Plastica dei liquidi” è avvenuta al tramonto.

 

Pubblicato nel catalogo della mostra Pino Pascali, Milano, Pac 1983, curata da Fabrizio D’Amico e con un saggio memorabile* di Simonetta Lux dal titolo Tutta la storia è da creare
* In effetti l’autrice ricevette subito dopo la pubblicazione una telefonata dall’amico artista Emilio Prini che diceva che quello scritto mi sembrava tale da essere desiderato da ogni artista.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Dall’alto:

Simonetta Lux, Augusto Pieroni e Daniele                         Statera montano l’opera progettata da Pascali

 

 

You say mine
di Uemon Ikeda

sei mine                                                                                                                                                                                                                                         say mine
kirai (in giapponese vuole anche dire ti odio),
così in una conversazione progettuale dice Uemon a Simonetta Lux consegnandole un foglietto manoscritto,     il più recente dei suoi pezzi di “teatro impossibile”*:

SAY MINE
I was reading
the letter from
Tokyo at a bar
in the old town.
A young couple was
sitting near my
table. There were
having a fight,
just he said
“you are mine!
you are in love
with me.”
She replied back
“I hate you any how!
you say mine.”
 

La scultura performativa di Uemon Ikeda
di Patrizia Mania

Di Uemon Ikeda ho avuto sempre presente, come tratto fondante la natura del suo lavoro, l’idea della dilatazione e della distorsione delle coordinate spaziali e formali. Idea concretizzatasi di volta in volta per il tramite di modalità diverse che vanno dalla pittura all’installazione alle incursioni nel linguaggio così pregnantemente da lui esposto e colto in dinamiche di immagini, idee, emozioni, sonorità e ambiguità semantiche. Ho l’impressione che con lui ci si debba sempre aspettare da qualche parte e da un momento all’altro questa epifania. E, l’intuito non si è ingannato, la sensazione prevista non è stata disattesa nella circostanza che lo ha visto protagonista di una performance sulle rive del lago di Anguillara.
“You say mine” è la frase che campeggia ricamata su un telo damascato posto a rivestire, avvolgendolo, un tronco di albero che galleggia in superficie. Senza sosta Ikeda se ne prende cura, lo sistema, componendovi le pieghe sovrastanti in modo che la scultura viva del suo intervento diretto costante, di un trattamento al vivo che così lo sottrae anche al proprio, altrimenti ineluttabile, destino.
Vestigia di corpo che ondeggia in superficie, trascinato a riva, rivestito di un manto di stoffa su cui compare quella scritta “You say mine” che adombra in sé tutte le stratificazioni di senso possibili. Declina il possesso per antonomasia del corpo ed al contempo ne enuncia la strumentalità potenzialmente esplosiva come se si dicesse “mina” con sottile allusione forse alla mutilazione innegabilmente subita da quel corpo.
E allora, le increspature, quel disporsi del telo sul tronco sottostante, il modellare il panneggio morbido e mobile che nella forma aperta ed indefinita plasmata concorre a crearne la stessa essenza gravitante e fluttuante che la caratterizza costituiscono l’hic et nunc della sua realtà di opera performativa destinata a mantenersi in seguito solo nella testimonianza di chi ne ha vissuto l’esperienza o nella sua registrazione documentativa.
Chi poi quel manto nasconda non c’è dato di sapere: certo ad essere avvolta è una forma umana, frammentata, mutilata, restituita alla vista e al tatto dalle mani di Ikeda che non ha smesso di accomodarla, aggiustandone ora un lembo di tessuto ora addomesticandone una piega in una lotta contro quella sua stessa inerzia che l’avrebbe condannata altrimenti a spogliarsi di questa forte identità attribuitagli. È tale il plasticismo di questa forma che al termine della performance dico a Ikeda che mi è parso di vedere galleggiare un’opera in marmo dal modellato forgiato virtuosisticamente. Si volta sorpreso a voler dar conferma alle mie parole e mi dice: “Ma io sono uno scultore, ho studiato scultura!”.

 

* In Acrobazia di Uemon Ikeda e Simonetta Lux (Lithos Editrice 2001), un capitolo è dedicato al “Teatro impossibile”, che completa il “racconto dei disegni e progetti” di questo grande artista giapponese.

Ove non diversamente specificato, foto di Susanna Soriano