Lunedì 8 novembre 2010, alle ore 18.30, il MLAC – Museo Laboratorio di Arte Contemporanea, Sapienza Università di Roma, inaugura la mostra personale di Francesco Impellizzeri dal titolo Impellizzeri XX. Performances dal 1990 al 2010.

L’esposizione propone una raccolta esaustiva di tutte le performances di Francesco Impellizzeri. Documentate in video, riversate in digitale e rese fruibili attraverso un attento montaggio, rappresentano una chiave importante per la lettura della sua eclettica ma coerente produzione. È un’occasione unica dove poter scorgere i momenti salienti e determinanti della sua ironica attività artistica in cui Impellizzeri propone una visione critica della nostra società, attraverso ludiche rappresentazioni dove il travestimento è usato come linguaggio e mezzo per trasmettere sottili informazioni ad un mondo che si nasconde sotto mentite spoglie. Dalla prima performance Strilli alla Temple Gallery di Roma, in cui nasce Unpopop, il personaggio cantante che con pungenti testi mette in evidenza i meccanismi del mondo dell’arte, a Signore e signori buona sera alla Artandgallery di Milano dove viene presentata una atipica e originale sfilata di pittura, nonché le performances di Lady Muk alla galleria Espacio Minimo di Madrid, Flambé al Serena Club di New York e Motocicleta al DA2 Museo Contemporaneo di Salamanca, hanno favorito l’inserimento dell’artista in esposizioni internazionali come Don’t call it performance, al Museo Reina Sofia di Madrid, fino a ottenere un consenso critico anche all’estero.

Per la prima volta si potranno visionare anche progetti, disegni, costumi e foto che hanno generato i personaggi protagonisti delle sue performances. Figure stereotipate rappresentate in spettacolari e teatrali coreografie, colorati tableaux-vivants e replicate azioni minimali.
Con questa mostra l’artista intende coinvolgere lo spettatore nella nascita e lo sviluppo della sua opera, per riavvicinarlo agli oggetti utilizzati con una mise-en-scene di un mondo che potrebbe sembrare immaginario, ma che in realtà dipinge i paradossi della nostra consumistica era.

Francesco Impellizzeri, nato a Trapani nel 1958, vive e lavora a Roma. Nelle sue esposizioni propone performances e installazioni in cui varie espressioni artistiche (musica, teatro, pittura, ecc) si fondono per mezzo dell’ironia fino ad ottenere anche un prodotto fotografico e pittorico. Negli ultimi anni ha presentato al pubblico i Pensierini, fogli di quaderno delle scuole elementari realizzati in piccole e grandi dimensioni, in cui sono commentati fatti di costume, politici e privati visti come dagli occhi di un bambino ma il cui contenuto e disegno rivelano l’ironico mondo che l’artista ha sempre raccontato. Sommatoria del suo percorso sono le ultime tele in cui il colore della ricerca cromatica iniziale si fonde con i testi recuperati dagli appunti dei suoi ricchi taccuini. Ha partecipato a numerose esposizioni e fiere internazionali, trasmissioni televisive e film. Tra le pubblicazioni: El ARTE QUE VIENE di Paco Barragan, I’ll be your mirror di Fabiola Naldi e The Bridges of Art di Achille Bonito Oliva.

Sito dell’artista: www.francescoimpellizzeri.info

La mostra resterà aperta dall’8 al 24 novembre 2010.

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Lo spettacolo è servito
di Geoffrey Di Giacomo

(testi estratti dal catalogo della mostra Impellizzeri XX e dall’intervista di Stefano Buda pubblicata sulla rivista online “artitude”)

Se reputate l’opera di Impellizzeri gioiosa, scherzosa, divertente, allora siate sicuri che vi sfugge qualcosa, e credetemi, non siete ancora addentrati pienamente nella comprensione del suo operato. Apparentemente colorite e attraenti, le performances di Francesco Impellizzeri non palesano un teatrino sul quale fischiettare; inutile, poi, incitarne il bis a squarcia gola, sappiate che non ci sarà. L’artista interpreta ruoli determinanti della società moderna, il messaggio è diffuso da varie figure che sembrano appartenere all’appariscente mondo dell’immagine. Una vetrina spettacolare della scena performativa nella quale i suoi personaggi vestono i tempi e le modalità della rappresentazione teatrale. Così l’artista definisce i suoi personaggi: “I miei personaggi hanno una vita autonoma, indipendente dalla mia. Usano il mio corpo per favorire una loro completa esibizione”. L’opera di Impellizzeri transita in un sorta di indipendenza immaginaria con degli effetti in parte dislocati e riversati nella nostra quotidianità. Un’opera che gode di autonomia quindi, in cui l’interpretazione della realtà è frutto di un’esperienza determinata da una fusione momentanea tra l’artista e il suo protagonista. Una travolgente trasformazione di una realtà fantasmagorica libera il pensiero dalla costrizione oggettuale lasciando solo una visione della sua azione trascinatrice? Azzardo a dire che, una volta conclusa l’esibizione, i personaggi di Impellizzeri deambulano da qualche parte per il mondo ripassando i gesti della loro poetica in quanto certamente riconducibili alla vita e a persone che ci circondano. La società, vista con gli occhi di Impellizzeri, agisce sul filo del proibizionismo, nella categoria della disuguaglianza che costringe l’individuo all’isolamento. Le tentazioni del diabolico Flambé, pronto ad ingannare il prossimo distribuendo caramelle in cambio di un’illusoria e immediata felicità “consumistica”; la sessualità camuffata e violata di Madame 700 illuminata con luci ad interferenza in OOOH!!!; il maschilismo esasperato del motociclista-macho che sfreccia sulle note della canzone “Harley Davidson” di Brigitte Bardot e Sèrge Gainsbourg nella performance intitolata Motocicleta; sono palcoscenici in cui vengono messi in discussione i problemi incentrati sulle debolezze delle persone, le incertezze di coloro che vivono la società contemporanea a pieno regime, costretti a mascherare la propria identità perché l’alternativo o il diverso viene visto come componente da abbattere. I personaggi di Impellizzeri non fanno di un’attrazione emblematica dell’immagine un modello di vita incondizionata. Preferiscono sfidare l’esperienza consolidata in una società moderna tipica degli anni 80-90, dove è forte il cambiamento di marcia e lo stile di vita rispetto ai decenni precedenti. I primi personaggi, UnPoPop e Rinkoboy, manifestano sin da subito le intenzioni a decifrare quegli stereotipi collettivi appoggiati su un’estetica della moda e dello spettacolo: elementi primari del business globalizzato. Unpopop denuncia l’arte da vetrina pensata come apparenza estetica e oggetto interscambiabile che favorisce un’industria di sola produzione.
Sostenute da ideologie liberali e modi di fare alla “borderline”, le creature inventate da Impellizzeri mostrano una trascendenza che a volte potrebbe sembrare trasgressiva, spesso celata negli individui più vicini a noi. Con Impellizzeri il tabù è dichiarato, rivelato, ed è alla portata di tutti, esso si presenta pubblicamente e viene qui contemplato e condiviso. Il pubblico precipita in un’intimità secreta ed è invitato a ripercorrere i limiti di una ombrosa e probabile personalità inconscia.
Il Museo Laboratorio di Arte Contemporanea dell’Università di Roma “Sapienza” ospita una retrospettiva dell’intera produzione dell’artista riguardante le performances attraverso un percorso dinamico e flessibile. Un allestimento studiato nei minimi dettagli per l’occasione dialoga con una scenografia che accompagna le opere di Impellizzeri negli spazi asettici del museo. Un viaggio nella performance stessa potremmo dire, tra produzione e azione dell’artista, dove ogni elemento fa parte di un quadro che è l’espressione di 20 anni di ricerca a favore di un’arte impegnata nella rivalutazione di alcuni schemi sociali e culturali della nostra era contemporanea.
La mostra realizzata negli spazi del MLAC si sviluppava su due piani. Al piano terra si potevano visionare i video di tutte le performances dell’artista, dal 1990 ad oggi, riversati e rielaborati con un attento montaggio video, montaggio che ho seguito personalmente durante la fase esecutiva, da lì nasce anche una figura nuova del settore video dell’arte: il Curatore video. Al secondo piano l’artista mostra gli oggetti, i vestiti, i progetti, le fotografie, i gadgets; coloro che hanno visto le performances dal vivo li ricorderanno bene perché hanno fatto parte delle azioni dell’artista in questi 20 anni, ad accompagnare ogni installazione una scheda descrittiva dell’opera, e illuminate da luci teatrali accuratamente disposte per modellare gli oggetti e evidenziarne i volumi con un abile gioco di ombre. L’intenzione era di trasmettere una vitalità e dinamicità alle opere e forza emotiva complessiva, anche grazie a un appropriato utilizzo di neon colorati.
Non si può dire che Francesco Impellizzeri si traveste per il gusto di farlo o per ricostruire un mondo personale o un’esperienza incentrata nel proprio vissuto. Impellizzeri cambia identità attraverso quei personaggi da lui creati. In quel momento in cui nasce il personaggio, Francesco non appartiene più alla realtà convenzionale, diventa controfigura di se stesso, la sua identità diventa quella del protagonista e si immedesima in essa. È un agire mediante il proprio corpo per incaricarsi di un ruolo che fa parte di un’ambigua personalità, nuova, unica, universale. Rinkoboy, Lady Muk, Rokkodrillo, ecc., sono l’immagine stereotipata di una realtà che egli non copia ma re-inventa attraverso lo stesso procedimento esercitato dai mass-media nell’esaltazione dell’idolo come esempio o modello da seguire.
L’artista parte dalla realtà, la analizza, e ne ricostruisce un modello fittizio e rappresentativo. La finzione è un grado di alterità che egli forza nella sua mise-en-scene, è volutamente inserita nell’opera dell’artista per arrivare alla spettacolarità dell’immagine.
Da sottolineare l’importanza del pubblico nell’opera di Impellizzeri, che spesso prende avvio o viene coinvolto ironicamente e sempre in modo sottile, un’interazione minimale che si compie nel momento in cui l’artista stabilisce un contatto con lo spettatore.
Ogni lavoro è diverso dall’altro, assume una propria valenza critica, si manifesta con un messaggio alternativo ed è proposto in modo alternativo. Infatti, nonostante Impellizzeri sembri formalizzarsi con un medium ripetuto (body art), in realtà dimostra un modo sempre differente di presentarsi, a volte opposto. Il messaggio è sempre presente e nulla è lasciato al caso. La musica, i vestiti, gli oggetti, le gesta e le recite, nascondono frasi o particolari apparentemente insignificanti, ma che invece colpiscono il mondo dell’arte, la società contemporanea, le ideologie ormai scadute… è un’opera apparentemente colorita e attraente, ma stiamo attenti a non lasciarci ingannare…
I Pensierini sono l’esempio lampante di una visione critica sincera e limpida della vita espressa nei modi di vedere il mondo sotto una forma giocosa, tipica della fase infantile. In realtà, i Pensierini, come tutta l’arte di Impellizzeri, denunciano certi meccanismi e sistemi di coalizioni e di potere esercitati dalla ben nota società dello spettacolo, ma anche del mondo dell’arte stesso, veicolato da un atteggiamento di ghettizzazione attraverso identità consolidate fra di loro. L’Arte camperebbe di quei meccanismi resi noti da Impellizzeri? S.P.Q.R. Famly, Tangentart, Gnam Gnam, rappresentano una chiave di lettura di una realtà basata su sistemi di potere in vigore e regole imposte da chi esercita forme di controllo su determinate categorie sociali.
A primo impatto, le opere di Impellizzeri provocano in alcuni spettatori un senso di disagio, come in Bodyguard, Lady Muk o Madame 700, in cui è attuata un’immagine decaduta del proprio mito attraverso un’aspra satira alla società contemporanea eretta sul vizio, sulla trasgressione istintiva e incontrollata adoperata nel privato. Il consumismo incessante è sostenuto da un’immagine pubblica ripresa e attraversata da Impellizzeri con l’invocazione di doppi sensi, atteggiamento astuto necessario alla sopravvivenza dell’enigmatica aurea dell’opera e, come sosteneva Duchamp, pratica sorretta da “un’ironia dell’affermazione” per giungere a una “bellezza dell’indifferenza”. Il messaggio di Impellizzeri è ben indirizzato ed è chiara la sua volontà di comunicare tramite allusioni, vuole entrare nello stato inconscio degli individui come accade nella canzone MMMuoviti, o in Diva Divina, dove la critica dell’artista tocca principi alti dei diritti umani come la libertà di pensiero, spesso e volentieri vittima del pregiudizio, capace di interdire le coscienze di intere popolazioni. In Art Saint Loop l’artista diventa portavoce di un messaggio ideologico forte e ripetuto in loop, perché deve arrivare a tutti; una performance dai movimenti calcolati nei minimi dettagli e recitata in quattro lingue, dove si intrecciano arte, religione e consumismo; per lui: “la nuova formula dell’arte devi cantare: “dà dà dà dà – dì dì dì dì – dò dò dò dò – dù dù dù dù!”.
Il travestimento di Impellizzeri suggerisce una volontà di mascherare la propria identità per possederne altre, di ricorrere a una “versatilità psicologica” di quei ruoli che sente di rivestire.
Pittore, coreografo, musicista, poeta, cantante, attore, disegnatore, regista, ecc.., come spesso accade con i grandi maestri, è nell’arte che Impellizzeri decide di riversare ogni sua abilità umanistica, di percorrerne i limiti linguistici per decorare la scena artistica. Riconosciuto dalla critica estera come anche da quella italiana, Francesco Impellizzeri è un’artista perfezionista interdisciplinare, sia del sonoro che del visivo, infatti compone spesso le basi e i testi musicali e realizza i vestiti che indosserà nelle performances. È da considerare figura portante dell’arte performativa italiana di fine 20esimo e inizio 21esimo secolo. La perfezione esecutiva e il minimalismo estetico caratterizzano i suoi lavori e sono alla base delle sue azioni, sia interne che esterne all’opera e, definiscono in modo esemplare la fase organizzativa e di preparazione dell’intera scena, senza esitazioni e improvvisazioni, proprio come accade nel teatro di scena. Vigente a ogni particolare estetico, il dialogo professionale tra curatore e artista è scorrevole e costruttivo, quest’intesa porta a una realizzazione eclettica dell’evento.
In pieno postmodernismo, Impellizzeri fa una scelta non facile e ammirevole adottando un linguaggio consolidato nei decenni precedenti: la performance. Mentre gli artisti internazionali seguono un’arte supportata da medium innovativi con un linguaggio legato all’evoluzione tecnologica (come la Videoarte), Impellizzeri si cimenta in un’arte che definirei Body Pop Art; un’arte che riprende l’analisi teorica e visione del mondo consumistico intrapreso dalla Pop art americana, inserita poi in un contesto d’azione per mano della performance corporale. Una Pop art portata a misura d’uomo attraverso la body, interpretata e vissuta dalla società di massa, che vede la propria ideologia decaduta in un contatto corporale raggiungibile e tangibile. Posso dire che Impellizzeri riprende una visione tipica della Pop art americana del dopoguerra, mettendo in scena oggetti e etichette della società consumistica, ma secondo me l’artista si spinge oltre camuffando attraverso la carica dell’immagine dello spettacolo la propria intenzione o interpretazione del mondo con messaggi sottili rivolti all’arte stessa. Poi c’è da dire che Impellizzeri non copia nessuna immagine esistente, sono tutti soggetti inventati e prodotti da lui, ci si può riconoscere in loro… Un’esaltazione di una visione estetica che de-miticizza l’esperienza con l’arma dell’ironia e della semplicità mediatica vissuta in prima persona dall’artista. Allora si annuncia qui la forza di Impellizzeri, nel non seguire un’apparente evoluzione storica votasi nella corrente Storia dell’Arte e di tenersi in autonomia. Isolandosi se necessario l’artista rifiuta un’idea troppo concettuale dell’arte pur di sostenerne una propria concezione attivista e dinamica dell’opera. Un’arte assolta da una pratica “artigianale” esercitata dall’artista con cui si baratta, un’arte che diventa sempre più moda di se stessa e merce di un sistema in vigore.
A un’Arte di “tendenza” o da “seguire” o di “definizione”, Impellizzeri risponde con una trasparenza concettuale a favore dell’Arte stessa, in cui è lecito e palese all’interno del suo lavoro l’inseguimento e rivelazione dei valori e principi che sorreggono i diritti umani, un livello in cui l’Arte si presume sia l’unico e irrefrenabile canale d’azione.

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Impellizzeri XX
di Domenico Scudero

Sono passati vent’anni dalle prime apparizioni di Francesco Impellizzeri performer. Erano gli anni dell’ “arte giovane”, termine che ha marchiato innumerevoli generazioni ma che ha caratterizzato per sempre quella emersa in arte tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta. Francesco Impellizzeri con me condivide la formazione nella Roma prima plumbea del Black Out e poi sorniona della Mucca Assassina: sono elementi che segnano l’orizzonte nottambulo nel frenetico rinnovamento post-punk della città. Provenivamo da ambienti differenti ma credo ci unisse in modo determinante la voglia di fare arte, di inventare eventi d’arte che non fossero tristi e “pallosi”, come si diceva allora. Nell’ambito artistico che volevamo forgiare e che risultava come il più energico della scena giovane le mostre erano considerate un momento performativo, uno scoppio di risate in locali alternativi e autogestiti piuttosto che una sfilza di opere precedute da una lagnosa conferenza stampa con vecchi pelandroni a cavallo di sedie obsolete. Sebbene ci rapportassimo in modo diverso, lui da artista ed io da critico curatore, abbiamo vissuto insieme numerosi eventi di quegli anni, la maggior parte dei quali gravitanti nelle attività della rivista Opening e dell’Associazione Culturale Sottotraccia, delle quali ero parte attiva. Proprio in una di queste occasioni fra arte da vendere a tutti i costi per sopravvivere e feste dall’estetica technicolor, ho conosciuto Impellizzeri. Erano gli anni in cui Impellizzeri lavorava nel nobile studio di Carla Accardi e già questo lo posizionava su una dimensione attenzionata, e si stava bene attenti a non dimenticarsene. Tuttavia la sua arte in forma di quadro io l’ho sempre tenuta in poco conto rispetto al più complesso sistema di segni e di azioni che sono da sempre la forza compulsiva della sua opera. Eravamo ad una festa e credo su istigazione di Ludovico Pratesi Francesco si “espose” in una performance canora cantando Vernice (Vernissage). Non ricordo bene il luogo, ma di certo era una serata dedicata ai giovani artisti di belle speranze, la maggior parte dei quali poi sparita nel nulla, tanto per non smentire la maledizione di questa generazione schiacciata fra genitori sessantottini e figli forzisti. Impellizzeri non era ancora stato visto nella sua azione scenica ma c’era il suo talento innegabile che sarebbe emerso poi in Strilli (Temple Gallery, 1990) durante la sua prima personale. Vernice (Vernissage) (1991) è, posso di certo dire, la prima hit di successo di Impellizzeri. In qualche modo raccoglie alcune indicazioni su ciò che sarebbero state le sue azioni successive e su una atmosfera che si respirava in quel momento. C’era un substrato pop molto forte, anche canoro alla Camerini, c’era l’astrazione idealista, a colori vivaci e aguzzi, c’era l’impianto scenografico che faceva molto anni Novanta e l’uso disinvolto dei materiali anche tecnici con una tattilità artigianale. Quando ci presentò Unpopop e Lady Muk ad Opera Stabile nel ’94, faceva divertire anche soltanto sapere com’erano realizzate quelle ambientazioni. In quell’occasione Francesco arriva con una macchina stupenda, insolita, una R4 furgoncino giallo schizzato, la stessa che è stata poi usata anche per un’altra performance più “hard”, Bodygard Peep Shop (Il Ponte, Roma, 1998). Tira fuori della roba, che sembra spazzatura e in quattro salti ti monta un ambiente pazzesco, con musica, luci, cuscini. Erano i primi eventi per la sua carriera, adesso già ventennale di azioni e performance. Dalle musiche pop e travestimenti da rock star, alle canzoni rappate della performance veneziana con Pratesi (Canzoni in Vetrina, Venezia, 1993), sino alle apparizioni in forma d’angelo luminoso. In L’annuncio dell’angelo candido (Torretta del Valadier, Roma, 1995), Impellizzeri conclude una sequenza di appuntamenti dedicati all’aspetto politico del contemporaneo, a dispetto di quanti consideravano questi eventi che realizzavamo solamente come una forma di intrattenimento. La performance di Impellizzeri si è poi arricchita di giochi linguistici, concettuali, ambienti scenici, e ha inoltre dimostrato la poliedricità e la versatilità della sua figura d’artista. La sua forza è quella di parlare del contemporaneo, con un taglio critico anche severo, ma senza scadere nella fiacca screpolatura della depressione, piuttosto trasfomando vizi e vezzi in ironica “vitalità del negativo”.
Ho inseguito la sua mostra al MLAC per tanto tempo e si è finalmente concretizzata. Possiamo così valutare tutto il percorso delle azioni artistiche di Impellizzeri sino al 2010, anche grazie al contributo curatoriale di Geoffrey Di Giacomo, che si è occupato della mostra. Io credo che al di là dell’appariscenza di questo percorso si sia di fronte ad una figura notevole d’artista che legge da un’angolazione decisa il contemporaneo e ci offre una visione disincantata e fintamente leggera di un mondo anche interiore. Un lavoro che immagino possa essere riscoperto dai giovani – anagraficamente tali – di oggi, studenti, critici e artisti.

1.IMPELLIZZERI XX, invito

2,3. IMPELLIZZERI XX. Inaugurazione della mostra al MLAC. Photo Geoffrey Di Giacomo

4. IMPELLIZZERI XX. Veduta dell’installazione al piano terra, sala video. Photo Francesco Impellizzeri

Da 8 a 12. IMPELLIZZERI XX. Veduta della mostra al MLAC. Photo Francesco Impellizzeri